Profondità, conflitto, classi,
pedagogia. E la riforma dov'è? L'anno scolastico si annuncia non facile per il
mondo della scuola: insegnanti penalizzati
economicamente e “tagliati”, meno insegnamenti e
meno ore di insegnamento, scomparsa di
compresenze e più alunni per classe.
E questo in un momento in cui le trasformazioni
in atto nella società richiederebbero più scuola,
non certo meno scuola. Pedagogia e neuroscienze dicono
che è in atto una trasformazione nella mente
umana e che stiamo perdendo senso critico e
costrutti logici, in sostanza stiamo perdendo
una dimensione: la profondità.
In questo contesto le situazioni conflittuali
tendono ad accentuarsi e noi lo possiamo vedere
nelle classi tra allievi, ma anche tra allievi e
insegnanti, e poi a volte anche tra insegnanti e
insomma in tutte le situazioni in cui ci sia una
relazione: genitori – figli, nel lavoro, tra
partner, nel quartiere...
Le nuove tecnologie amplificano questo fenomeno
e a scuola per esempio fenomeni di cyberbullismo
sono comuni, utilizzando soprattutto i social
network “my space”, “twitter”, “youtube” e così
via.
La nostra Rete è nata per l'accoglienza e
l'inclusione dei figli degli immigrati e
continuare a chiamarli "stranieri", questi
bambini, ci riesce sempre più difficile: la
maggior parte di loro infatti sono nati in
Italia! Nel tempo la rete ha spostato
l'attenzione dall'alunno specifico alla classe
nella sua interezza. E' la classe intera che
deve lavorare sull'ascolto attivo, sul
confronto, sul rispetto degli altri e delle
regole condivise: ci sbagliavamo, all'inizio,
pensando che bastasse imparare l'italiano perché
questi bambini facessero automaticamente parte
del gruppo.
In questi anni abbiamo fatto formazione
indirizzata sì all'apprendimento della lingua
italiana per gli alunni appena arrivati, ma
anche al Cooperative Learning, alla gestione
della classe plurilivello e alla consapevolezza
che la diversità e l'accettazione delle
diversità nelle nostre classi non riguarda
soltanto il bambino “colorato” che viene da
lontano, ma riguarda tutte le diversità presenti
nelle nostre classi: di genere, di abilità e
disabilità, di intelligenze diverse, di
situazioni affettive e culturali disomogee.
In questa situazione è normale la
preoccupazione, il contrasto, il dubbio, in una
parola “il conflitto”. Questo conflitto è perciò
naturale, non deve essere cancellato, ma
“gestito”: è così che si cresce e si matura. A
volte è più facile e comodo evitare il
conflitto, far finta di niente, ma le
contraddizioni in questo caso si accumulano da
qualche parte, la situazione si aggrava, si vive
male e il conflitto esplode.
Quando in classe succedono dei contrasti, spesso
in noi insegnanti prevale uno stile da giudice,
uno stile interventista che decide cosa è bene e
cosa no, chi ha ragione e chi ha torto,
bloccando le dinamiche che a partire da quel
contrasto si possono avviare. L'ansia di
chiudere il conflitto impedisce una possibile
evoluzione positiva. In alcune scuole ciò
rientra addirittura come obiettivo educativo: "I
bambini non devono litigare", senza nessun'altra
specificazione riguardo una contestualizzazione
dei litigi stessi. In questo modo si dà per
scontato che i bambini e i ragazzi non debbano
litigare, mentre il litigio è una
delle forme di relazione che i bambini usano con
frequenza. Il nostro atteggiamento ottiene così
molto spesso il
duplice effetto, da un lato stigmatizza i
bambini (buoni/cattivi), dall'altro ostacola la
formazione di strategie volte non tanto a
evitare il conflitto quanto a gestirlo, saperlo
affrontare e farne uno strumento di crescita.
Con "La Casa dei Conflitti", emanazione del
Gruppo Abele, abbiamo avviato sul tema del
conflitto una riflessione all'inizio dell'anno
con due giornate seminariali a cui hanno
partecipato oltre 130 docenti. Terremo "caldo"
il rapporto con questi formatori e questo tema
che, pensiamo, sia destinato ad essere sempre
più presente nelle nostre scuole e nelle nostre
classi.
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