Le “tradizionali Vacanze Invernali”
Dopo la serie delle Vacanze estive, con i corsi di vela, nuoto, tennis,
sci nautico effettuate a Riccione, Cesenatico e Lussino, ritenni che
fosse giunto il momento di dedicarsi al mondo dello sci che tanto mi
aveva entusiasmato dai tempi delle Olimpiadi Invernali di Cortina
d’Ampezzo.
Nell’autunno del 1962 presi il primo contatto con degli albergatori di
Moena che gestivano il “Rifugio Monzoni” al Passo di San Pellegrino, a
1920 metri d’altitudine. Prenotai trenta posti letto per dare così avvio
alle prime Vacanze Invernali, che in seguito ottennero un clamoroso
successo. I posti prenotati si riempirono con una certa facilità e
d’allora iniziò la serie, durata oltre venti anni; per dieci giorni dal
26 Dicembre, Santo Stefano, al sei Gennaio, giorno dell’Epifania, ho
avuto la ventura di trascorrere quel periodo dell’anno, assieme a
centinaia di giovani modenesi e di tante altre località.
Avevo già avuto per alcuni anni l’esperienza di partecipare alla
settimana bianca natalizia organizzata dal Ente provinciale del Turismo
in collaborazione con l’ufficio Ed. Fisica del Provveditorato agli
Studi, a Sestola, dove tra l’Hotel Panoramic e l’Hotel Roma, molti
ragazzi modenesi, tra la fine degli anni’50 e i primi anni ’60, ebbero
la possibilità di fare le prime esperienze sugli sci, tra la Galvanella
e la pista Rossa. Sestola allora non era come oggi; piste tenute in un
qualche modo, limitata volontà di sviluppo turistico, come invece
avvenne in seguito.
Mi resi conto che da parte dei giovani modenesi vi era il desiderio di
andare oltre “i nostri confini”. Ritenni che era giunto il momento di
fare conoscere ai “padani” la bellezza e l’incanto delle Dolomiti,
montagne magiche e affascinanti.
Non che il Passo di San Pellegrino allora, fosse dotato di chissà quali
attrezzature, vi era un solo skilift che, dal Rifugio Monzoni, arrivava
al Rifugio Margherita, con il mitico “Bepi” che gestiva entrambi.
Eravamo praticamente noi e pochi altri e il paesaggio nel quale eravamo
inseriti era ed è di una bellezza incomparabile; il gruppo dei “Monzoni”
che al tramonto si tingevano di rosa, le bianche distese immacolate che
andavamo a “contaminare” con i nostri sci di legno, le gite, diurne e
notturne (a bere il vino brulè e a cantare le struggenti canzoni alpine)
ai “masi”, le capanne dei pastori per gli alpeggi estivi, il nostro
rifugio Monzoni accogliente e immerso nella neve, sono un ricordo che
tutti coloro che hanno preso parte a quei primi anni di Vacanze
Invernali del Prof. Zucchini, non potranno mai dimenticare.
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Passo San Pellegrino
Modenesi al
rifugio Margherita
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Dal 1962-63, abbiamo goduto di una montagna “incontaminata”. Al nostro
Rifugio albergo, ad esempio, non esisteva il telefono, l’unico posto
telefonico pubblico era a circa tre chilometri dal passo, in località
gli ”Zingari” e, al tardo pomeriggio, dopo l’attività sciistica, molti
ragazzi si dirigevano a quel posto, per fare la fila e “comunicare” con
le loro famiglie.
Con me a collaborare, sia per la parte sciistica sia per la “gestione”
dei ragazzi in albergo, vi era l’amico Prof. Bartolomeo Candeli di
Pavullo, “Bart”, era come tutti gli uomini di montagna, un buon
bevitore. Un anno arrivammo al Rifugio Monzoni (che avevamo quasi
totalmente occupato) quando alla sistemazione delle camere, ci si
accorse che ne mancava una, ovviamente la nostra, dopo aver sistemato
tutti i ragazzi.
La proprietaria dell’albergo ci propose la sistemazione provvisoria, per
due-tre notti, in una stanza del sottotetto, ma senza riscaldamento.
Eravamo a duemila metri e le notti, lassù, non sono come in Riviera; ci
disse la Signora: “Posso metterci una stufetta a gas, o darvi una
bottiglia di grappa”. Quale fu la scelta? Per tre notti, io e Bart, ben
coperti, dopo le fatiche della giornata, quella bottiglia di grappa ci
aiutò egregiamente a difenderci dai rigori delle “notti dolomitiche”.
Per anni ci furono tanti ragazzi e famiglie modenesi che scelsero di
passare i dieci giorni delle vacanze natalizie con i miei corsi di sci.
La famiglia Aggazzotti con la Sig.ra Laura e il Dott. Pietro (produttore
del noto, Nocino e Laurino), e i figli Emanuela e Ettore, la famiglia
dell’Ing. Domenico Rabino, con i figli Alessandro, Luisa e Franco, la
famiglia Baroni con la figlia Antonella, e tutto un gruppo di giovani,
nella maggioranza diventati noti professionisti della società modenese
quali, Fabrizio “Bricia” Ferrari, Davolio Marani Severino, Oliviero e
Daniele Soragni, Sandrino Sereni, Gino Padoa e la sorella Laura,
Vittorio Brino, Alessandro Gheduzzi, Carlo Cacciari, Giuliano Andreoli,
Marco Rigatelli, i fratelli Santangelo e tanti altri.
