La Storia:
Incastonata nel cuore meridionale della Calabria, a sud di Cosenza
ed a nord di Reggio, la provincia vibonese appare sulle carte come
una tozza penisola che cerca l’abbraccio mite del pescoso Tirreno,
degradando verso la costa in un trionfo di uliveti e di odorosa
macchia mediterranea. Il Golfo di Sant’Eufemia a settentrione e il
Golfo di Gioia Tauro a meridione, cingono d’assedio le colline e i
rilievi montuosi dell’entroterra, addolcendo il clima e donando a
queste terre un’estate lunga quasi otto mesi l'anno, la stagione di Proserpina.
In suo onore, tra il VI e V secolo a.C. gli abitanti di Hipponion
eressero, poco distante dall’attuale Portosalvo, un maestoso tempio,
decantato nell’antichità come una delle meraviglie del mondo.
Trecento colonne di granito numidico e di alabastro, secondo quanto
riferiscono alcuni storiografi, ne delimitavano il porticato e
sorreggevano il tetto di legno, dando all’intera struttura
un’imponenza senza precedenti nella Magna Grecia. Di quella
straordinaria costruzione, oggi, resta intatto soltanto il mito che,
a differenza del tempio, ha resistito allo scorrere dei secoli, al
succedersi delle varie dominazioni ed alle razzie.
Una vera e propria stratificazione storica caratterizza Vibo
Valentia e la sua cronologia è affascinante quanto un ipotetico
viaggio nel tempo: dagli insediamenti pre-ellenici dei Siculi alla
polis greca, dalla dominazione Romana a quella Bizantina. Fino ai
Normanni che fecero della città, ribattezzata Monteleone, un centro
nevralgico della cultura, dell’arte e del commercio.
La città:
Vibo Valentia conserva intatte, nel proprio centro storico, le
geometrie del borgo medievale, costellato di palazzi monumentali in
tufo giallo e lastricato con grossi blocchi di pietra lavica. Qui,
nel gomitolo di strade che si avvolge intorno al nucleo antico del
capoluogo vibonese, l’architettura si fonde con l’arte, riservando
inattese emozioni. Come quelle offerte dal campanile della chiesa di
San Michele, capolavoro rinascimentale realizzato nel ‘600 su
disegni del celebre architetto senese Baldassarre Peruzzi.
Il corso principale taglia letteralmente in due la città,
inerpicandosi verso la collina che sovrasta il centro abitato e
sulla quale svetta solitario il grande Castello, edificato a metà
dell’anno Mille da Ruggiero il Normanno, che non si fece scrupolo di
utilizzare per la sua costruzione il materiale sottratto ai templi
greci, tra cui proprio quello di Proserpina. Il Castello Normanno,
che sorge con tutta probabilità sulle vestigia dell’Acropoli di
Hipponion, con le sue grandi torri cilindriche e la grande porta di
epoca Angioina, rappresenta senza dubbio il segno distintivo di Vibo
Valentia e ospita il Museo Archeologico Statale. Qui, è custodito
uno dei reperti più preziosi e suggestivi che ci siano mai giunti
dal passato ellenico: la Laminetta aurea, il più antico e completo
testo Orfico rinvenuto sia in Italia che in Grecia. Datata III sec.
a.C., questa sottile lamina d’oro, scoperta nel 1969 durante gli
scavi nella necropoli, porta incise le “istruzioni” affinché l’anima
possa giungere con certezza in un luogo beato ultraterreno. E senza
dubbio c’è qualcosa di magico, di imponderabile, in quel foglio
d’oro tempestato di simboli antichi, qualcosa che richiama alla
mente l’essenza stessa della cultura calabrese.
