Cap. 2  IO, Modena la guerra e il dopo

MODENA VISTA DA DESTRA

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                                    Io, Modena, la guerra e il dopoguerra


La quinta elementare (anno scolastico 1942-43) la trascorsi alle scuole “De Amicis, dove avevo frequentato tutte le classi, esclusa la prima (alla Scuola elementare San Bartolomeo), con la guida del Maestro Pini. Era composta, in parte da un gruppo di alunni dell’Istituto San Filippo Neri di Via Sant’Orsola (i Patronatini) e da due terzi di bambini della zona nella quale mi trovavo, molti dei quali figli della “buona” borghesia modenese (come si può evincere dalla fotografia della classe allegata al testo), i quali ebbero la possibilità di fare delle belle carriere nella società modenese, negli anni del boom economico e successivi.

Anno scolastico 1938-39 - Classe 1° San Bartolomeo (A) Bruno Zucchini (B) Sergio Brighenti (C) Ivan Manicardi
 

Anno scolastico 1942 – 1943 - Classe 5° Scuole De Amicis – 1 Gozzi – 2 Piero Vicini – 3 Gianni Bulgarelli – 4 Vergnani 5 Giancarlo Vezzalini – 6 Giorgio Loi –7 Tavani –8 Giulio Piccinini – 9 Bruno Zucchini – 10 Loi
 

Anno scolastico 1940-1941 Scuola De Amicis In piedi i maschi- il primo Vergnani. Il secondo Bruno Zucchini. Il quarto Saguatti Giordano. Delle femmine sedute ricordo solamente : Vecchi Anna Maria, Taglini, e Gozzi


