Cap.7  Le tradizionali vacanze Invernali

MODENA VISTA DA DESTRA

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                                   Le “tradizionali Vacanze Invernali”


Dopo la serie delle Vacanze estive, con i corsi di vela, nuoto, tennis, sci nautico effettuate a Riccione, Cesenatico e Lussino, ritenni che fosse giunto il momento di dedicarsi al mondo dello sci che tanto mi aveva entusiasmato dai tempi delle Olimpiadi Invernali di Cortina d’Ampezzo.
Nell’autunno del 1962 presi il primo contatto con degli albergatori di Moena che gestivano il “Rifugio Monzoni” al Passo di San Pellegrino, a 1920 metri d’altitudine. Prenotai trenta posti letto per dare così avvio alle prime Vacanze Invernali, che in seguito ottennero un clamoroso successo. I posti prenotati si riempirono con una certa facilità e d’allora iniziò la serie, durata oltre venti anni; per dieci giorni dal 26 Dicembre, Santo Stefano, al sei Gennaio, giorno dell’Epifania, ho avuto la ventura di trascorrere quel periodo dell’anno, assieme a centinaia di giovani modenesi e di tante altre località.
Avevo già avuto per alcuni anni l’esperienza di partecipare alla settimana bianca natalizia organizzata dal Ente provinciale del Turismo in collaborazione con l’ufficio Ed. Fisica del Provveditorato agli Studi, a Sestola, dove tra l’Hotel Panoramic e l’Hotel Roma, molti ragazzi modenesi, tra la fine degli anni’50 e i primi anni ’60, ebbero la possibilità di fare le prime esperienze sugli sci, tra la Galvanella e la pista Rossa. Sestola allora non era come oggi; piste tenute in un qualche modo, limitata volontà di sviluppo turistico, come invece avvenne in seguito.
Mi resi conto che da parte dei giovani modenesi vi era il desiderio di andare oltre “i nostri confini”. Ritenni che era giunto il momento di fare conoscere ai “padani” la bellezza e l’incanto delle Dolomiti, montagne magiche e affascinanti.
Non che il Passo di San Pellegrino allora, fosse dotato di chissà quali attrezzature, vi era un solo skilift che, dal Rifugio Monzoni, arrivava al Rifugio Margherita, con il mitico “Bepi” che gestiva entrambi. Eravamo praticamente noi e pochi altri e il paesaggio nel quale eravamo inseriti era ed è di una bellezza incomparabile; il gruppo dei “Monzoni” che al tramonto si tingevano di rosa, le bianche distese immacolate che andavamo a “contaminare” con i nostri sci di legno, le gite, diurne e notturne (a bere il vino brulè e a cantare le struggenti canzoni alpine) ai “masi”, le capanne dei pastori per gli alpeggi estivi, il nostro rifugio Monzoni accogliente e immerso nella neve, sono un ricordo che tutti coloro che hanno preso parte a quei primi anni di Vacanze Invernali del Prof. Zucchini, non potranno mai dimenticare.

