Stranieri non immigrati, ovvero la "seconda generazione"

I figli di genitori stranieri crescono ogni anno del 20% e oggi quasi la metà dei minori stranieri sono nati in Italia. Questi dati dicono che l'immigrazione italiana è entrata in una fase più matura caratterizzata dalla progressiva stabilizzazione sul territorio dei nuovi arrivati. Questi nuovi concittadini sono giovanissimi e non a caso è la scuola l'istituzione più consapevole della loro presenza.

Nel Museo dell'immigrazione a Ellis Island, che descrive le condizioni di vita degli immigrati a New York City all'inizio del XIX secolo si legge questa analisi: "I figli degli immigrati camminano lungo una sottile linea in mezzo a due culture opposte. Da una parte, ci sono i genitori ed i Paesi di provenienza; dall'altra, i nuovi amici e gli insegnanti delle scuole pubbliche che non approvano gli stili di comportamento stranieri".

Queste parole non hanno perso niente della loro efficacia, le possiamo sottoscrivere interamente oggi quando descriviamo la posizione di frontiera dei bambini stranieri (e in quelli di seconda generazione è ancora più evidente) e del loro essere in bilico tra due culture. E' una difficoltà in più rispetto a quelle affrontate dai loro coetanei nella loro fatica quotidiana di crescere. Se riescono a superarla, se riescono a prendere il meglio delle due culture, saranno i pionieri di quell'uomo planetario, che, dicono i sociologi, sarà il destino e non la scelta dell'uomo di domani.
Tra i due estremi, tra l'assimilazione  con la perdita dell'identità culturale originaria e la chiusura nella comunità di origine vi sono ovviamente numerose posizioni intermedie.

In Italia il fenomeno è ancora troppo recente per poter fare analisi approfondite, ma alcuni nodi stanno emergendo con chiarezza sul versante formativo e sono paradossalmente simili a quelli affrontati dagli allievi della prima generazione:
1) i bassi tassi di scolarizzazione;
2) il ritardo scolastico tra età anagrafica e classe di frequenza;
3) l'insuccesso scolastico, dovuto in larga misura alla scarsa padronanza della lingua italiana e dei codici comunicativi.

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Nel dossier del 2004  la Caritas  adotta il termine di "minori stranieri" piuttosto che "minori immigrati" per la semplice ragione che, oltre a frequentare le scuole italiane e a parlare la nostra lingua, circa la metą di questi bambini è nata in Italia. Secondo i dati della Caritas nel 2002 sono ben il 48,9% e, secondo una stima della comunità di Sant'Egidio, hanno raggiunto nel 2004 ben il 56%.