Ricordo Giancarlo Vezzalini poi noto ingegnere e industriale, uomo Fiat, direttore generale e amministratore delegato Fiat trattori, Presidente New Holland Italia, presidente del Banco San Geminiano e San Prospero, e Presidente di Confindustria modenese; Giulio Piccinini, amico del gruppo dei “Cordigeri” e della banda di Corso Vittorio Emanuele, poi noto assicuratore, Piero Vicini, anche lui ingegnere e amico-nemico nelle lunghe discussioni politiche al Bar Pellini di Largo Garibaldi, ritrovo abituale della mia compagnia, i fratelli Loi (figli dell’olimpionico e insegnante di Educazione Fisica degli anni trenta) affermatisi, l’uno nella carriera militare, essendo stato, allora, uno dei pochi modenesi a frequentare la nostra Accademia e l’altro, Giorgio, funzionario dell’INA. Gianni Bulgarelli, in seguito impiegato al Banco di San Geminiano e San Prospero, componente del mitico gruppo di amici del Bar Pellini, oltre a Gozzi, Vergnani, Tavani e tutti gli altri che non ricordo. Si era nel pieno del conflitto mondiale, la guerra si stava mettendo male per gli eserciti dell’Asse impegnati su vari fronti e dall’estate del 1943, anche in casa nostra, dopo lo sbarco americano in Sicilia. A Modena si cominciava a “mugugnare”, le cose non andavano nel modo che il “mascellone” aveva dato ad intendere agli italiani, già in quei tempi si parlava di tradimenti e di “alte gerarchie” colluse con il nemico, tanto è vero che a Luglio si ebbe il crollo del Regime Fascista. Noi bambini sentivamo, senza rendercene completamente conto, che qualcosa non andava, vedevamo le nostre case, i nostri viali privati di tutte le cancellate in ferro che dovevano servire per fare cannoni e venivano sostituite con cancellate in cemento; il cibo scarseggiava, le nostre madri erano sempre preoccupate per quel poco che veniva passato attraverso la carta annonaria, non proprio sufficiente per dei ragazzini nella fase dello sviluppo adolescenziale; molte città italiane avevano già subito terrificanti bombardamenti, quello sulla vicina Bologna, alla fine del ’43, toccò particolarmente anche la mia famiglia dato che rimase sotto le macerie, in Via Galliera, il marito della sorella di mio padre (la zia Adele). Durante la calda estate, alla caduta del Fascismo, il 25 Luglio, la gente s’ illuse che presto la guerra sarebbe terminata e ancor più all’otto Settembre. Ma proprio quei due fatti furono le premesse per lo scatenamento della vera tragedia italiana. Fu subito guerra civile. Fratelli contro fratelli, Modena e la sua Provincia ebbero a subire pesantemente tale tragica situazione.
Non ci si aspettava che la nostra città potesse subire attacchi dal cielo, ma un triste giorno toccò anche a noi conoscere il terrorismo aereo degli anglo-americani, accadde il giorno 14 Febbraio 1944.
Da parecchio tempo le sirene, che segnalavano ai modenesi gli allarmi aerei e la possibilità d’incursioni, laceravano l'aria sempre più frequentemente. Le formazioni aeree anglo-americane avevano ormai conquistato la supremazia dei cieli di tutta Europa e in particolare su quelli italiani; già moltissime città del Centro-Nord avevano subito pesanti bombardamenti e la possibilità di contrastare le centinaia di aerei delle forze alleate da parte della caccia italiana e tedesca, nonostante i numerosi episodi di eroismo dei pochi piloti della rinnovata aviazione repubblicana, andava sempre più riducendosi.
A Modena il terrore dal cielo arrivò di Lunedì, poco dopo l'ora di pranzo. L'allarme aereo aveva avvertito i cittadini, ma ben pochi si erano recati nei rifugi, che in realtà erano delle grandi buche ricoperte di sacchi di sabbia e di terra e che, data la loro limitata consistenza, avrebbero, tutt'al più, protetto dagli spezzoni delle micidiali bombe sganciate dalle formazioni anglo-americane.
La maggior parte dei modenesi era dunque rimasta nelle case e si limitava a guardare, come in tante altre circostanze, il passaggio di tutti quegli aerei. Il cielo era limpido, i bambini nei cortili o dalle finestre delle case si additavano quelle grosse macchine volanti che, malgrado l'altitudine, facevano un rumore assordante.
Tutti pensavano fossero diretti verso i grandi centri industriali del nord, dato che Modena poteva offrire solamente bersagli di ben limitata portata e di scarso interesse militare. Ma ormai la guerra terroristica, anche dal cielo, aveva preso il sopravvento sulla guerra guerreggiata. Così come gli agguati e le imboscate partigiane aumentavano via via di intensità con l'incrementarsi degli aiuti anglo-americani, anche la guerra aerea era programmata con incursioni esclusivamente terroristiche, su obbiettivi di ogni tipo e particolarmente contro le inermi popolazioni. Queste incursioni avevano lo scopo principale di spezzare il morale della gente comune che, ovviamente, veniva a trovarsi in prima linea e altro non poteva sperare se non in una veloce conclusione di tanto massacro.
La guerra psicologica, fatta di azioni terroristiche, di bombardamenti a tappeto, di mitragliamenti continui, di spezzonamenti notturni, di continue trasmissioni radiofoniche tendenti alla frattura del fronte interno, fu un’arma micidiale, che i comandi delle potenze militari "alleate" misero in atto con spietata ferocia e con particolare dovizia di mezzi.
Modena era ancora, in quei giorni, una città piena di vita e di attività e la maggioranza della popolazione era rimasta, nonostante gli esempi della città vicine, come Bologna e Reggio Emilia, più volte duramente colpite: tutti confidavano sull'ipotesi che, ben difficilmente gli angloamericani avrebbero attaccato un centro di scarsa importanza strategica.
