Giornata della memoria, per ricordare, 
ma anche per riflettere su noi, sull'oggi

Il rischio che il giorno della memoria diventi un'abitudine e una celebrazione che si svuota via via di contenuti è molto concreto. Molti istituti scolastici ed enti culturali dedicano ampio spazio a questo evento annuale con produzioni anche di elevata qualità e partecipazione sentita di studenti e docenti. Quello che appare dissonante è a volte l'idea che la Shoah sia congelata in un tempo e in un'epoca ben definite. Manca una riflessione sull'attualità di forme di discriminazione e di intolleranza che si manifestano tuttora sotto vari cieli.
Altra riflessione che spesso manca è quella relativa al "noi oggi", nei quotidiani ambienti di vita. Sono molti gli istituti scolastici che vantano produzioni artistiche di elevato interesse e valore sulla Shoah, ma poi fanno fatica ad accettare il "diverso", chi ha ridotte capacità intellettive o chi viene da lontano.

Se facciamo passare questi contenuti solo con la "mente" e non con tutta la corporeità dei suoni, dei saperi e dei sapori, delle narrazioni e delle emozioni del nostro "prossimo", vicino di casa, di pianerottolo, di banco, rischiamo di fare della tragedia della diaspora un'icona, che sarà sempre più vissuta come lontana nel tempo e nello spazio.

La storia dei quei terribili eventi dimostra che basta poco, un niente perché "la bestia" che è dentro all'uomo si scateni, riportando l'orologio della storia ai più cupi periodi del medioevo. Lo abbiamo visto nei Balcani pochi anni fa...

Un episodio illuminante ci viene descritto da Jan Gross che ha ricostruito cosa avvenne nel villaggio di Jedwabne, in Polonia il 10 luglio del 1941. Nel piccolo paese vivevano circa 2.500 abitanti, 1600 di essi erano ebrei, gli altri cattolici. Quel giorno arrivarono i nazisti ad occupare il villaggio e non ebbero bisogno di scomodarsi per sterminare gli ebrei. Permisero alle autorità locali e alla cittadinanza "ariana" di dar la caccia ai concittadini ebrei: a sera solo sette ebrei riuscirono a salvarsi, tutti gli altri furono trucidati a colpi di randelli, asce, attrezzi da lavoro, bastoni e con un gran finale centinaia di essi, costretti in un granaio, furono bruciati vivi con gran tripudio della brava gente. 
Erano i vicini di casa, che per anni si erano scambiati il saluto o il latte, avevano riso e pianto assieme, giocato assieme a carte o a pallone, erano andati in gita insieme; era il vicino che aveva cucito il vestito, tagliato la barba, venduto le mele...

Il libro si chiama in polacco "I vicini di casa" e in Italiano "I carnefici della porta accanto" (Mondadori 2002)