LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA.
PER UNA SCUOLA LENTA E NONVIOLENTA
EMI, Bologna 2009
Libro di Gianfranco Zavalloni
Recensione di Laura Tussi
La scuola contemporanea, come la società
umana, è incentrata sul traguardo della velocità, dell'accelerazione,
della competizione.
"La Pedagogia della Lumaca", l’ultimo libro di Gianfranco Zavalloni, è una
provocazione.
E' l'elogio della lentezza, del ritardo, del tempo dell'attesa.
Il sistema attuale, trionfante di materialismo, esacerbato di fittizi
slogan e tracotante di vacuità edonistiche in eccesso di apparenza e
futilità, votato al mito dell'economico e dell'efficientismo sfrenato,
nell'alienante espropriazione del soggetto-persona, con la perdita di
punti di riferimento e di ideali classici di equilibrio, soppiantati
dall'imperante massificazione consumistica, dal mito capitalistico del
potere egoico e del primato dell'economico esclude radicalmente dalla
propria concezione capitalista ed edonista, pesante e devastatrice, il
“pensiero debole” della lentezza, che implica l'accettazione di tutto ciò
che è leggerezza, l'accoglienza della fragilità, propria e altrui, la
valorizzazione della fanciullezza e dell'immaturità, nel tempo educativo
dell'attesa, dove il rallentare diviene un imperativo di sopravvivenza da
parte di quell'homo economicus che dovrebbe trovare il coraggio di
recuperare e scoprire altre dimensioni vere ed autentiche della vita
umana.
Davvero risulta urgente un risveglio catartico e rigeneratore dal torpore
della civiltà occidentale capitalista, che ha indotto l'uomo al traguardo
della globalizzazione forzata, con il mito della crescita esponenziale
economica, senza limiti, dove tutto intorno è competizione,
prevaricazione, arroganza, nella legge del più forte, della volgarità
triviale.
Come creare dunque una società migliore improntata su esempi di vita
semplici, dove anche un bambino possa apprezzare valori etici e
riappropriarsi di caratteristiche che risultano innate ed implicite?
L'esigenza di lentezza e non violenza, di leggerezza e fragilità, come
accettazione dello scarto, del limite, dell'inferiorità,
dell'inefficienza, del saper apprezzare ciò che non è pienamente efficace
ed efficiente, attivo, bello, giovane e prestante è un valore contro i
disvalori livellatori e omologanti dettati e imposti dal mito consumistico
del sempre nuovo, dell'innovativo, dell'efficace, che risultano
fondamentalmente sprezzanti nei confronti di chi è lento, di chi rimane
indietro, di chi non sa stare al passo con i tempi, di chi non ce la fa a
riemergere o, semplicemente, a sopravvivere alla farsa pretestuosa e
opportunistica della modernità incalzante e dell'epoca del sempre nuovo.
Occorre scoraggiare la rincorsa affannosa ed infelice verso la chimera del
benessere materiale eccessivo, superfluo e, per questo motivo,
schiavizzante e, al contrario, incentivare il richiamo della semplicità
nella vita, nel quotidiano, nelle relazioni con tutti e con ciascuno,
nella fragilità degli stati d'animo, nella lentezza di risposte a quesiti
mai posti, nella precarietà degli affetti, dei sentimenti, degli scarti
emozionali di insuccessi esistenziali.
Laura Tussi |