Come spiegare ai ragazzi che le "razze" non esistono e che siamo tutti uguali?

Vi sono due modi per affrontare la questione. 
La prima, più facile, è quella cognitiva e consiste in un una serie di considerazioni che possono andare dalla biologia alla storia, dalla sociologia alla geografia.

La seconda, più impegnativa è data dal metodo di lavoro, dalla qualità dell'interazione che prima l'insegnante deve avere verso tutte le "diversità" presenti all'interno della classe: non solo tra alunni stranieri e italiani, ma anche tra maschi e femmine o nel riconoscimento, rispetto e valorizzazione delle differenti intelligenze e abilità dei suoi alunni. Deve inoltre essere capace di tessere all'interno del gruppo-classe una rete di relazioni significative impedendo che vi siano elementi discriminati e isolati.

Sulle considerazioni contenutiste possiamo suggerire qualche argomentazione che andrà modulata per ordine di scuola e che dovrà essere posta con modalità interattive, facendo di volta in volta partecipare i ragazzi con spunti personali. Si potrebbe pensare, se c'è tempo e modo, di organizzare dei gruppi di lavoro perché i ragazzi vengano a scoprire da soli certe acquisizioni, che diventeranno allora molto più coinvolgenti.

1. La natura si è sviluppata grazie all'incontro di "differenze". Dal primo essere unicellulare alla meravigliosa varietà che costituisce oggi l'insieme degli esseri viventi è tutto un susseguirsi incessante di incontri tra "diversi" che mettendo insieme il proprio patrimonio genetico ha dato vita ad esseri sempre più complessi e specializzati. La genetica ci conferma che i geni responsabili delle differenze visibili nell'uomo (il colore della pelle o il tipo di capelli per esempio) sono dovute all'adattamento dell'organismo alle condizioni climatiche dell'ambiente. 
Sarebbe stato un guaio se i primi esseri si fossero sempre incontrati con i loro simili: saremmo ancora delle amebe. 


2. Anche nella crescita psicologica di una persona, perché diventi matura, è indispensabile l'incontro con l'altro. Con la madre prima e poi via via con i parenti, con i compagni della scuola, dalla materna all'università, con il partner della propria vita, con un crescendo di rapporti complessi, che saranno determinanti nella costituzione della nostra personalità. Anche qui sarebbe un guaio se incontrassimo solo persone identiche a noi: senza scambi di qualità con qualcuno diverso da noi la vita sarebbe noiosa e grigia.

3. La storia dell'umanità è poi tutta una storia di fusioni di gruppi diversi. Le migrazioni per motivi economici ci sono sempre state fin dall'antichità toccando tutti i continenti. Per questo nessuna cultura ha una sola origine, ma "è il frutto di culture, lingue, saperi che si sono incontrati e continuano a incontrarsi fondendosi gli uni negli altri" (Giusti).
Serres ha usato la bella metafora del "mantello di Arlecchino": l'identità di tutti gli esseri umani è fatta come il mantello di Arlecchino, di pezzi multicolori, brandelli, pezze che si tessono sopra altre, di forme e colori variegati. Ogni nostra conoscenza nuova e vecchia è un ibrido di altre conoscenze, che a loro volta derivano da altri incroci, mescolanze, strappi e cuciture.
L'identità di un popolo non è data dunque una volta per tutte: è un processo in continuo movimento, che si arricchisce e si modifica costantemente: anzi è proprio questo suo rinnovarsi che ne garantisce la qualità e la durata. I popoli che per motivi geografici sono rimasti isolati per molto tempo si sono estinti o sono stati facilmente sopraffatti da quelli che avevano accumulato, con le variegate pezze di Arlecchino, maggiori conoscenze e abilità.


Per tornare dunque alla domanda iniziale, possiamo concludere affermando che le razze non esistono e chi ha provato a esaltarne qualcuna come razza pura o eletta, oltre a dire una falsità non ne è venuto fuori niente di buono per l'umanità: guerre, distruzioni, sofferenze, dalla Shoa degli ebrei ai recenti drammi della ex Jugoslavia o alle guerre tribali dell'Africa subsahariana.

Affermando questo quindi dobbiamo ribadire anche che non è vero che siamo tutti uguali. Semmai è vero il contrario: io sono unico e diverso, ma esattamente come tutti gli altri e noi insegnanti dobbiamo con sforzo pedagogico-educativo far "vivere la differenza nell'uguaglianza" (Todorov)


pasquale cananzi