Passo San Pellegrino
Modenesi al
rifugio Margherita
 


Dal 1962-63, abbiamo goduto di una montagna “incontaminata”. Al nostro Rifugio albergo, ad esempio, non esisteva il telefono, l’unico posto telefonico pubblico era a circa tre chilometri dal passo, in località gli ”Zingari” e, al tardo pomeriggio, dopo l’attività sciistica, molti ragazzi si dirigevano a quel posto, per fare la fila e “comunicare” con le loro famiglie.
Con me a collaborare, sia per la parte sciistica sia per la “gestione” dei ragazzi in albergo, vi era l’amico Prof. Bartolomeo Candeli di Pavullo, “Bart”, era come tutti gli uomini di montagna, un buon bevitore. Un anno arrivammo al Rifugio Monzoni (che avevamo quasi totalmente occupato) quando alla sistemazione delle camere, ci si accorse che ne mancava una, ovviamente la nostra, dopo aver sistemato tutti i ragazzi.
La proprietaria dell’albergo ci propose la sistemazione provvisoria, per due-tre notti, in una stanza del sottotetto, ma senza riscaldamento. Eravamo a duemila metri e le notti, lassù, non sono come in Riviera; ci disse la Signora: “Posso metterci una stufetta a gas, o darvi una bottiglia di grappa”. Quale fu la scelta? Per tre notti, io e Bart, ben coperti, dopo le fatiche della giornata, quella bottiglia di grappa ci aiutò egregiamente a difenderci dai rigori delle “notti dolomitiche”.
Per anni ci furono tanti ragazzi e famiglie modenesi che scelsero di passare i dieci giorni delle vacanze natalizie con i miei corsi di sci. La famiglia Aggazzotti con la Sig.ra Laura e il Dott. Pietro (produttore del noto, Nocino e Laurino), e i figli Emanuela e Ettore, la famiglia dell’Ing. Domenico Rabino, con i figli Alessandro, Luisa e Franco, la famiglia Baroni con la figlia Antonella, e tutto un gruppo di giovani, nella maggioranza diventati noti professionisti della società modenese quali, Fabrizio “Bricia” Ferrari, Davolio Marani Severino, Oliviero e Daniele Soragni, Sandrino Sereni, Gino Padoa e la sorella Laura, Vittorio Brino, Alessandro Gheduzzi, Carlo Cacciari, Giuliano Andreoli, Marco Rigatelli, i fratelli Santangelo e tanti altri.

Allora era facile il controllo dei ragazzi che, seppure nell’esuberanza giovanile, avevano un gran rispetto per i loro insegnanti e per gli adulti in genere. Usavo, se mi si lascia passare una terminologia ormai desueta, il sistema del “bastone e della carota”; sì divertirsi, ma pur sempre entro certi limiti. Ritenevo, a quel tempo, che si dovesse superare, andando in giro con gruppi di giovani, la concezione della “colonia” e che i nostri ragazzi si dovessero inserire, pariteticamente, nelle strutture alberghiere assieme alla clientela tutta.
Certamente non è stato facile far recepire e agli uni e agli altri, condividendo lo stesso tetto, che avevano gli stessi diritti e doveri. L’intensa attività sportiva, permetteva in parte questa possibilità; per quanto la sera i giovani volessero esprimere la loro vitalità nel fare le ore piccole, nel giocarsi scherzi a non finire, nel cercare i contatti con le ragazze, uscivano pur sempre da giornate particolarmente faticose. Ore sugli sci, in quelle condizioni climatiche, facevano sì che la sera, una buona percentuale fosse particolarmente “cotta”, anche se, ancor più cotti, erano gli insegnanti che, dopo la giornata sulla neve, dovevano controllare le “scorribande notturne”.