La Costa degli Dei:
Da queste parti “cultura” vuol dire anche e soprattutto esaltazione
della natura, delle sue suggestioni infinite, pronte a sorprendere
il viaggiatore a ogni passo, dietro ogni insenatura, al di là d’ogni
promontorio. Una natura per certi versi ancora incontaminata perché
aliena a un turismo di massa ed allo stesso tempo riplasmata
dall’opera sapiente di generazioni di agricoltori. Così come avviene
in altre splendide zone d’Italia, dove vigneti e frutteti
rappresentano spesso una peculiarità irrinunciabile del paesaggio,
il Vibonese offre al visitatore scorci di straordinaria intensità
emotiva. Gli uliveti ordinati e ombrosi, i campi di grano odorosi di
fecondità, gli aranceti e i limoneti prodighi di frutti aromatici
tutto l’anno. E poi i vigneti arroccati sui fianchi delle colline, i
canneti ondeggianti che mormorano all’unisono scossi dalla brezza
marina, il profumo inebriante delle zagare in fiore nelle caldi
notti estive. Ogni trasferimento, ogni spostamento da una località
all’altra diventa esso stesso, inaspettatamente, la ragione del
viaggio.
Così, da Vibo, ombelico culturale di questa terra, scendiamo verso
la costa. La suggestione di un altro antico maniero, questa volta
Angioino-Aragonese, coglie chi rivolga lo sguardo verso nord, verso
Pizzo. D’origine medievale, questa piccola cittadina è entrata a
pieno titolo nelle pagine della storia perché il 13 ottobre del 1815
fu testimone della fucilazione dell’ex re di Napoli, cognato di
Napoleone Bonaparte, Gioacchino Murat. Posizionato a strapiombo sul
mare, il centro storico di Pizzo è un dedalo di viuzze e di stradine
che si intersecano tra loro per convergere nella grande piazza che
anima le notti estive. Pizzo è, infatti, una delle località balneari
più note e prestigiose del Vibonese, che si contende con Tropea e
Capo Vaticano, nel Comune di Ricadi, il primato turistico
dell’intero territorio.
Rapiti da un incanto che non conosce soluzione di continuità, si
segue il profilo della Costa degli Dei, ora frastagliata e ricca di
insenature rocciose, ora morbida e sabbiosa. Lungo questo sinuoso ed
emozionante percorso che conduce a Sud, si incontra Briatico,
antichissimo insediamento che la tradizione vuole fondato dai greci
di Locri, costellato di ruderi di epoca medievale, è certamente tra
i siti archeologici più interessanti dell’intera provincia. E poi,
ancora più giù, verso Zambrone, Parghelia, Ioppolo, Nicotera.
Ed è proprio a meridione che la bellezza del paesaggio tocca il suo
acme. Qui, in direzione della provincia Reggina, protetta alle
spalle dalle ultime propaggini del verdeggiante altopiano del Poro,
appare Tropea, senza dubbio una delle località più note e
rappresentative della Calabria. «Questo paese mi rapisce – scrive
nell’Ottocento Astolphe de Custine – esso realizza tutto ciò che
avevo immaginato a proposito dei luoghi e del cielo del
Mezzogiorno». Il mito vuole che sia stata fondata da Ercole, figlio
di Giove e di Giunone, approdato su questi lidi di ritorno dalla
Spagna. Ma c’è anche chi ne attribuisce l’origine a Scipione
l’Africano, diretto a Roma dopo la vittoria su Cartagine. Ma la
storia, quella vera, fa nomi Romani, Normanni, Bizantini, Svevi,
Angioini, Aragonesi. Poco importa, qui la bellezza della natura non
ammette divagazioni storiche che possano distogliere troppo
l’attenzione dal suo indiscutibile primato. Un’egemonia ribadita
senza sosta dalla bellezza mozzafiato delle spiagge bianchissime,
dalle suggestioni tropicali di un mare turchese oltre
l’immaginabile, dal colore morbido del tufo usato per la costruzione
di monumenti e palazzi che sembrano sospesi sull’acqua, dalla sagoma
inconfondibile di Vulcano che si staglia sulla linea dell’orizzonte.
