IL SALTO

di Antonio Vigilante ( http://minimokarma.blogsome.com)

Si tratta di capire il momento esatto. Le gambe ti tremano, non è una cosa da nulla. Il camion sussulta, è buio. Paura, paura. Ma bisogna farlo, bisogna farlo prima che il camion si fermi, prima che aprano il telone, prima che qualcuno si accorga che sei qui. Si tratta di capire il momento esatto: potrebbe essere ora, tra cinque minuti, tra due ore. Alla fine - è una delle cose che rendono così assurda la vita, come dicono alcuni - il momento esatto non esiste: non c’è nulla che suona, nessun allarme, nessuna campana, anche se c’è chi si ostina a dire che in questi casi l’ora è suonata, o è arrivata: quasi si trattasse di una qualche presenza che gira il mondo e fa scattare gli orologi, mettendo d’accordo lo spazio ed il tempo, la casualità dei luoghi con l’inesorabilità del destino. Il momento esatto è semplicemente quando non ne puoi più. Quando non ce la fai, quando qualunque cosa succeda è meglio di quello che c’è.
E’ inutile che mi sforzi, per quanto ci provi io non posso sapere come sta chi si trova in una situazione del genere. Ho detto: paura, paura. Ma so davvero cos’è la paura? Posso dire di conoscere la sua paura? Posso richiamare alla memoria come mi sono sentito in situazioni difficili, ma presto mi accorgo, con un po’ di vergogna, che le mie situazioni più difficili non hanno assolutamente nulla a che vedere con l’esperienza di questa persona. Posso provare a riconsiderare il battito più forte, più spaventato, più rabbioso del mio cuore ed amplificarlo con l’immaginazione: raddoppiarlo, triplicarlo, decuplicarlo. Ma sarei ancora lontano, credo, da quello che prova adesso questa persona, che sta sul retro di un camion e si sforza di capire il momento esatto.
Il momento esatto, il tempo-luogo in cui si incontrano la casualità dei luoghi e l’inesorabilità del destino è sulla autostrada A14, nel tratto tra Cerignola e Foggia. E’ questo il luogo, è questo il tempo per il salto.
Cosa avrà pensato prima di saltare? Non possiamo sapere nemmeno questo. Forse non ha pensato, se per pensare intendiamo esprimere frasi mentali compiute come “speriamo che mi vada bene, un altro po’ ed è finita”. In genere non è questo che accade nelle nostre teste. In genere ciò che chiamiamo pensare non è che un caotico succedersi di immagini suoni voci colori, inframmezzati solo di tanto in tanto - quando vogliamo darci un tono con noi stessi, diciamo - dalle frasi mentali vere e proprie. Non possiamo sapere cosa ha pensato prima di saltare, probabilmente niente, per così dire: si sarà semplicemente concentrato sul salto, che per la sua difficoltà richiede in effetti la massima attenzione e coordinazione. Può essere che un istante prima gli sia comparsa qualche frase mentale a carattere religioso, qualcosa come “Dio aiutami” o “Dio proteggimi”.
Davvero non possiamo saperlo. Quello che sappiamo è che l’indomani una giornalista scriverà che “un cittadino straniero, clandestino, di nazionalità araba”, “un eritreo di 22 anni”, si è buttato da un tir in corsa, ha battuto la testa contro il guard-rail e poi contro il muretto che delimita l’autostrada. Ed è morto.
Dietro la sciatteria dell’articolo, che fa del giovane al tempo stesso un eritreo ed un arabo, scorgiamo il disinteresse, la disattenzione, l’incuria stessa che hanno permesso che nascesse quell’orrore che è la categoria del clandestino - che si condannasse tacitamente a morte chi per nostro decreto, per la decisione collettiva dei benviventi, è stato relegato nella dimensione dei quasi-morti, dei non-più-uomini.
Chiudere gli occhi e sforzarsi di immaginare gli ultimi istanti di questo ragazzo, il momento del salto, la paura, il tremore delle gambe, forse anche la speranza, vorrebbe essere un tentativo di recuperarlo, di riportarlo al di qua, di entrare in qualche modo in rapporto con lui, di rifiutarsi di accettare che sia un arabo eritreo clandestino, vale a dire un nulla che non interessa a nessuno. Ma è una pia intenzione - come cercare di capire cosa vuol dire aver fame facendo digiuno per un giorno.
Noi siamo di qua e loro di là. Noi siamo vivi e loro quasi-morti. Non escludo che si scopra il contrario, ad una analisi più attenta.