Ricci o corvi?
Riflessioni e contenuti per una metodologia interculturale
di Adel Jabbar*
Di fronte a bambini e adolescenti stranieri occorre guardarsi dalla tentazione
di piegare la diversità a ciò che questa corrisponde nel nostro immaginario,
così come evitare la facile semplificazione di dire “sono tutti uguali”. Siamo
certamente tutti uguali in dignità, ma diversi nei vissuti, nelle competenze.
Purtroppo c’è sempre la tendenza a parlare degli immigrati in termini di folla,
mentre si tratta di persone diverse, con soggettività e volti da conoscere. E’
importante allora riuscire a contestualizzare, dunque a frantumare quella
immaginaria folla indistinta, in identità singole, autonome, perché la relazione
è sempre fra persone. E quindi vanno cercate e costruite le occasioni per
imparare a definire insieme le regole del gioco, per porre le basi di un futuro
in cui si possa non solo rispettare, ma valorizzare le reciproche diversità.
Due metafore spiegano in sintesi quello che dovrebbe essere il ruolo di una
strategia educativa che vada in questa direzione: la metafora dei due ricci e
quella del corvo.
I due ricci sono nella tana e hanno freddo. Per provare a riscaldarsi decidono
di avvicinarsi. Inizialmente si avvicinano troppo e così si pungono. Solo dopo
vari tentativi distribuiscono bene gli spazi e si riscaldano senza farsi male.
L’ambiente educativo è come la tana, dove ideare insieme i presupposti per una
convivenza non sempre facile, ma che può essere piacevole e feconda. Una
prospettiva che richiede coraggio, investimento culturale, innovazioni.
L’altra metafora racconta che il corvo una volta camminava normalmente, anziché
saltellare in quel modo bizzarro. Un giorno il corvo vede un uccellino
saltellare e decide di imitarlo. Prova varie volte, non riesce, quindi cerca di
riprendere il suo passo, ma ormai si è scordato anche quello. Oggi con un piede
cammina e con l’altro saltella, rendendosi ridicolo. Il rischio per il bambino
straniero è di diventare come il corvo, se dimentica le proprie origini e né
riesce ad inserirsi nella nuova realtà: ormai estraneo alla famiglia e ancora
straniero nella società. Per evitare che questo accada servono norme idonee e
risorse, ma anche sensibilità e soprattutto aperture culturali e intellettuali
tali da saper valorizzare il bagaglio dei minori stranieri e i saperi dei loro
contesti d’origine in una prospettiva di trasformazione socioculturale e
educativa in cui le parti si riconoscano.
Oggi come oggi, nell’ambito dell’accoglienza sono state avviate numerose
sperimentazioni e approntate varie metodologie. In ogni caso nelle situazioni
reali pare di poter ravvisare i presupposti e la prassi di quella che viene
definita come “educazione migratoria”, per la quale il bagaglio originario
costituisce un handicap, un limite da rimuovere e rimpiazzare per assicurare in
tempi brevi l’adattamento al nuovo contesto. Ciò che nel migliore dei casi da
luogo ad un pluralismo residuale, un appiattimento della diversità su aspetti
esteriori - scarsamente significativi sul piano dell’interazione effettiva -,
che magari soddisfa l’immaginario e gli stereotipi di chi fa “accoglienza”, ma
non certo i bisogni reali e la dignità delle famiglie immigrate e dei loro
figli. E’ evidente che una tale consuetudine non può che sfociare nella metafora
del corvo, mentre quella che si dovrebbe realizzare è la metafora dei ricci,
ossia l’instaurarsi di relazioni simmetriche che permettono alle persone di
negoziare gli spazi e gli interessi in gioco (uguaglianza emancipante). Su
queste basi è opportuno che si costruisca una metodologia di lavoro
interculturale, la quale implica a sua volta e obbligatoriamente una politica di
empowerment, che sostenga e rafforzi le parti deboli, in questo caso i cittadini
immigrati, in tutti luoghi di vita.
Questo è un auspicio e una speranza, ma anche una proposta concreta di sostegno
alla presenza effettiva, alle reali opportunità, alle modalità attraverso cui
gli “altri” possano esprimere il proprio apporto dentro i progetti
interculturali.
*Adel Jabbar, Sociologo dei processi migratori e interculturali. Studio RES,
Trento(studiores@tin.it)