Tantissimi aneddoti sarebbero da raccontare ma non è possibile ricordarseli tutti. Qualcuno viene alla mente: una sera, avendo scoperto che alcuni ragazzi erano entrati in una camera di ragazze, mi permisi un piccolo ”divertissment”. Bussai alla camera dopo l’orario, generalmente elastico, del riposo. “Chi è”. Il Prof. Zucchini, risposi. Gran tramestio all’interno. “Attenda un attimo che le apriamo subito”. Difatti, dopo poco, mi fecero entrare, sul tavolino della stanza, panettone, e spumante. “ Come va ragazze?” “Tutto bene Prof.” La tenda della finestra-balcone si muoveva leggermente e mi resi conto che i ragazzi erano andati a rifugiarsi là fuori.
La situazione era scontata e, con un “briciolo di cattiveria” ne approfittai. “Posso restare a fare due chiacchere con voi ragazze, mi offrite una fetta di panettone? Ma certo, mi dissero a denti stretti; per farla breve, dopo aver sorseggiato un goccio di spumante e addentato una fetta di panettone, andai sul balcone, erano tutti in pigiama o camicia da notte, e a duemila metri non è facile resistere, feci rientrare immediatamente i quattro cinque ragazzi, quasi “assiderati” dicendo loro. “Ma ragazzi, secondo voi io dovrei essere così severo da lasciarvi congelare sul balcone o punirvi solamente perché siete entrati in questa stanza a far compagnia alle vostre amiche? Venite subito dentro e beviamoci assieme un po’ di spumante!”
In quegli anni i giovani allievi, pur nell’esuberanza della loro età, avevano molto rispetto per gli insegnanti e accettavano di buon grado i richiami di chi aveva la grossa responsabilità della loro sicurezza, in particolare quando, per dieci giorni, si conviveva in una dimensione di alta montagna praticando una disciplina sportiva che poteva creare situazioni delicate per l’integrità fisica dei ragazzi. In quei primi anni non ci furono incidenti particolari, qualche botta, qualche lieve distorsione che, praticando lo sci, sono quasi all’ordine del giorno.
Le lezioni erano tenute dai maestri di sci della Scuola di Moena guidata dal Maestro Chiocchetti, con l’aiuto mio e del Prof. Bartolomeo Candeli che collaborava nel controllo in albergo dove vi era la partecipazione dei colleghi, Prof. Dino Cerrato e Maria Pia Bertani e, del gruppo a Selva di Val Gardena, Romano Tagliazucchi.
Tra i tanti allievi di quel periodo ricordo ancora con tanto piacere: Giacomo Ghillani, Pierino Lottici, Alessandro Monti, Giorgio e Michele Lofoco, Stefano Monti (poi noto regista teatrale), Antonio Minezzi e le ragazze, Laura Zanichelli, Rossella Boni, Gabriella Bettelli, Paola Beggi, Mariella Della Rovere, Nicoletta Pacchiarotti, Doretta Della Rovere.
Dopo l’esperienza al Passo di San Pellegrino scelsi per le Vacanze Natalizie un'altra località particolarmente isolata, la località del Nevegal, appena sopra Belluno. Era un rifugio situato “sul cucuzzolo della montagna”, posto splendido, isolatissimo, dato che ci si arrivava solamente in seggiovia e, dalle cinque del pomeriggio al mattino, “lassù” restavamo solo noi; avevamo occupato tutto l’albergo-rifugio e la vita di gruppo ebbe la sua massima espressione. Si aggregarono al “gruppo storico” tanti altri ragazzi e tra questi ricordo, Mario Marchiò (poi noto avvocato del foro modenese), Sandro Miglioli, Alessandro Righi, Riccardo “Richy” Levi (giornalista e uomo politico, Ministro nel secondo Governo Prodi).