Alle 13,30 si scatenò su Modena il finimondo; centinaia e centinaia di bombe piovvero dal cielo in pochi minuti; scene di panico avvennero ovunque, si correva fuori dalle case con il cuore in gola a cercare scampo, mentre tutto sussultava e la terra tremava come in un violento terremoto; una polvere bianca aveva coperto tutta la città colpita in vari quartieri.
Io mi trovavo alla finestra a guardare quelle formazioni di aerei nella mia casa di Viale Mazzoni quando, al primo rumore di bombe che cadevano, assieme ai miei genitori, mi precipitai fuori casa per raggiungere il ponte del cavalcavia della Sacca. Non facemmo in tempo poiché le bombe piovevano da tutte le parti e ci buttammo a terra sul terrapieno prima del ponte. E lì subimmo l’inferno, vidi saltare in aria la conceria Pellami al di là della ferrovia e enormi massi arrivarono sino a pochi metri da noi. Siamo scampati miracolosamente.
Quando la nube cominciò a diradarsi, la tragedia apparve in tutta la sua vastità. Furono particolarmente devastate le zone della Sacca e di San Cataldo, molte bombe caddero attorno alla stazione ferroviaria che non subì gravi danni. Danni enormi, al contrario, subirono numerosi stabilimenti e case di abitazione civile nelle zone circostanti; saltò in aria la conceria pellami, nel luogo ove attualmente sorgono gli edifici delle scuole Ferraris; vennero colpite varie scuole elementari, le De Amicis, le Campori, le Carmelo Borg Pisani e fortunatamente le lezioni erano state terminate da poco; moltissimi palazzi vennero totalmente distrutti, specialmente in Viale Crispi; altre bombe caddero un pò ovunque: in Via Emilia Ovest, nei Viali del Parco e nei giardini pubblici. I morti, furono oltre cento, e parecchie centinaia i feriti. I danni alle cose incalcolabili.
Ha inizio in questo modo la serie dei pesanti bombardamenti che in seguito colpiranno la città e la Provincia modenese sino al termine della guerra; centri come Pavullo, Vignola e tanti altri paesi subirono enormi distruzioni e grosse perdite tra la popolazione civile. La maggior parte di questi bombardamenti non portò danni consistenti nè alle strutture dell'esercito tedesco, né alle strutture industriali e tanto meno agli obbiettivi militari; subirono invece distruzioni ingenti moltissimi monumenti ed opere d'arte, oltre alla distruzione di interi quartieri popolari.
Va inoltre ricordato che molti degli obiettivi da colpire, in realtà quasi mai centrati, erano comunicati alle forze angloamericane da speciali formazioni partigiane munite di radiotrasmittente ed in collegamento con i comandi militari anglo-americani.
Modena entra così nell'occhio del ciclone della guerra. Nessuno aveva più scampo, militari e civili erano continuamente bersagliati dagli attacchi aerei e dalle imboscate sulle strade; la città dopo questa bestiale aggressione cominciò a svuotarsi, tutti coloro che potevano rifugiarsi da amici o parenti nelle campagne, scapparono; ebbe inizio così il triste esodo degli "sfollati" con tutti i drammi umani che si portò dietro.
I bombardamenti massicci, i mitragliamenti a bassa quota su tutto ciò che si muoveva di giorno, il terrore notturno con i lanci isolati ed indiscriminati di bombe, da parte di aerei che la popolazione chiamava "Pippo", avevano creato in tutti una vera e propria psicosi, d'altronde ben comprensibile, al minimo rumore di aereo.
Il bombardamento successivo avvenne esattamente tre mesi dopo.
Il 14 Maggio alle ore 14,35, Modena subisce il secondo e più terrificante bombardamento, superiore per danni, distruzioni e vittime a quello, già pesante, del mese di Febbraio. A ondate successive, le formazioni dei bombardieri angloamericani, le famose fortezze volanti, scaricarono, indiscriminatamente dal cielo, sulla nostra città, tonnellate e tonnellate di bombe; furono quindici minuti lunghissimi; i bombardieri alleati dimostrarono ancora una volta, che il loro impegno principale era quello di seminare il terrore tra la popolazione civile, senza curare minimamente gli obiettivi militari. Il centro della città subì gravissimi danni; venne semidistrutta la Chiesa di San Vincenzo, completamente distrutta la Chiesa dei Servi, di cui oggi rimane, simbolicamente, il vecchio campanile, unica parte rimasta integra, della Chiesa. Gravissime lesioni subirono, il Tempio Monumentale dei Caduti e la Chiesa di San Domenico; il Duomo cittadino subì gravi danni, in particolare modo alla “Porta dei Principi”; sembrava che dal cielo fosse stato preordinato un preciso disegno per la distruzione dei monumenti storici e dei luoghi di culto.
Danni enormi subirono, il Palazzo delle Poste, il Palazzo Ducale, l’Arcivescovado, il Portico del Collegio, ecc.
Ai mulini nuovi fu colpito un ponte sul canale Naviglio, sotto al quale si erano rifugiati i bambini e le suore del vicino asilo; fu una vera e propria carneficina. Venne anche colpita la Caserma “Ciro Menotti” sede della Scuola Allievi Ufficiali della GNR.
Subito dopo il bombardamento di Febbraio, la mia famiglia si trasferì, dopo aver caricato su di un carretto i pochi bagagli utili e le cose di maggior pregio, nelle campagne di Ravarino dove abitavano i parenti di mio padre, questa fu una manovra giusta in quanto nel bombardamento di Maggio la nostra casa venne colpita e fortemente danneggiata.
