L' ita(g)liano a scuola sempre più sconosciuto
15 marzo 2012
I DATI sono chiari, spietati nella loro oggettività,
incontestabili,e ci rivelano una verità che purtroppo conoscevo già da tempo:
gli studenti italiani non sanno più scrivere. In tanti anni di insegnamento,
dopo aver letto e corretto migliaia di temi, posso affermare con triste
sicurezza che sono pochissimi i ragazzi capaci di sviluppare un ragionamento
scritto.
CAPACI di argomentare, esemplificare, cucire le parole e le frasi tra di loro
secondo logica e fantasia. Gli errori sono tanti, le concatenazioni sono
slabbrate, il periodare è sgretolato, il lessico poverissimo. Sembra quasi che
traducano pensieri ed emozioni in una lingua straniera, come quando cerchiamo di
farci capire in inglese o in francese, già contenti se qualcuno più o meno ha
compreso di cosa stiamo parlando, cosa ci serve, dove siamo diretti. Resta da
capire da dove nasce questo smarrimento linguistico, come mai un diciottenne
italiano fatica tanto ad esprimersi nella sua lingua. Certo, si legge poco, i
libri sono considerati una noia mortale e anche i giornali sono visti come forme
di un' altra epoca, reperti storici che misteriosamente continuano a uscire
tutti i giorni. Ma forse la magagna sta ancora prima, nelle modalità del
pensiero. Si scrive male perché non c' è più fiducia e confidenza nel pensiero,
perché sono saltati i nessi logici, la capacità di legare una riflessione a un'
altra, un aneddoto a una considerazione, un prima a un poi. La lingua in fondo è
soprattutto l' arte di annodare, incollare, saldare, è lo strumento fondamentale
per dare un ordine al caos delle sensazioni e delle esperienze. Scrivendo ogni
strappo si ricuce, ogni attimo si connette all' attimo seguente, l' informe
trova una forma e quindi una possibile spiegazione. Ma i ragazzi della scuola
non sentono più il bisogno di mettere a punto questo strumento: dicono qualcosa
e poi il contrario, avanzano a salti, per intuizioni immediate, senza più la
voglia di mettere le cosa in fila nel pensiero e nella scrittura. Ridono,
piangono, si arrabbiano, sono felici, vivono il caos senza credere più nella
logica, vivono la vita senza parole e senza sintassi.
- MARCO LODOLI