Bruno Zucchini sulle piste del Nevegal

Nello sfondo il rifugio che ospitava i modenesi guidati dal Prof.

 


Il papà dei fratelli Aggazzotti, il Dott. Pietro, tutti gli anni, veniva a trovare la famiglia verso il giorno di S. Stefano, in quell’occasione, poco dopo il pranzo di mezzogiorno, si era davanti all’albergo e i ragazzi cominciavano a “sciamare” per riprendere l’attività pomeridiana, mi si avvicina dicendomi in dialetto modenese: “Professor, a vag a vader i me du ragazo cum i stan”. (Professore vado a vedere i miei due ragazzi come stanno). Ma dottore, dico io, li ha appena salutati con gli sci ai piedi mentre stavano iniziando la discesa; “ Ma no, a vag in cuseina a controler i du cutchein c’a io purte sò e che a magnam stasira!” (Ma no, vado in cucina a controllare i due cotechini che ho portato con me e che mangeremo questa sera!)
Dal Nevegal si passò a Misurina, altra splendida località Ampezzana, in un bel albergo vicino al Lago, dove alla sera si disputavano, tra i ragazzi del gruppo, spettacolari partite di “calcio su ghiaccio” con scarponi da sci ai piedi, con grande apprensione da parte del sottoscritto, prevedendo che qualche ammaccatura “poteva starci”, fortunatamente andò sempre bene, anche perché dopo le partite, si ritornava nella tavernetta dell’albergo a ballare e bisognava restare in forma anche per quell’attività. Quando arrivava l’orario della “ritirata” erano battaglie accesissime per far si che tutti rientrassero, nelle loro stanze, in orario “decente”.
Qui a Misurina, presenti i “soliti noti”, si aggregarono tanti altri: Paolo Ferrari, Elisabetta Barbolini, Gianni Valducci, Oscar Scaglietti (dell’omonima carrozzeria), Paolo Verri e Donatella Incerti, Alessandro Borelli, Guido Ferrari, Giorgio Barbolini. Tutti i citati parteciparono anche negli anni successivi, assieme ad Alberto Montorsi, Cesare Gusberti, Maurizio Coppini, tutti validi medici, oltre a Giovanni Soldati (figlio del noto scrittore e regista cinematografico e lui stesso in seguito regista), alle mitiche vacanze di Solda e di Campitello. (il gruppo si era notevolmente allargato).
In entrambe le località furono occupati parecchi Alberghi e, se tutte le vacanze sono state considerate da molti partecipanti, “mitiche”, queste furono super. Con una ragguardevole partecipazione di giovani, in questi e negli anni successivi, qualche piccolo incidente, tipo fratture alla tibia, lussazioni e contusioni, avvenne.
Un episodio, ricordo, in quel di Solda. Oscar Scaglietti si infortunò l’ultimo giorno dell’anno, una botta alla spalla con probabile lussazione per una caduta sul ghiaccio di quelle piste. Lo porto immediatamente all’Ospedale di Bolzano, dove pensano di trattenerlo in osservazione per due giorni per ulteriori accertamenti.
La sera di San Silvestro lo vidi arrivare, all’improvviso, con il braccio fasciato: ovviamente lo rimproverai per quella sua “fuga” dall’Ospedale. “Prof., ma come faccio a perdere l’ultima sera dell’anno in un letto d’ospedale quando tutti gli amici sono quassù a divertirsi”. E difatti, anche quello, fu un ultimo dell’anno da ricordarsi, per tanti modenesi.
Solda è una splendida località ai piedi del gruppo dell’Ortles e del Cevedale, freddissima in quei giorni e con tanti alberghi occupati dai modenesi: Il “Bambi”, il “Dangl” il “Grand Hotel Solda” e una villa splendida occupata da un gruppo dei “vecchi” (di vacanze del Prof. non di età). Con noi assieme ad alcune famiglie vi era quella dei Po’, delle cucine carpigiane; l’ultimo giorno dell’anno raggiunse la famiglia anche il “patron”, che riuscì ad unire, l’utile al dilettevole, difatti nei giorni successivi, “piazzò” una delle sue famose cucine, in uno degli alberghi dove alloggiava il suo gruppo.
Era con noi anche la famiglia Bussinello con Paolo, grande tennista modenese prematuramente scomparso e al quale la Scuola di Pallavolo Anderlini ha titolato una grande manifestazione pallavolistica denominata “Memorial Bussinello” e il fratello Marco, fisico possente, “testa matta” che si dedicò, in seguito, alla specialità sciistica più impegnativa: la discesa libera, tanto da arrivare a conquistare il titolo di Campione Italiano Universitario. Marco Bussinello ebbe la compiacenza, in un’intervista pubblicata sulla “Gazzetta dello Sport”, dopo i suoi successi, di gratificarmi, affermando che ad avviarlo allo sci era stato il Prof. Zucchini.
Ebbi il piacere di essere citato da molti miei allievi e non solo nel settore dello sci, ma anche da coloro che si dedicarono con risultati d’altissimo livello, all’atletica o alla Pallavolo, per l’aiuto che avevo dato, alla loro iniziazione agonistica.
Anche a Campitello occupammo una serie di alberghi, il “Rododendro”, i “Monti Pallidi” a fianco della seggiovia che ci portava al “col Rodella” dove svolgemmo le gare di fine corso, oltre ad altri due o tre alberghi più piccoli. Si era aggregato in quell’anno alla mia organizzazione un altro insegnante di Ed. Fisica, il Prof. Gaetano Gibertini, grande sportivo e ancor più sciatore eccezionale.

Gruppo di partecipanti alle Vacanze invernali a Campitenno davanti all'albergo "Monti Pallidi" che ci ospitava. Al centro il prof Bruno Zucchini