Lo “sfollamento” in campagna stravolse tutto il mio sistema di vita; si dovette abbandonare oltre alla casa, gli amici, i giochi nelle strade e ai giardini, la scuola, anche se, noi ragazzini, non ci lamentammo più di tanto per la forzata chiusura delle scuole. Ed ecco che iniziarono le scorribande per i campi, anziché sulla strada di Corso Vittorio, alla ricerca di tutto quello che era possibile trovare allora e che potesse dare sfogo alla nostra esuberanza e al desiderio di divertirci anche in momenti così difficili. La frutta sulle piante, che entrava nelle nostre camicette, e i contadini urlanti che ci rincorrevano senza mai riuscire a prenderci, la “spigolatura” dei campi di grano dopo la trebbiatura alla ricerca delle poche spighe rimaste sul terreno, la battitura del grano, la pigiatura dell’uva a piedi scalzi nelle aie, la macellazione dei maiali, la caccia alle munizioni che si trovavano un po’ ovunque, bossoli di fucili, di mitragliatrice, ricercatissimi quelli da 20 e 12 mm. degli aerei americani che durante il giorno mitragliavano ogni cosa in movimento. Con quei giochi ci divertivamo “un sacco”. Un giorno fu mitragliato e bombardato un treno tedesco carico di munizioni, fermo alla stazione di Ravarino e saltato completamente in aria, lasciando per lungo tempo la possibilità, a noi bambini, di un recupero incredibile di “materiale”, micce, bossoli, ecc.
Erano giochi pericolosi che i “grandi” ci offrivano in quei giorni crudeli, molti subirono mutilazioni per lo scoppio di questi ordigni messi tra mani inesperte, oltre agli “omaggi” che gli americani ci lanciavano dal cielo, come penne stilografiche esplosive che allettavano la fantasia di noi ragazzini quando le trovavi in mezzo a un campo, e non sapevi, se non dopo che erano esplose nelle mani di qualcuno, che quei “doni” che ci venivano offerti erano delle micidiali trappole mortali.
La guerra non più solamente al fronte, era quotidianamente tra i civili che continuavano a scannarsi tra loro, colpiva tutti, bambini compresi.
La strada che porta da Ravarino, frazione La Grande, a Nonantola è ancora un lunghissimo rettilineo, allora non asfaltato, lo percorrevamo una mattina in bicicletta quando, dopo aver superato un carro agricolo, vedemmo venirci incontro, a bassissima quota un aereo americano; istintivamente, i quattro o cinque ragazzini, quanti eravamo, si infilarono, biciclette comprese, nel fossato laterale abbastanza profondo, un attimo prima che l’aereo, vedemmo perfettamente il volto del pilota dentro l’abitacolo, sgranasse le sue mitragliatrici, con un fuoco spietato, sul carro agricolo che venne completamente distrutto; il carrettiere, fortunosamente, si lanciò anche lui dal carro, nel fossato, salvandosi.
Inoltre c’era sempre il problema della presenza dei tedeschi: nella nostra zona precisamente nell’edificio della Scuola elementare di Rami di Ravarino s’installò per lungo tempo un distaccamento di truppe germaniche, che in realtà non diede mai grossi problemi, anzi vi fu un buon rapporto tra la popolazione e questi militari. Vi era un certo via vai di mezzi militari, sia fascisti sia tedeschi: una notte si fermarono nel cortile interno dei fabbricati dove ero alloggiato, tre o quattro carri armati “tigre”e lì si attestarono per alcuni giorni. Vi fu un’enorme preoccupazione da parte di tutti i residenti, per l’eventualità di un attacco aereo che sarebbe stato devastante se i carri fossero stati visti dall’alto.
I tedeschi li misero in posizione strategica e inoltre li coprirono con reti mimetizzanti, così, noi bambini, che facilmente facevamo amicizia con tutti, riuscimmo a convincere i soldati a farci visitare, all’interno, i loro “mostri d’acciaio” che avevamo visto, sino allora in fotografia, in particolare sulle riviste tipo “Signal” che qualche volta raggiungevano la nostra località. In questa circostanza, i tedeschi, restarono al loro posto e non disturbarono nessuno.
Una notte, in casa mia c’era l’unica radio della zona portata con noi dopo lo sfollamento dalla città, si radunarono alcuni parenti e residenti del borgo per ascoltare “Radio Londra”; la trasmissione radiofonica inglese in lingua italiana, che trasmetteva, tra l’altro, comunicati ai partigiani ed era osteggiata dal Governo della Repubblica Sociale, ne era tassativamente proibito l’ascolto, ci fu veramente paura. Erano previste sanzioni pesanti se si fosse stati scoperti.
Ad un tratto sentimmo bussare alla porta, assieme a voci tedesche, terrorizzati o quasi, gli adulti ammutolirono, e si spense immediatamente la radio. Mia madre, Bruna Della Casa, tutta tremante andò ad aprire, si trovò di fronte due “carristi” che, con il loro italiano stentato e quasi timidamente chiesero “in prestito” alcuni bicchieri poiché all’interno dei loro carri stavano festeggiando un camerata; ovviamente furono dati loro i bicchieri che ritornarono regolarmente il mattino successivo. Per alcune sere la voce di Radio Londra rimase spenta, ma dopo alcuni giorni gli ascolti “clandestini” ripresero, dato che, il desiderio di sapere notizie, assieme alla speranza della fine del conflitto, era troppo forte per tutti.
Mia madre, per tutto il periodo dello ”sfollamento”, lavorava come sarta presso l’Ospedale Militare di Via San Geminiano a Modena, si faceva quotidianamente una pedalata di 18 chilometri al mattino e altrettanti alla sera per il ritorno, per la tratta Ravarino-Modena.
