Gli immigrati un secolo fa Una ciocca di capelli, una vecchia chiave che aveva perduto la sua porta, una pipa che aveva perduto la sua bocca, il nome di qualcuno ricamato su un fazzoletto, il ritratto di qualcuno in una cornice ovale, una coperta che era stata condivisa e altre cose e cosette erano avvolte fra i vestiti nelle valigie degli esiliati. Non era molto quello che ci stava in ogni valigia ma in ognuna ci stava un mondo. Sbilenca, sconquassata, legata con lo spago o chiusa male da serrature rugginose, ogni valigia era come tutte le altre, ma nessuna era uguale a nessun'altra. Gli uomini e le donne giunti da lontano si lasciavano portare, come le loro valigie, da una fila all'altra, e si stipavano, come loro, in attesa. Venivano da villaggi invisibili sulla cartina geografica e, dopo la lunga traversata, erano sbarcati a Ellis Island. Erano a un passo dalla Statua della libertą, che era arrivata un po' prima di loro al porto di New York. Sull'isola era in funzione il filtro. I custodi della terra promessa interrogavano e classificavano gli immigranti, gli auscultavano il cuore e i polmoni, gli studiavano le palpebre, la bocca e le dita dei piedi, gli pesavano e gli misuravano la pressione, la febbre, la statura e l'intelligenza. Gli esami dell' intelligenza erano i pił difficili. Molti dei neo arrivati non sapevano scrivere o riuscivano solo a balbettare parole incomprensibili in lingue sconosciute. Per definire il loro quoziente intellettivo dovevano rispondere, tra le altre domande, a come si spazzava una scala: si spazzava verso l'alto, verso il basso o verso i bordi? Eduardo Galeano - da "Le labbra del tempo", Sperling & Kupfer Editori |