Con un gruppetto tra i ragazzi più grandi facemmo, un giorno, il famoso giro dei quattro passi “la Sella Ronda”, erano con me, Cesare Gusberti, Guido Ferrari, Alberto Montorsi, Alessandro Rabino con il padre Ing. Domenico, appassionato sciatore, e alcuni altri; quando arrivammo a dover affrontare il famoso “Ghiaione del Pordoi”, dove i primi 50 metri si facevano scendendo aggrappati ad una fune in mezzo alle rocce e con un pendio mozzafiato, mi vennero le “paturnie” dato che avrei dovuto guidare il mio gruppo in quel budello di neve e di rocce. E se succede qualcosa? È stata, in tanti anni assieme agli allievi, l’unica volta che ebbi quella grossa preoccupazione. Erano tutti “in gamba” e terminammo la rocambolesca discesa, intatti.
Ormai la mia organizzazione si era sviluppata in modo incredibile. L’anno seguente ad Andalo raggiunsi il massimo della partecipazione. Circa duecentocinquanta giovani e famiglie parteciparono a quella vacanza; tra le famiglie, ricordo quella numerosa del Cav. Walter Bellei, dell’Ing. Suzzi, dei Tarabini Castellani, la famiglia Stanguellini con Francesco e Rossella ecc., sembrava che tutta Modena volesse partecipare alle,“Tradizionali Vacanze del Prof. Zucchini” come comunemente erano chiamate.
Andalo, gli alberghi, le piste della Paganella, sembravano occupate solamente da modenesi. Naturalmente mi diedero collaborazione, in quella circostanza, tanti colleghi, dato che in ogni albergo erano presenti almeno due insegnanti; con me c’erano i soliti, Bartolomeo Candeli, Maria Pia Bertani, ai quali si aggiunsero Paolo Bassoli, Marco Santunione, Paola Bernardi, le sorelle Melchiorri e Gaetano Gibertini.
Citare i nomi dei tanti partecipanti occorrerebbero almeno due capitoli e per me, riuscire a ripescarli nella memoria resta veramente difficile. E’ stato senz’altro l’anno più impegnativo dal punto di vista organizzativo e di gestione; pur attorniato da validi colleghi, quando sorgevano problemi, o con gli albergatori o con i ragazzi, ero dirÿÿtamente chiamato in causa, poiché erÿÿilÿÿdiretto responÿÿÿÿle” di tutto il gruppo. Per me non erano più vacanze, non vi era un attimo di tregua, era un vero e proprio “tour de force”, di giorno sugli sci, poi la sera e la notte in giro per gli alberghi per tenere sotto controllo la situazione, ogni notte dormivo poche ore e ritornavo in città, al termine dei dieci giorni, totalmente “distrutto”.
Gli anni a seguire sono stati quelli di Pejo, quattro volte, di Folgaria, di Pinzolo, di Serrada (due volte). Vi fu anche un ritorno al Passo di San Pellegrino nel 1971-72, moltissime iscrizioni; occupato completamente l’albergo “Cristallo”, nuovissimo, creai un altro concentramento a Bellamonte, località di là dal Col Margherita, in linea d’aria poco distante, ma percorso molto lungo in automobile. I “grandi” al Passo, i “piccoli” e le famiglie a Bellamonte.
Eravamo già entrati negli anni della politicizzazione studentesca e non poté mancare la contrapposizione tra gli opposti schieramenti, anche nell’ ambiente alpino. Non vi erano mai stati problemi di questo tipo in tutti gli anni precedenti, a San Pellegrino successe la notte dell’ultimo dell’anno; un gruppo di ragazze alloggiate a Bellamonte vollero partecipare “a tutti i costi” alla festa con cenone al Passo; le andai a prender con il pulmino Ford con il quale mi ero attrezzato e dopo il “caotico cenone”, a notte fonda le dovetti riaccompagnare a Bellamonte. Notte di “tregenda”, al Passo si stavano accumulando metri di neve con una bufera vista poche volte.
Con il mezzo attrezzato bene per la montagna ed essendo praticamente tutta la strada in discesa, riuscii a raggiungere, sebbene con molta fatica, Bellamonte. Al mio ritorno al passo imparai che durante la notte ne erano successe “di tutti i colori”. Dopo i brindisi e le bevute del capodanno, attraverso il classico abbassamento dei freni inibitori, i due schieramenti che si erano creati, di destra e di sinistra, si scontrarono, prima a suon d’invettive, poi si passò a qualche episodio, limitato, di scontro fisico. I miei colleghi, con in testa Gaetano Gibertini e gli albergatori, ebbero il loro gran da fare per tranquillizzare gli animi alquanto surriscaldati. Verso mattina tutto tornò alla normalità, le intemperie favorirono il ritorno alla tranquillità dato che l’albergo era quasi sepolto dalla neve e uscire all’esterno era molto difficile, Molto meglio godersi lo spettacolo, di quell’eccezionale nevicata, dalle ampie finestrature dell’Hotel.
Mi resi conto, da quel momento, quanto l’esasperazione politica avesse acceso gli animi dei giovani, in netta contraddizione tra loro e anche il periodo delle vacanze invernali, che avrebbe dovuto essere un solo momento di sport e di svago, diventò motivo di divisione tra chi era di destra e chi di sinistra. Personalmente non feci mai delle distinzioni, tanto meno dei favoritismi, ebbi sempre l’accortezza di mantenermi in un certo equilibrio anche perché non diedi mai sottolineature politiche alle mie organizzazioni giovanili.
