In dodici mesi un milione di donne ha subito violenze
Per le più giovani ancora oggi è questa la prima causa di morte
Violenza sulle donne: La strage delle innocenti
L'ultimo stupro ieri, a Pordenone, in pieno centro: lei
ghanese, lui italiano
Un manifesto contro la violenza
di ANNA BANDETTINI
MILANO - I loro nomi, le loro storie restano come memorie, la prova di una
verità odiosa, crudele: Hina accoltellata a Brescia dal padre, Vjosa uccisa dal
marito a Reggio Emilia, Paola violentata a Torre del Lago, Sara colpita a morte
da un amico a Torino... L'ultima è stata resa nota ieri: una ventenne originaria
del Ghana, costretta ad un rapporto sessuale in pieno centro a Pordenone.
In Italia, negli ultimi dodici mesi, un milione di donne ha subito violenza,
fisica o sessuale. Solo nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141
sono state oggetto di tentato omicidio, 1805 sono state abusate, 10.383 sono
state vittime di pugni, botte, bruciature, ossa rotte. Leggevamo che le donne
subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c'è odio razziale, dove
c'è povertà, ignoranza, non da noi.
Eccola la realtà: in Italia più di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una
volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, ci dicono i dati Istat
e del Viminale che riportano un altro dato avvilente.
Le vittime - soprattutto tra i 25 e i 40 anni - sono in numero maggiore donne
laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un
sopruso la loro emancipazione culturale, economica, la loro autonomia e libertà.
Da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne
tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una piaga
sociale, come le morti sul lavoro e la mafia. Ogni giorno, da Bolzano a Catania,
sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono
abusi. Il 22 per cento in più rispetto all'anno scorso, secondo l'allarme
lanciato lo scorso giugno dal ministro per le Pari Opportunità, Barbara
Pollastrini, firmataria di un disegno di legge, il primo in Italia
specificatamente su questo reato ora all'esame in commissione Giustizia.
"È un femminicidio", accusano i movimenti femminili, "violenza maschile contro
le donne": così sarà anche scritto nello striscione d'apertura del corteo a Roma
di sabato 24, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle
donne istituita dall'Onu, una manifestazione nazionale che ha trovato l'adesione
di centinaia di associazioni impegnate da anni a denunciare una realtà spietata
che getta un'ombra inquietante sul tessuto delle relazioni uomo-donna.
Sì, perché il pericolo per le donne è la strada, la notte, ma lo è molto di più,
la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del
bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verità
molto più brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia,
solida o dissestata, borghese o povera, "si confonde con gli affetti, si annida
là dove il potere maschile è sempre stato considerato naturale", come spiega Lea
Melandri, saggista e femminista.
L'indagine Istat del 2006, denuncia che il 62 per cento delle donne è
maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3 per cento
nei casi di violenza sessuale, e il 69,7 per cento per lo stupro. "Da anni
ripetiamo che è la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che
subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita", denuncia "Nondasola",
la Casa delle donne di Reggio Emilia a cui si era rivolta Vjosa uccisa dal
marito da cui aveva deciso di separarsi. "Da noi partner e persone conosciute
sono i colpevoli nel 90 per cento delle violenze che vediamo. E purtroppo c'è un
aumento", dice Marisa Guarnieri presidente della Casa delle donne maltrattate di
Milano. "All'interno delle mura domestiche la violenza ha spesso le forme di
autentici annientamenti - spiega Marina Pasqua, avvocato, impegnata nel centro
antiviolenza di Cosenza, una media di 800 telefonate di denuncia l'anno - Si
comincia isolando la donna dal contesto amicale, poi proibendo l'uso del
telefono, poi si passa alle minacce e così via in una escalation che non ha
fine".
In Italia, l'indagine Istat ha contato 2 milioni e 77mila casi di questi
comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno
sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di
vivere. "Nella nostra esperienza si comincia con lo stalking e si finisce con un
omicidio", accusa Marisa Guarnieri. Per questo le donne dei centri antiviolenza
hanno visto positivamente l'approvazione, lo scorso 14 novembre in Commissione
Giustizia, del testo base sui reati di stalking e omofobia.
Sanzionare penalmente lo stalking, significa, tanto per cominciare,
riconoscerlo. "Molte donne vengono qui da noi malmenate o peggio e parlano di
disavventura. Ragazze che dicono "me la sono cercata", donne sposate che si
scusano: "lui è sempre stato nervoso"...", racconta Daniela Fantini, ginecologa
del Soccorso Violenza Sessuale di Milano, nato undici anni fa per iniziativa di
Alessandra Kusterman all'interno della clinica Mangiagalli di Milano. È in posti
come questo, dove mediamente arrivano cinque casi a settimana, che diventa
evidente un altro dato angoscioso: come intrappolate nel loro dolore, il 96%
delle donne non denuncia la violenza subita, forse per paura. Forse perché non
si denuncia chi si ha amato, forse perché non si hanno le parole per dirlo.
La manifestazione di sabato a Roma vuole spezzare proprio questo silenzio. "Una
occasione per prendere parola nello spazio pubblico", come dice Monica Pepe del
comitato "controviolenzadonne" che vorrebbe un corteo di sole donne. E Lea
Melandri: "Manifestiamo per dire che la violenza non è un problema di pubblica
sicurezza, né un crimine di altre culture da reprimere con rimpatri forzati, e
che per vincerla va fatta un'azione a largo raggio". Va fatta una legge,
concordano tutti. "Speriamo di arrivarci in tempi brevi - promette Alfonsina
Rinaldi del ministero per le Pari Opportunità - Oggi abbiamo finalmente le
risorse per lanciare l'osservatorio sulla violenza e in Finanziaria ci sono 20
milioni di euro per redarre il piano antiviolenza".
"Serve una legge che non cerchi scorciatoie securitarie ma punti a snidare la
cultura che produce la violenza - dice Assunta Sarlo tra le fondatrici del
movimento "Usciamo dal silenzio" - Una legge come quella spagnola, la prima che
il governo Zapatero ha voluto perché riguarda la più brutale delle
diseguaglianze causata dal fatto che gli aggressori non riconoscono alle donne
autonomia, responsabilità e capacità di scelta. Ecco il salto culturale.
Chiediamo che anche da noi il tema della violenza sia assunto al primo punto
nell'agenda politica dei governi.
Chiediamo un provvedimento che dia risorse ai centri antiviolenza e sistemi di
controllo della pubblicità e dei media, cattivi maestri nel perpetuare
stereotipi che impongono sulle donne il modello "fedele e sexy". E chiediamo
agli uomini di starci accanto, di fare battaglia con noi".
Qualcuno si è già mosso. Gli uomini dell'associazione "Maschileplurale", per
esempio, che aderiscono alla manifestazione romana. "Sì, gli uomini devono
farsene carico. La violenza è un problema loro, non delle donne - dice Clara
Jourdan, della "Libreria delle Donne" di Milano, storico luogo del femminismo
italiano - Sarebbe ora che cominciassero a interrogarsi sulla sessualità e sul
perché dei loro comportamenti violenti. E riconoscere l'altro, il maschile,
potrebbe essere utile anche alle donne". Nel caso, a fuggire per tempo.
(La Repubblica 21 novembre 2007)