L’unico episodio, di un certo rilievo, che la vide protagonista in quei 15 mesi di “allenamento ciclistico” le capitò il giorno 21 Aprile 1945. I giorni della “liberazione”. Le truppe anglo-americane avevano sfondato il fronte della Linea Gotica e stavano rapidamente conquistando tutta la pianura padana. Modena, proprio in quelle ore, era evacuata da tedeschi e fascisti.
All’Ospedale Militare lasciarono libero il personale non infermieristico, di conseguenza mia madre si rimise in bicicletta per tornare a Ravarino. Con le strade quasi deserte si avviò per la Via Nonantolana quando, giunta sul ponte di Navicello, si vide venire incontro un soldato tedesco che la implorava: “Mamma, mamma, tu dare a me bicicletta che io dovere scappare”, lei non ci pensò due volte, e non per la paura, ma perché pensò subito al figlio che non era, e non sarebbe, tornato dalla guerra, lasciò la bicicletta al soldatino che fuggì per andare chissà dove, facendosi tutto il tragitto sino a casa, a piedi.
Nei racconti, prodotti a profusione, che parlano di quei tempi, specialmente in tutti i testi “resistenziali” i soldati tedeschi vengono sempre, spregiativamente, chiamati i “tognari”. Sempre in quel giorno, mentre aspettavo il ritorno di mia madre, nel sito dove mi trovavo, tutti si erano portati fuori casa in attesa degli eventi che stavano precipitando. Molti si improvvisarono “partigiani dell‘ultima ora” e qualcuno aveva tirato fuori i fucili nascosti attendendo, agli angoli delle case, di poter fare la “loro guerra”.
Davanti a miei occhi accadde che all’improvviso, dalla curva della strada, spuntò una bicicletta montata da un militare tedesco. Senz’altro non era quello al quale mia madre aveva lasciato la sua al ponte di Navicello. Appena lo videro, gli eroi dell’ultima ora, tra lazzi e risate, iniziarono il tiro al bersaglio contro il poveraccio, colpendolo prima alle gambe poi in altre parti del corpo, finendolo una volta che era carambolato per le terre. Poco importava che quel disgraziato fosse o no responsabile di misfatti, fosse semplicemente un furiere o un addetto alle cucine, era un “tognaro” e bisognava eliminarlo.
Nelle campagne attorno, nel frattempo, era iniziata la mattanza, la caccia al fascista o al presunto tale: coloro che avevano avuto rapporti, anche i più banali, oppure dettati da semplici situazioni di doveri istituzionali, entravano nel mirino perverso dei “liquidatori” che con la prospettiva di creare sulle nostre terre una parvenza di quel “paradiso sovietico” verso il quale erano stati indottrinati,si preoccuparono di spedire “tra gli angeli” il maggior numero di persone che avrebbero potuto essere, nell’immediato futuro, dei potenziali avversari.
Nelle zone dove ero sfollato, molte cose le imparai tempo dopo, accaddero massacri ed eliminazioni arbitrarie che mai, sino ad oggi, hanno avuto la possibilità di essere scoperte e tanto meno puniti gli esecutori. Quei territori nascondono ancora oggi cadaveri di fascisti, di possidenti, di religiosi, di persone dabbene che furono eliminate con una programmazione feroce e spietata.
Non riuscirono nei loro intenti e l’Italia, in particolare per la spartizione del mondo voluta a Yalta, non cadde nelle mani dei comunisti russi e nostrani, come invece successe a molte nazioni del cosiddetto est europeo. Appare semplicemente irrazionale che a distanza di oltre sessanta anni, dopo tutto quello che è successo nel “loro paradiso”, ci siano ancor oggi in Italia persone e gruppi, che occasionalmente si trovano al governo, convinti del miraggio di quella fallimentare e criminale ideologia.
I ragazzini allora, terminata la tremenda carneficina, si scatenarono allegri e divertiti nelle nuove formule dell’americanismo trionfante. Era impossibile, in quel contesto e a quell’età, recepire che “le novità” portateci dalle truppe, americane, inglesi, francesi, neozelandesi, brasiliane, marocchine, sudafricane ecc. altro non erano se non i presupposti di una conquista, che dura ancora oggi, della nostra civiltà crollata e conquistata dai nuovi padroni, gli americani, che tutto hanno livellato al loro volere e alla loro pseudo-cultura attraverso un capitalismo che ha inglobato e fagocitato tutto e tutti, compresi anche coloro che si erano dichiarati loro acerrimi nemici, i comunisti.
Siamo pertanto calati in una dimensione, dopo l’epoca dei Giganti, nel tempo dei nani, omuncoli e donnicciole che della politica politicante, hanno fatto il loro mestiere, dal 1945 ad oggi, siamo arrivati al tempo, come diceva lo scrittore siciliano Sciascia, dei quaquaraqua, per arrivare sino alla genia degli invertebrati, che strisciano e sbavano davanti ai padroni del mondo, quelli che ci hanno massacrato, bombardato, svillaneggiato e svuotati di ogni dignità continuando ad incensarli come i nostri “liberatori”.
Cosa ne sapevano i ragazzini del 1945, dato che imperava solamente il nuovo “verbo” e dato che anche le generazioni successive furono educate scolasticamente in modo unilaterale nelle conoscenze storiche e della libertà di pensiero, del mondo che era stato sconfitto?
La libertà è bella e sacrosanta, ma obbligatoriamente deve avere delle regole, la scusante della libertà è stata una falsa chimera e non solo la mia, ma anche le generazioni successive ne sono state “sconvolte”. A quei tempi, noi che ancora giocavamo, eravamo all’oscuro di tante cose, sia da una parte sia dall’altra, mentre “i monatti” portavano al cimitero i nostri fratelli maggiori con la scusante della”nuova libertà conquistata”.
Modena e la sua Provincia hanno subito pesantemente questa “liberazione” che ancora oggi sentiamo, come “la scimmia della droga”, sulle nostre spalle.