Il “virus” della politica e dell’ideologia estrema era entrato nelle masse giovanili che si schierarono con tutta la passione dell’età. Negli anni successivi in varie località fui costretto in alcune circostanze a frenare gruppi di giovani che “scadevano” in esuberanze politiche. Non è stato facile usare “il bastone e la carota”; i genitori mi affidavano i loro ragazzi e per me era un imperativo categorico farli ritornare alle loro famiglie,“integri”, sotto tutti i punti di vista.
Erano gli anni dei gruppi giovanili di nuova composizione, “quelli dei primi anni” erano ormai adulti e le loro scelte diventavano individuali; si affacciavano le nuove generazioni con la presenza di altri giovani modenesi e, tra i tanti, ricordo: Ludovico Casati Rollieri, Federico Vigarani, Donato Saltini, Franco Ferrari, Carlo Pandolfini, Federico Bernardoni, Alessandro Guerra, Francesco Verganti, Cecilia Verganti, Paolo Rebucci, Anselmo Vandini, Luca Rebucci, Massimo Fratelli, i fratelli Giorgio e Stefano Goldoni, Aldo Ferretti, Angelo Po’, Patrizia Covili, Carlo Messerotti, Beatrice Lotti, Marcello Lotti. In quelle località ebbi sempre la presenza di gruppi familiari al completo come la famiglia di Giuseppe Panini, quella di Bruno Barbieri, del Dott. “Gigi” Galantini e ricordo le fiaccolate notturne a Pejo, alle quali partecipavamo, assieme ai Maestri di sci, con i nostri sciatori padani.
A Pinzolo vi fu un’eccezionale festa di capodanno, con il trasporto “anticipato” alle loro stanze, di alcuni che avevano anticipato le libagioni della mezzanotte. Tutti gli anni, quella della “sbronza di San Silvestro” era una situazione che dovevo tenere particolarmente “sotto controllo”.
Quel rito in età giovanile era qualcosa di “dovuto”, gli eccessi ci sono stati, e molti, ubriachi, io e i miei collaboratori li abbiamo dovuti sistemare innanzitempo, in quella notte di “semel in anno”, ma, in rapporto al considerevole numero di ragazzi che “alzavano il gomito”, non vi furono mai situazioni particolarmente delicate, eccetto quella che si verificò l’ultimo anno delle mie “Vacanze”, 1981-82, in quel di Andalo, dove chiusi un’attività diventata troppo impegnativa e nella quale avrei potuto correre rischi maggiori, da quel momento in avanti.
L’ultima notte dell’anno rientrai in camera verso le cinque del mattino, dopo nemmeno dieci minuti, fui richiamato da urla disumane provenienti dalla “hall” dell’albergo. Mi affacciai al vano scale e vidi venirmi incontro tre-quattro “energumeni” indigeni, armati di badili che cercavano, gridando il nome ad alta voce, uno dei miei ragazzi. In un qualche modo li affrontai, rischiando: “No, vi sbagliate non è qui quello che cercate!” Cos’era successo? Al rientro in albergo un gruppetto di giovani facenti parte della mia organizzazione, si era “scontrato” con alcuni locali, che ebbero la “peggio”. Infatti, uno di “quelli con la vanga” aveva la faccia devastata e sanguinolenta. Ci fu un lungo “conversare”; ci lasciammo, alle prime ore del mattino, con la promessa di incontrarci nel pomeriggio, per definire la “faccenda”.
Al pomeriggio di quel primo dell’anno ebbi un lungo colloquio con il/i responsabili dell’episodio, sia con i “miei”, sia con gli “altri”. Invitai il giovane del mio gruppo a non uscire dall’albergo per tutto il giorno. Alla sera, malgrado tutti i miei inviti, il giovane, già maggiorenne, di conseguenza responsabile delle sue azioni, uscì dall’albergo per recarsi in discoteca: Nemmeno mezz’ora dopo ricevo una telefonata: “Prof. Siamo qui in discoteca, circondati da una marea di valligiani che ci vogliono mettere le mani addosso appena usciamo”.
Telefonate concitate al Comando dei Carabinieri che, data la particolarità della giornata, avevano le poche pattuglie a disposizione tutte in giro e lontano dalla nostra zona; al momento e urgentemente sarebbe stata improbabile la possibilità di una loro presenza. Mi reco in discoteca e riesco a parlamentare con i valligiani con i quali ero rimasto in contatto durante il giorno. Avevano riconosciuto il responsabile della rissa, gli volevano rendere “pan per focaccia”. Alcune ore di discussione finalmente riesco a far rientrare “indenne” in albergo, il mio gruppetto, “scortato” a breve distanza dagli indigeni. Nei lunghi colloqui trovai uno spiraglio: feci un accordo con i locali: la cosa si sarebbe risolta con il versamento di “tot” lire e il caso si sarebbe chiuso.
Tirai un grosso sospiro di sollievo, il giorno dopo “radunato” tutto il mio gruppo ed esposta la situazione, essendo la cifra richiesta, alta per il solo responsabile, che in verità si era solamente “difeso”, optai, e feci in modo che tutti accettassero, per una “colletta”. La cifra fu raccolta e versata, tutto si concluse “a tarallucci e vino”. Imparai in seguito da dei personaggi locali e responsabili della comunità di Andalo, che quel gruppo di “giovinastri” era solito andare alla ricerca di episodi analoghi, per cercare di “ragrannellare” un po’ di soldi. Non fu solamente quest’episodio a farmi concludere più di venti anni di “Vacanze Invernali”. Eccessiva era diventata la responsabilità, non ero più il giovane trenta-quarantenne nel pieno delle sue energie psico-fisiche.