Come Tropea, anche Capo Vaticano, ultimo avamposto del Golfo di
Sant’Eufemia, vanta una fama internazionale ampiamente giustificata
non soltanto dall’immutato fascino dei luoghi, ma anche dalle
moderne strutture ricettive che hanno riformulato l’economia di
queste zone, un tempo di matrice squisitamente agro-alimentare,
consacrandone definitivamente la vocazione turistica.
L’entroterra montano: le Serre vibonesi
Ma questa provincia non ha soltanto un’anima di mare, fragrante di
sole e di salsedine, ha anche un pulsante cuore verde che batte
nell’entroterra. Lo stesso cuore che batte a Filadelfia, a due passi
dal lago dell’Angitola. Incastonata in un paesaggio lussureggiante,
Filadelfia appare come la porta ideale che conduce alla montagna.
Strana regione questa, dove l’essenza della natura non è univoca, ma
continuamente cangiante, capace di assumere aspetti fantastici ai
confini delle più improbabili suggestioni oniriche.
All’orizzontalità del Tirreno, sul quale lo sguardo spazia senza
ostacoli, si contrappone la verticalità del massiccio delle Serre,
con le fitte foreste di conifere, i secolari boschi di faggi, i
ruscelli cristallini, le ampie vallate e i lussureggianti altopiani.
Qui, dove la radici culturali delle comunità locali affondano
nell’austero carattere della montagna, sopravvivono tradizioni e
sapori antichi, salvaguardati nei secoli dall’isolamento che la
montagna impone a chi decide di condividerne le risorse.
«Sul retro del monastero c’è una maestosa foresta di abeti bianchi,
null’altro che abeti (...). Ero lì, nell’ora dorata che segue il
tramonto, e di nuovo nelle luce fioca del mattino madido di rugiada;
e mi sembrava che in questo tempio non eretto da mani umane
risiedesse una magia più naturale e più sacra, che non negli
ambulacri dei chiostri poco lontani». Così, nel 1915, Norman Duglas
descrive i luoghi dove sorge la Certosa di Serra San Bruno,
monumentale insediamento monastico fondato da Bruno di Colonia alla
fine del 1100, grazie alla benevolenza del Conte Ruggero
D’Altavilla, che donò al Santo fondatore dell’Ordine certosino
queste terre. Vera e propria oasi di pace, natura ed arte, la
Certosa attira, soprattutto d’estate, migliaia di visitatori alla
ricerca di ristoro per il corpo e l’anima, facendo di Serra e dei
centri limitrofi uno dei punti nevralgici del turismo locale.
I luoghi di culto:
Ma accanto ai luoghi di culto più prestigiosi e monumentali, la
provincia vibonese custodisce anche veri e propri scrigni di
devozione popolare come la leggendaria chiesetta di Piedigrotta, a
Pizzo, letteralmente scavata, dall’altare alle statue votive, nel
tufo poroso della costa.
Il sentimento religioso, fortemente radicato in tutte le genti del
Sud Italia, rappresenta una costante della cultura locale e trova
forse la sua massima espressione istituzionale in quella che fu la
capitale della Calabria Normanna, Mileto, sede del Vescovado sin da
quando Papa Gregorio VII la preferì a Vibo Valentia. Dirigendosi ad
occidente, oltrepassando la vallata del Mesima ed attraversando
l’altopiano del Poro, che, con i suoi campi coltivati a perdita
d’occhio e i suoi boschi ombrosi, è il rilassante crocevia di ogni
destinazione vibonese, si giunge qui, a Mileto appunto, ricchissima
di edifici di culto, tra cui, spiccano su tutti l’Abbazia
benedettina della Trinità e la Cattedrale. Ma sono tanti, troppi da
elencare, gli innumerevoli tesori che questo spicchio di Calabria
custodisce da millenni. Un patrimonio che rappresenta l’identità
stessa della gente vibonese, così orgogliosamente avvinta alle
proprie radici culturali ed alla propria memoria, nella
consapevolezza che, da queste parti, dietro ogni angolo fa capolino
la storia.
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