Il benessere diffuso ci ha resi completamente “ciechi”, anche gli uomini della cosiddetta “destra” hanno fallito miseramente il loro scopo, in quanto sono rimasti prigionieri di un passato che cercava di andare avanti tra “doppiopetto” anacronistico e, ancor più fuori tempo, attraverso le “pagliacciate” nostalgiche. Le nuove generazioni erano desiderose di creare qualcosa di nuovo e di combattere la “decadenza dell’Europa” ma purtroppo non ebbero riferimenti culturali di sorta che spiegassero loro il perché di passati gloriosi di fronte al vuoto del presente. I giovani di allora come in buona parte quelli di oggi, sono soprafatti da una concezione del mondo che tutto “cloroformizza”, anche quell’ultima ridotta che concettualmente avrebbe dovuto ribellarsi alla decadenza e allo sfascio di una Europa e di una Italia disarticolata, disintegrata in tante battaglie di retroguardia e in una forma reazionaria improbabile e a dir poco disgustosa, che và a sollecitare gli istinti peggiori di un popolo decisamente imbelle, incapace di ogni reazione e decisamente vile e traditore.
Nel 1945, al termine del secondo conflitto mondiale le nuove generazioni furono sopraffatte, nella stragrande maggioranza, dalla prepotenza economica e in parte culturale, delle forze coalizzate che avevano conquistato il mondo.
Fu una conquista quella della bicicletta, una volta tornato a Modena, e non era certo la mitica “Bianchi”, né la “Legnano”, ma un “burtel”, come venivano chiamati i vecchi “catorci”; cercando di tenerla ben oliata e in ordine, ebbi la possibilità, assieme ad un gruppetto di ragazzi, di partecipare a tante gite con percorsi, anche esterni alla città. Spesso andavo e tornavo nelle campagne di Ravarino, dove avevo trascorso il periodo dello sfollamento, a trovare parenti e amici¸vi furono anche puntate in montagna arrivando “sino” a Serramazzoni con la famosa curva del “Taglio” che, fatta con la mia bicicletta, assumeva quasi la scalata di uno “Stelvio” o di un “Tourmalet”. Una delle gite più lunghe fu una Modena-Ferrara, che a quei tempi con strade sterrate e con mezzi così scadenti a disposizione assumeva una specie di “trionfo ciclistico”.
Un’altra gran passione di quel periodo, anni 1946-47, era, per il nostro gruppetto, la scalata alla Ghirlandina, ovviamente fatta, salendo le ripidissime scale, di corsa per arrivare primi in vetta a goderci lo splendido panorama di Modena e delle campagne circostanti, con visuale, durante le belle giornate sino al Cimone e alle prealpi venete; si restava, sul ballatoio più alto, a lungo a goderci il lancio dei nostri aereoplanini di carta volteggiare, e vederli atterrare sui tetti della città.
Ci teneva molto impegnati anche la raccolta e la rilegatura dei giornalini. Avevo costituito il mio primo “club”, il club Salgari, che ovviamente raccoglieva tutte le pubblicazioni del grande romanziere veronese: leggevamo quei libri con avidità, e vivevamo, con la nostra fantasia, quelle storie come fossero reali, immedesimandoci nei vari personaggi delle, “Tigri di Monpracem”, in “Sandokan alla riscossa”, nel “Corsaro Nero” e in tutte le altre mirabolanti avventure di quei mitici racconti. Per non dimenticare le altre splendide storie della raccolta della “Biblioteca dei Ragazzi” della Casa Editrice Salani.
Vi è un grosso rammarico da parte mia per non aver conservato la vastissima raccolta dei giornalini di quel periodo, che, se fosse ancora in mio possesso, costituirebbe un discreto capitale, visti i prezzi che ci sono su quel particolare mercato.
Avevamo acquisito una buona tecnica della rilegatura, e nella nostra esclusiva biblioteca avevamo gli “Albi d’oro” di Topolino, le collezioni di “Gordon” con i mitici personaggi di Dale, Ming, Zarro, Flash Gordon illustrati in splendide tavole a colori. La raccolta di “Mandrake” con il suo fedele “Lotar”, gli album ricercatissimi di “Cino e Franco” e dell’”Uomo Mascherato”, il mitico personaggio anteguerra, italiano, “Fulmine”, “L’Avventuroso” con le prime striscie del grande Jacovitti, gli album, più piccoli ma molto interessanti di un personaggio meno famoso, ma sempre molto avvincente, “Jim Toro”. Avevamo scoperto anche i famosi giornalini dell’americano “Joe Petrosino” con le sue formidabili lotte alla mafia come, “La mano Nera”.