Il pulmino dello Sci Club Modena per il trasporto degli atleti


Continuai per un certo tempo con l’attività dello “Sci Club Modena” e con le settimane bianche scolastiche. Seguivo, agonisticamente, un piccolo gruppo di ragazzi che si dedicarono alle gare di sci nell’ambito del Comitato Appennino Emiliano, tra i quali vorrei citare, Andrea Crespi, Carlo Bartolamasi, Giovanni Carpaneto, Alessandro Zucchini, Davide Gasparini e Andrea Zucchini. Non vi erano molti mezzi a disposizione, era difficile far quadrare i bilanci di una piccola Società Sportiva, con un’attività abbastanza costosa.
Trasferte, attrezzature e quant’altro lievitavano i costi in modo incredibile, non era possibile affrontare, “alla pari”, quei club che già, attraverso gli sponsor o attraverso particolari sovvenzioni, potevano “meglio arrangiarsi”.
Indicativo, in proposito, quest’episodio. Un anno mi arrivò una cartolina del Comune di Modena, indirizzata allo “Sci Club Modena” dove c’era concesso un accredito di 300.000 lire; allora erano “soldini”. Sorpreso, ma nello stesso tempo convinto di un errore, mi recai all’Esattoria Comunale dove doveva essere erogata la somma. Difatti, costatammo immediatamente, che era stato commesso un errore. La somma era destinata allo “Sci Club Mutina”, costituito da pochi mesi, senza alcuna attività alle spalle, ma che rientrava nell’”area” gestita dall’amministrazione comunale. Era stato commesso un errore nell’indirizzare quella disponibilità economica. Gli amici degli amici, avevano sovvenzionato immediatamente quell’entità sportiva, appena costituita, poiché entrava nella loro sfera politica. Tutto questo a prescindere dall’attività agonistica effettuata. Lo Sci Club Modena era da anni che operava nel settore partecipando a gare e quant’altro, gli altri dovevano ancora partire. Tutto finì. Finalmente continuai a sciare e divertirmi per i “fatti miei”


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