LA MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE
NEI SERVIZI SOCIO-SANITARI
L'arrivo della popolazione immigrata nei Servizi socio-sanitari ha aperto il dibattito sull'accessibilità delle risorse territoriali e sull'adeguatezza delle stesse alla domanda di salute espressa da un'utenza relativamente nuova e, nella maggior parte dei casi, poco conosciuta.
Parlando di Servizi socio-sanitari si fa riferimento a realtà estremamente diverse, con specifiche aree di intervento, accomunate però dalle difficoltà incontrate nel confronto con la nuova tipologia di utenza. Difficoltà nate dall'assenza di una "lingua comune" che, inquadrate all'interno della complessa cornice del disagio fisico, psicologico, sociale generano inevitabili e reciproci sentimenti di sfiducia, ostacolando il percorso - già non semplice - dell'integrazione.
In tutti i casi un contributo essenziale può derivare dalla mediazione linguistico-culturale, immaginario ponte gettato a superamento delle barriere comunicative.
Il mediatore linguistico-culturale (MLC) che lavora in ambito socio-sanitario affianca alla propria formazione generale sulla mediazione una competenza specifica rispetto all'ambito d'intervento. Se ancora si discute, infatti, sull'opportunità di formare figure altamente specializzate, è indubbio però che il MLC debba conoscere a fondo il Servizio in cui opera, le sue modalità di lavoro (teoriche e pratiche), il linguaggio che utilizza, le figure professionali che ne compongono l'équipe, in altre parole il "chi c'è", "cosa fa", "in che modo". Tutto ciò accompagnato da un'attenzione e un'informazione costante sulle disposizioni di legge in materia di assistenza socio-sanitaria per gli immigrati.
Non si intende il MLC come risorsa fruibile solo al momento dell'urgenza, né si auspica il suo intervento con funzioni esclusive di interpretariato linguistico (per quanto spesso necessarie): solo una presenza costante all'interno dei Servizi territoriali ne permette il "riconoscimento" da parte degli operatori come dell'utenza, attivando processi di cambiamento a lungo termine e portando a risultati stabili.
Non "schierato" ma difficilmente vicino all'ideale (forse sterile) di assoluta neutralità, semmai trait-d'union fra le parti, il MLC entra a far parte di un sistema (operatori-MLC-utenti) che si vorrebbe flessibile, in costante riflessione su se stesso e in dialogo con gli altri sistemi del territorio.
La sua presenza incoraggia la conoscenza delle culture altre o, nello specifico, degli aspetti di queste che più incidono nel contatto con i Servizi in questione (concezione di salute e malattia, di cura e di aiuto ecc…). Questo non allo scopo di creare nuovi "esperti in immigrazione" (ammesso che ciò sia possibile!) ma figure professionali aperte alla diversità e attente all'influenza che essa esercita sul percorso di presa in carico e cura.
Il cambiamento o "l'aggiustamento" delle modalità operative (talvolta bastano pochi accorgimenti apparentemente banali) porta alla formulazione di ipotesi di lavoro più confacenti alle caratteristiche della popolazione immigrata e, va da sé, più efficaci.
In parallelo, il contatto con l'utenza, sia all'interno delle strutture che nel territorio, ne facilita l'accesso ai Servizi, permettendo una migliore formulazione della domanda d'aiuto e una corretta fruizione delle possibilità terapeutiche dei sistemi di trattamento.
Nel territorio dell'Azienda ULSS n.8 di Asolo si è avuto modo di sperimentare direttamente le opportunità offerte dall'inserimento dei MLC in ambito socio-sanitario, grazie ad un progetto avviato in via sperimentale nell'anno 2001 ed ancora in corso.
Il progetto impiega attualmente cinque MLC (aree del Maghreb, Cina, Romania e Albania) che supportano stabilmente gli operatori socio-sanitari dei Servizi territoriali in tutte le attività di routine (visite domiciliari, colloqui medici e psicologici ecc…).
Oltre ai Servizi dell'area materno-infantile (Consultori familiari e pediatrici, Servizi di Neuropsichiatria infantile, Reparti ospedalieri di Ostetricia, Ginecologia e Pediatria) coinvolti nell'iniziativa già nella fase di avvio, la presenza dei mediatori è stata progressivamente estesa agli ambulatori del Dipartimento di Prevenzione, agli Uffici amministrativi, ai Servizi per le dipendenze (Sert e Alcologia) e, con una modalità "a chiamata" rispondente a situazioni emergenziali, a tutti i reparti delle due Aziende Ospedaliere esistenti nel territorio (Castelfranco Veneto e Montebelluna).
La valutazione di tale esperienza è sicuramente positiva, nonostante le prevedibili difficoltà che, nascendo proprio dalla "sperimentalità" del progetto, diventano un valido bagaglio informativo riutilizzabile in futuro.
La presenza delle mediatrici nell'area materno-infantile ha fornito importanti delucidazioni sulle tematiche della sessualità, della maternità, dell'accudimento all'infanzia nelle proprie culture di appartenenza, tematiche ulteriormente approfondite nell'ambito degli incontri di formazione denominati "Cerchi interculturali" tenutisi nell'anno passato. Il loro arrivo nei Servizi, una volta superata la naturale diffidenza che nasce dal timore della stigmatizzazione, è stato ben accolto dalle frequentatrici degli stessi, donne che spesso rappresentano la parte più silenziosa e fragile della comunità immigrata.
Non dissimile l'esperienza effettuata nell'area del "disagio sociale" (Servizi di alcologia e per le tossicodipendenze), particolarmente delicata vista la natura delle problematiche che, socialmente connotate, espongono ad un alto rischio di marginalizzazione. Oltre che nel contatto con l'utenza la presenza dei mediatori è servita per stimolare la riflessione sul significato dell'uso di sostanze nella cornice dell'esperienza migratoria, sul rapporto con le stesse in culture differenti dalla nostra e su eventuali programmi di intervento. Le considerazioni fatte suggeriscono l'opportunità di continuare e potenziare le azioni territoriali di informazione e sensibilizzazione, mirate non tanto ad una politica di riduzione del danno quanto ad accelerare e facilitare l'ingresso nei Servizi di competenza. In questo senso si muovono tutte le attività portate avanti all'interno del progetto "Alcol e immigrazione".
Ci si augura, naturalmente, che tutto ciò abbia un seguito duraturo, che sia l'inizio di un percorso destinato a garantire realmente il diritto alla salute e ad incrementare la cultura dall'accoglienza.
Chiara Moretti
Cooperativa "Una casa per l'uomo"