Squadra di calcio Tof Modena : Biondini, Mariotti, ?, Zamboni, ?, ?, accosciati: Mantovani, Bertocchi, Piccinini, Zucchini, Incerti, Sartoris.
 


Certo che, man mano che si “diventava” grandi, si tralasciavano questi interessi per dedicarci alla conoscenza “più approfondita” delle bambine nostre coetanee che, al tempo dei giornalini, non degnavamo nemmeno di uno sguardo,
Vi furono episodi, accaduti in città, che hanno lasciato un ricordo indelebile nella mia memoria, come il grave incidente nella gara automobilistica sui Viali del Parco cittadino che avvenne il 27 Settembre del 1947. L’avvenimento era attesissimo, il “Gran Premio Automobilistico” per le strade di Modena, nessuno lo voleva perdere. Ero, assieme ad una moltitudine di modenesi quel giorno sul circuito, abitando, tra l’altro, ai margini dello stesso, avevo potuto seguire tutte le prove. Durante la gara mi ero sistemato vicino ad uno dei platani, all’altezza dell’Istituto dei Salesiani”, attualmente vi si trova uno dei più noti e frequentati “chioschi” dei nostri viali, dove erano stati sistemati, tra un platano e l’altro, per contenere la folla, rotoli di filo spinato pericolosissimi; a circa 100/150 metri dal mio punto di osservazione uscì di strada la “Delago” del pilota Bracco. Fu una strage: 5 morti e 20 feriti; corsi immediatamente sul posto e mi si offerse uno spettacolo “atroce”, tutti quei corpi dilaniati e dalla macchina e dal filo spinato, mi lasciarono sconvolto per giorni e giorni.

