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La storia con mappa collegata di Palermo e della Sicilia, di re Ferdinando di Borbone, (erroneamente la famiglia viene indicata al plurale come Borboni). La storia del parlamento, di Castelnuovo, Belmonte, e Luigi Filippo di Orleans, della fine del feudalesimo e del fedecommesso, di carbonari e carboneria. La storia della lotta per la repubblica, la indipendenza, la costituzione, per il risorgimento siciliano, della guardia nazionale. La storia di Ruggero Settimo, Mariano Stabile, Michele Amari, Francesco Crispi, dei mille, dei picciotti, di Garibaldi, e poi ancora di De Felice e dei fasci dei lavoratori.

150 anni dal 1848

Vedere anche :

Storia della rivoluzione in schede

storia della rivoluzione parlamentare del 1812.

A seguito delle vittorie napoleoniche Ferdinando di Borbone, IV con questo nome re di Napoli e III con questo nome re di Sicilia, aveva perduto il regno di Napoli e regnava nella sola Sicilia. Il governo reale non si dimostrava capace di tenere conto della nuova situazione politica, composto com’era quasi esclusivamente da napoletani estranei alla Sicilia. Il re per converso non poteva contare su altre risorse finanziarie che il prelievo fiscale nell’isola e le sovvenzioni che gli inglesi gli concedevano per sostenerlo contro Napoleone. Da qui iniziavano gravi difficoltà per la monarchia: le imposizioni fiscali erano da diversi secoli in Sicilia prerogativa del parlamento, tradizionalmente articolato nei tre bracci degli ecclesiastici, dei baroni e dei comuni e Ferdinando non disponeva di un esercito tale da sfidare il parlamento. D’altra parte gli inglesi, impegnati nella lotta contro Napoleone, non potevano davanti all’Europa proteggere un re assolutista contro un parlamento costituzionale, né, in un’area vitale per il contenimento dell’espansione napoleonica, potevano rischiare una guerra civile tra un re senza esercito e i baroni che invece avrebbero potuto mettere in campo proprie milizie. Pertanto Ferdinando fu presto costretto a piegarsi alla volontà del Parlamento e dei baroni tra cui emergevano le figure di Carlo Cottone di Castelnuovo e Villaermosa, Giuseppe Ventimiglia di Belmonte e Luigi Filippo di Orleans che sarebbe poi diventato re di Francia. Uscito vincente dalla prova di forza il parlamento elaborò una carta costituzionale, unificò il braccio ecclesiastico con quello baronale nella Camera dei Pari, abolì il feudalesimo trasformando in proprietà privata il possesso feudale, deliberò l’abolizione del fedecommesso e cioè della trasmissione integra della proprietà, aprendo quindi la strada al frazionamento della grande proprietà fondiaria, sancì diritti civili e politici. Le riforme determinarono la nascita di tensioni e contrasti che paralizzarono successivamente la vita dell’istituzione parlamentare. Col processo che era stato attivato l’aristocrazia feudale siciliana si trasformò in semplice aristocrazia fondiaria, ma mantenne saldamente nelle proprie mani il potere politico ed economico, anzi riuscì a strappare alle popolazioni rurali alcuni diritti come quelli di pascolo o di raccogliere legna che nel precedente sistema feudale doveva riconoscere.

storia della rivoluzione popolare del 1820.

Restaurato dopo Waterloo il dominio napoletano di Ferdinando, lo stesso re alla fine del 1816 modificò l’assetto costituzionale, formalmente costituendo il regno di Napoli. Così non solo il governo della Sicilia fu quasi interamente concentrato a Napoli, ma lo sviluppo economico fu subordinato agli interessi del regno continentale. Inoltre dopo mille anni Palermo perdeva il rango di capitale. Nel luglio del 1820 la carboneria napoletana insorta, nell’imporre al re una costituzione, rivendicava il mantenimento dell’assetto centralista del regno impostato quattro anni prima da Ferdinando. I militari carbonari tentarono di prevalere anche a Palermo, ma furono invece le classi subalterne a ribellarsi con successo contro l’impianto istituzionale vecchio e nuovo. Le forze popolari guidate dal capo degli artigiani conciapelle Santoro e dal frate Vaglica diedero l’assalto al Palazzo reale e le truppe inviate per massacrare la popolazione finirono invece massacrate nel dedalo di viuzze del centro storico. I rivoltosi lanciarono l’idea della repubblica federativa di Sicilia, ma non riuscirono a sfruttare la vittoria della propria organizzazione militare e a mantenere la direzione politica del movimento che fu assunta da una Giunta provvisoria dominata dall’aristocrazia. La rivoluzione era in difficoltà: nonostante i braccianti delle campagne avessero partecipato al moto organizzati in squadre, che sarebbero poi puntualmente ricomparse nelle successive insurrezioni, l’area in rivolta restava circoscritta alla Sicilia occidentale. Per di più politica della Giunta fu il prendere sempre più le distanze dall’insurrezione popolare ed arrivare ad un accordo con i napoletani: la paura di un rivolgimento sociale e della perdita dei propri privilegi si mostrava nei nobili più forte del desiderio di indipendenza e di costituzione. Insorto per la seconda volta, il popolo di Palermo di nuovo batteva militarmente l’esercito napoletano e di nuovo si faceva strappare la vittoria da un’aristocrazia vocata alla resa. Quest’ultima si concretizzava quindi nella rioccupazione di Palermo da parte napoletana ed in un armistizio che formalmente riconosceva l’autodeterminazione del popolo siciliano. Bastarono pochi giorni al governo liberale napoletano per rinnegare le condizioni di armistizio appena sottoscritte. Del logorarsi nella guerra siciliana i liberali napoletani pagarono poi un prezzo fatale: a loro volta sotto l’attacco delle baionette austriache persero governo e costituzione.

