FRANCO
BASAGLIA: UN RICORDO
A 30 anni dalla L.180
|
«Una favola orientale racconta di
un uomo cui strisciò in bocca, mentre dormiva, un serpente. Il
serpente gli scivolò nello stomaco e vi si stabilì e di là
impose all'uomo la sua volontà, così da privarlo della libertà.
L'uomo era alla mercé del serpente: non apparteneva più a se
stesso. Finché un mattino l'uomo sentì che il serpente se n'era
andato e lui era di nuovo libero. Ma allora si accorse di non
saper cosa fare della sua libertà: "nel lungo periodo del
dominio assoluto del serpente egli si era talmente abituato a
sottomettere la sua propria volontà alla volontà di questo, i
suoi propri desideri ai desideri di questo, i suoi propri impulsi
agli impulsi di questo che aveva perso la capacità di desiderare,
di tendere a qualcosa, di agire autonomamente. In luogo della
libertà aveva trovato il vuoto, perché la sua nuova essenza
acquistata nella cattività se ne era andata insieme col serpente,
e a lui non restava che riconquistare a poco a poco il precedente
contenuto umano della sua vita".
L'analogia di questa favola con la condizione istituzionale del
malato mentale è addirittura sorprendente, dato che sembra la
parabola fantastica dell'incorporazione da parte del malato di un
nemico che lo distrugge, con gli stessi atti di prevaricazione e
di forza con cui l'uomo della favola è stato dominato e distrutto
dal serpente. Il malato, che già soffre di una perdita di libertà
quale può essere interpretata la malattia, si trova costretto ad
aderire ad un nuovo corpo che è quello dell'istituzione, negando
ogni desiderio, ogni azione, ogni aspirazione autonoma che lo
farebbero sentire ancora vivo e ancora se stesso. Egli diventa un
corpo vissuto nell'istituzione, per l'istituzione, tanto da essere
considerato come parte integrante delle sue stesse strutture
fisiche.»
(in Corpo e istituzione, 1967) |
|