LA TRIBU' DEI PAPALAGI Tuiavii, un saggio capo indigeno delle isole Samoa, compì un viaggio in Europa agli inizi del 1900, venendo a contatto con gli usi e costumi dei papalagi, l'uomo bianco. Ne trasse delle impressioni che gli servirono per mettere in guardia il suo popolo dal fascino pericoloso dell'Occidente. Dietro l'apparente leggerezza e bonarietà, "Papalagi" è un trattato tecnologico esilarante e atroce sulle perversioni e i falsi miti della tribù dei bianchi. "Il Papalagi ha un modo di pensare particolare ed estremamente contorto. Pensa sempre a come qualcosa possa essergli utile e a come averne ragione. Pensa sempre a una sola persona, non a tutte quante. È questa persona è lui stesso. Se un uomo dice: "La mia testa è mia e non appartiene ad altri che a me", le cose stanno proprio così, e nessuno può obiettare niente. Nessuno ha più diritti sulla propria mano della persona stessa a cui appartiene. Fino a questo punto do ragione al Papalagi. Ma lui dice anche: l'albero è mio. Perché si trova proprio davanti alla sua capanna. Proprio come se l'avesse fatto crescere lui stesso. L'albero però non è affatto suo. Non lo sarà mai. È la mano di Dio che dalla terra si tende verso di noi. Dio ha molte mani. Ogni albero, ogni fiore, ogni filo d'erba, il mare, il cielo con le sue nuvole, tutte queste sono mani di Dio. Possiamo afferrare queste mani ed esserne contenti, ma non possiamo dire: la mano di Dio è la mia mano. Questo però è quel che fa il Papalagi." |