storia della rivoluzione popolare, di governo e parlamento nel 1848.

La politica assolutistica dei Borbone non fu contraddistinta sempre da atteggiamenti ottusi e reazionari. Al contrario il re Ferdinando II dal 1830 al 1837 adottò un riformismo cauto, ma concreto. Per effetto di esso e delle riforme deliberate dal Parlamento del 1812 si svilupparono nuove forze sociali, nelle zone costiere e vicino alle città, quali la classe dei piccoli proprietari terrieri, si costruì una rete diffusa di strade pavimentate e carrozzabili (praticamente quella stessa rete stradale che la Sicilia ebbe fino al 1960).

Parallelamente in Sicilia cresceva lo sviluppo economico anche se nei limiti che la subordinazione a Napoli poteva consentire. Non era estranea a questo sviluppo la nuova importanza che aveva assunto lo zolfo, della cui produzione la Sicilia deteneva praticamente il monopolio mondiale.

Era invece sui piani delle libertà politiche e dell’autogoverno, se non dell’indipendenza, del popolo siciliano che si registravano nette chiusure da parte della monarchia.

Il 12 Gennaio 1848 avveniva alla Fieravecchia a Palermo una concentrazione di folla. La gente era stata anche attirata dalla diffusione di manifesti che stabilivano il giorno della rivolta. Fu quella probabilmente l’unica rivoluzione preannunciata di tutta la storia, che la polizia borbonica cercò inutilmente di vanificare con arresti preventivi che si mostrarono inefficaci. Fu anche, fatto politico molto rilevante, la prima rivoluzione del 1848, che fece detonare la crisi continentale in un momento economico difficile per l’intera Europa particolarmente nel settore agricolo. Le truppe borboniche dopo i primi scontri si ritirarono dal centro della città, timorose di subire nuovamente la disastrosa esperienza del 1820. Tentarono poi uno sbarco al molo Nord del porto, ma nella zona dell’attuale via Libertà 5.000 borbonici, che cercavano di ricongiungersi con altrettanti, furono duramente battuti e dovettero reimbarcarsi. Stavolta inoltre l’intera Sicilia era insorta a seguito di Palermo e l’esercito borbonico dovette rapidamente abbandonarla.

Il 25 Marzo 1848 si inaugurava in San Domenico il parlamento generale di Sicilia che, distinto nelle due Camere dei Pari e dei Comuni, secondo la Costituzione del 1812, eleggeva un governo composto tra gli altri da Ruggero Settimo, Mariano Stabile, Michele Amari, Francesco Crispi.

Le classi popolari che pure erano state il nerbo militare della rivolta risultavano ancora una volta escluse dalla direzione politica, al fianco dell’aristocrazia si affermava però una classe media, il cosiddetto ceto civile, composto da professionisti e piccoli proprietari che si era costituito nei decenni precedenti.

Il governo siciliano, come dimostrarono gli eventi successivi, sottovalutò le questioni della difesa e privilegiò quelle relative all’ordine pubblico ed alla salvaguardia della proprietà. Ad una Guardia Nazionale, consistente e ben equipaggiata, che presiedeva a questi specifici compiti corrispondeva un’Armata Nazionale siciliana, volta a contrastare la riconquista borbonica, senza armi e con pochi soldati. Le stesse squadre, frutto di autorganizzazione contadina e artigiana e strumento della vittoria militare, venivano sciolte d’autorità per eliminare i pericoli, in parte fondati, per l’ordine pubblico, ma anche quelli di aggravamento dello scontro sociale con le classi subalterne.

Il governo condusse anche una notevole attività diplomatica mirante a trovare alleanze internazionali, ma nessuno degli stati italiani fornì un appoggio politico e la Francia e la Gran Bretagna non trasformarono le simpatie politiche in appoggio militare.

L’indebolimento delle forze rivoluzionarie consentì pertanto nel Maggio del 1849 la quasi completa riconquista borbonica della Sicilia, restando al governo rivoluzionario soltanto la ventura, essendo stato il primo a sorgere, di essere tra gli ultimi a cadere in Europa. Eppure, a governo caduto, ancora le classi subalterne non si arrendevano e l’esercito borbonico era costretto ad arretrare sotto la massa d’urto del popolo di Palermo. Tuttavia senza capi politici la rivolta aveva termine ed anche Palermo veniva rioccupata.

storia della rivoluzione e dell'intervento garibaldino del 1860.

