Marie Rose Moro
Genitori in esilio. Psicopatologia e migrazioni
Milano, Raffaello Cortina Editore, 1994, pp. 202.

 

Come curare in modo efficace una famiglia emigrata dall’Africa e il suo bambino che vive nelle nostre città? Per rispondere a questa domanda e a tutto ciò che questo vuol dire (sofferenza del bambino, della famiglia, fallimenti a scuola e nella società) M.R. Moro, attraverso l’esposizione di alcuni casi clinici fa nascere una nuova disciplina: l’ "etnopsichiatria genitori - bambino" che tiene conto della particolarità individuale e culturale dei pazienti. Dobbiamo sempre tener presente che l'attività clinica di Moro si svolge in Francia che ha una tradizione immigratoria diversa dalla nostra (in Italia abbiamo una distribuzione diffusa di immigrati e una grande varietà di nazionalità) e i suoi pazienti sono soprattutto maghrebini e dell'Africa subsahariana.

Il libro si rivolge a tutti i professionisti – psichiatri, psicologi, assistenti sociali, pediatri, insegnanti – che lavorano con i figli di immigrati e le loro famiglie e lancia una sfida: trasformare gli ostacoli che questi bambini incontrano in potenzialità creative.

Con il suo lavoro Moro ha dimostrato che i bambini arrivati al consultorio presentavano una vulnerabilità
psicologica specifica legata alla scissione vissuta tra mondo interiore – l’universo culturale dei genitori – e mondo esterno. Una dissociazione tra filiazione (trasmissione da parte dei padri) e affiliazione (appartenenza a un gruppo). Secondo l’autrice tre sono i periodi più a rischio: l’instaurarsi delle interazioni precoci madre/bambino (0-12 mesi), l’ingresso a scuola (6-8 anni) e l’adolescenza. Fino alla prima scolarizzazione, i bambini crescono abbastanza protetti, mentre in seguito sono esposti al rischio transculturale e cioè al passaggio da un universo all’altro.

Punto determinante della sua analisi (divergendo con altre scuole di pensiero) è la considerazione che nella situazione patologica tra genitori e figli bisogna concentrare l'attenzione sui rapporti dei genitori con il loro sistema culturale piuttosto che sulle relazioni con i figli "che non è uguale in ogni parte del mondo". Ad esempio in Occidente si dà molta importanza agli scambi visivi tra madre e figlio, e se una donna guarda poco il figlio si può pensare che sia una cattiva madre: nella cultura di una certa Africa, invece, non si possono guardare i bambini per il rischio di cattivi influssi. O ancora nel consultorio genitori e figli arrivano spesso con amici e parenti e il gruppo terapeutico è formato da persone con professionalità e origini culturali diverse; tutte queste persone si siedono in cerchio come se dovessero affrontare dei problemi familiari.