Ricordo anche le notti insonni, trascorse su quei viali, per assistere al passaggio o dalla curva di Largo Garibaldi o al Monumento dei Caduti, della mitica “Mille Miglia” o della cavalcata dei centauri dell’altrettanto famosa Milano-Taranto.
Un’enorme impressione ci fu il 5 Maggio del 1949, alla notizia della tragedia del “Grande Torino”, quando l’aereo, che trasportava giocatori, dirigenti e giornalisti di quella famosa squadra, precipitò, schiantandosi sul Colle di Superga.
Il Cinema è stata un’altra grande passione: ci fu un periodo che si andavano a vedere due, tre film al giorno. Si partecipava a “cineforum”, i locali come il “Principe”, lo “Splendor”, l”Orientale”, l’Excelsior”, la “Scala” e poi l’”Astra”, il “Metropol”, il “Paradisino”, la sala del TOF, erano sempre affollatissimi anche nelle prime ore del pomeriggio. Così come d’estate i cinema all’aperto quali, l’”Italia”, l’Estivo”, il “Tennis” erano costantemente frequentati dal mio gruppo di amici.
Frequentemente cercavamo di entrare di “straforo” o con la “patouna”, oppure con l’accorgimento dei biglietti strappati, poi ben ricomposti tanto da superare la prova del bigliettaio; per un certo periodo, con altri due amici, scoprimmo una strada per entrare gratuitamente al cinema Astra da poco inaugurato. Dall’ingresso del fabbricato a lato del cinema, saliti nella zona granai, trovammo una porta che, dalla terrazza, dava direttamente accesso alla galleria, di fianco alla cabina di proiezione. Sfruttammo quella situazione per un periodo abbastanza lungo, ma un giorno, credo una maschera, si accorse di quel nostro stratagemma e ci portò in Direzione. Da allora quella porta fu ben chiusa a chiave.

 

  

 

 

   AMICI

A Fianco MAURIZIO REBUCCI

 

 

 

 

 

A fianco OTELLO INCERTI

 

 

 

 

 

 

L'amico Franco Casolari

L'amico Ivan Manicardi, deceduto in un incidente nel 1951

Inaugurazione del gagliardetto della Società Sportiva " La Fratellanza" allo Stadio Braglia (si notano da sinistra: Nando Romagnoli, Gek Bertolini, Grillenzoni, Giulio Magnoni, nascosto dal gagliardetto, Franco Squadrini e Tosi)

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