I fatti del 1860 sono certamente più noti. Lo sbarco dei mille fu preceduto e richiamato da un’insurrezione, modesta quanto a partecipazione, a Palermo localizzata nel convento della Gancia, ma che diede il via a diffuse azioni di rivolta nelle campagne. Si può sottolineare che in concentramento delle squadre, che quella volta passarono alla storia come "picciotti", avvenne fuori dalla città, particolarmente a Gibilrossa, e non dentro alla spicciolata, come era avvenuto precedentemente. Nella battaglia di Palermo il loro ruolo fu, assieme a quello della popolazione cittadina, ancora una volta determinante. Esse furono nuovamente sciolte d’autorità da Garibaldi e le masse rurali e urbane emarginate persero il loro unico strumento di pressione insieme militare e politica.

Quando a Milazzo i garibaldini si scontrarono con i borbonici non avevano più al loro fianco squadre e picciotti.

storia della insurrezione popolare del 1866.

Il nuovo Stato sabaudo lasciava esclusa dalla partecipazione politica la stragrande maggioranza della popolazione, che non aveva diritto di voto, ma che subiva una pesante imposizione fiscale sui consumi alimentari e che doveva prestare il servizio di leva obbligatorio mai prima adottato in Sicilia. L’annessione aveva poi sostituito un sistema centralista ad un altro e nessuna forma di autonomia era stata costituita in sfacciato contrasto con le lotte per l’indipendenza che in Sicilia erano state condotte nel corso del secolo. Il malcontento generale, nel momento in cui il nuovo Stato sembrava vacillare sotto il peso della duplice disfatta militare di Custoza e di Lissa e in cui comunque aveva dovuto ridimensionare il proprio dispositivo di occupazione militare, sfociò in una nuova insurrezione di Palermo per iniziativa delle squadre.

L’aggregazione dei rivoltosi appare ancora oggi spontanea, sia perché non riuscì ad esprimere dei veri e propri capi, sia perché gli obiettivi politici risultarono variegati o non ebbero il tempo di emergere. Per sette giorni e mezzo Palermo restò sotto il controllo della rivolta (da qui il nome di rivoluzione del sette e mezzo con cui l’evento fu poi ricordato). Il governo ed il comandante militare di Palermo Medici, già rivoluzionario e generale garibaldino, reagirono con durezza. 40.000 soldati, più del doppio di quanti i Borbone erano mai riusciti a mettere in campo contro la Sicilia insorta, e soprattutto il bombardamento massiccio e distruttivo di Palermo posero fine alla rivolta, mentre i Savoia annoveravano questa contro una città del proprio regno come l’unica vittoria militare in un anno di sconfitte per terra e per mare ad opera degli austriaci.

storia del movimento dei fasci dei lavoratori e della crisi istituzionale del 1892.

Le masse popolari urbane e rurali costruirono in poco tempo all’inizio degli anni ’90 uno strumento che superasse la loro emarginazione politica: per iniziativa di professionisti quali De Felice, Bosco, Barbato esse si raccolsero in associazioni chiamate fasci dei lavoratori che avevano scopi differenti varianti da associazione ad associazione. Nei locali in via Alloro si riunivano ad iniziare dal 1892 i fasci dei lavoratori di Palermo. In generale in queste associazioni emergevano particolarmente le finalità di mutuo soccorso in un’epoca in cui la previdenza sociale era inesistente e quelle a carattere rivendicativo sindacale. In ogni caso i fasci costituivano uno strumento politico ed elettorale notevole che consentiva agli strati sociali subalterni di avere in parlamento o nelle amministrazioni comunali persone che dichiaravano di rappresentarli. La diffusione del movimento avveniva in un momento economicamente difficile per la società siciliana. Infatti i prezzi agricoli erano discesi e così anche quelli dello zolfo, determinando una crisi sia nell’agricoltura sia nel settore minerario, i due cardini dell’economia siciliana. Per conseguenza i margini di profitto erano calati, alcune imprese avevano concluso l’attività e in termini reali i salari erano crollati, aumentando la conflittualità sociale tra la manodopera ed il ceto "civile". Durante il periodo dei fasci dei lavoratori si svilupparono qua e là movimenti per l’occupazione degli ex feudi, si proclamarono scioperi e, in alcuni casi, vi furono scontri e atti di violenza dall’una e dall’altra parte.

Crispi, Presidente del Consiglio, rivoluzionario nel 1848 e nel 1860, accusando i fasci di mirare in accordo con la Francia all’indipendenza della Sicilia, ordinò una dura repressione. Le corti marziali e le pesanti condanne liquidarono l’organizzazione, ma non riuscirono né a risolvere i problemi sociali, né ad addormentare le coscienze.

Pier Franco Rizzo

 

(Pubblicato sul n°1/2 Anno 15  Gennaio - Agosto 1998)
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