Allora era facile il controllo dei ragazzi che, seppure nell’esuberanza
giovanile, avevano un gran rispetto per i loro insegnanti e per gli
adulti in genere. Usavo, se mi si lascia passare una terminologia ormai
desueta, il sistema del “bastone e della carota”; sì divertirsi, ma pur
sempre entro certi limiti. Ritenevo, a quel tempo, che si dovesse
superare, andando in giro con gruppi di giovani, la concezione della
“colonia” e che i nostri ragazzi si dovessero inserire, pariteticamente,
nelle strutture alberghiere assieme alla clientela tutta.
Certamente non è stato facile far recepire e agli uni e agli altri,
condividendo lo stesso tetto, che avevano gli stessi diritti e doveri.
L’intensa attività sportiva, permetteva in parte questa possibilità; per
quanto la sera i giovani volessero esprimere la loro vitalità nel fare
le ore piccole, nel giocarsi scherzi a non finire, nel cercare i
contatti con le ragazze, uscivano pur sempre da giornate particolarmente
faticose. Ore sugli sci, in quelle condizioni climatiche, facevano sì
che la sera, una buona percentuale fosse particolarmente “cotta”, anche
se, ancor più cotti, erano gli insegnanti che, dopo la giornata sulla
neve, dovevano controllare le “scorribande notturne”.
Tantissimi aneddoti sarebbero da raccontare ma non è possibile
ricordarseli tutti. Qualcuno viene alla mente: una sera, avendo scoperto
che alcuni ragazzi erano entrati in una camera di ragazze, mi permisi un
piccolo ”divertissment”. Bussai alla camera dopo l’orario, generalmente
elastico, del riposo. “Chi è”. Il Prof. Zucchini, risposi. Gran
tramestio all’interno. “Attenda un attimo che le apriamo subito”.
Difatti, dopo poco, mi fecero entrare, sul tavolino della stanza,
panettone, e spumante. “ Come va ragazze?” “Tutto bene Prof.” La tenda
della finestra-balcone si muoveva leggermente e mi resi conto che i
ragazzi erano andati a rifugiarsi là fuori.
La situazione era scontata e, con un “briciolo di cattiveria” ne
approfittai. “Posso restare a fare due chiacchere con voi ragazze, mi
offrite una fetta di panettone? Ma certo, mi dissero a denti stretti;
per farla breve, dopo aver sorseggiato un goccio di spumante e addentato
una fetta di panettone, andai sul balcone, erano tutti in pigiama o
camicia da notte, e a duemila metri non è facile resistere, feci
rientrare immediatamente i quattro cinque ragazzi, quasi “assiderati”
dicendo loro. “Ma ragazzi, secondo voi io dovrei essere così severo da
lasciarvi congelare sul balcone o punirvi solamente perché siete entrati
in questa stanza a far compagnia alle vostre amiche? Venite subito
dentro e beviamoci assieme un po’ di spumante!”
In quegli anni i giovani allievi, pur nell’esuberanza della loro età,
avevano molto rispetto per gli insegnanti e accettavano di buon grado i
richiami di chi aveva la grossa responsabilità della loro sicurezza, in
particolare quando, per dieci giorni, si conviveva in una dimensione di
alta montagna praticando una disciplina sportiva che poteva creare
situazioni delicate per l’integrità fisica dei ragazzi. In quei primi
anni non ci furono incidenti particolari, qualche botta, qualche lieve
distorsione che, praticando lo sci, sono quasi all’ordine del giorno.
Le lezioni erano tenute dai maestri di sci della Scuola di Moena guidata
dal Maestro Chiocchetti, con l’aiuto mio e del Prof. Bartolomeo Candeli
che collaborava nel controllo in albergo dove vi era la partecipazione
dei colleghi, Prof. Dino Cerrato e Maria Pia Bertani e, del gruppo a
Selva di Val Gardena, Romano Tagliazucchi.
Tra i tanti allievi di quel periodo ricordo ancora con tanto piacere:
Giacomo Ghillani, Pierino Lottici, Alessandro Monti, Giorgio e Michele
Lofoco, Stefano Monti (poi noto regista teatrale), Antonio Minezzi e le
ragazze, Laura Zanichelli, Rossella Boni, Gabriella Bettelli, Paola
Beggi, Mariella Della Rovere, Nicoletta Pacchiarotti, Doretta Della
Rovere.
Dopo l’esperienza al Passo di San Pellegrino scelsi per le Vacanze
Natalizie un'altra località particolarmente isolata, la località del
Nevegal, appena sopra Belluno. Era un rifugio situato “sul cucuzzolo
della montagna”, posto splendido, isolatissimo, dato che ci si arrivava
solamente in seggiovia e, dalle cinque del pomeriggio al mattino,
“lassù” restavamo solo noi; avevamo occupato tutto l’albergo-rifugio e
la vita di gruppo ebbe la sua massima espressione. Si aggregarono al
“gruppo storico” tanti altri ragazzi e tra questi ricordo, Mario Marchiò
(poi noto avvocato del foro modenese), Sandro Miglioli, Alessandro
Righi, Riccardo “Richy” Levi (giornalista e uomo politico, Ministro nel
secondo Governo Prodi).
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Bruno Zucchini sulle piste del Nevegal
Nello sfondo il rifugio che ospitava i modenesi guidati dal Prof. |
Il papà dei fratelli Aggazzotti, il Dott. Pietro, tutti gli anni, veniva
a trovare la famiglia verso il giorno di S. Stefano, in quell’occasione,
poco dopo il pranzo di mezzogiorno, si era davanti all’albergo e i
ragazzi cominciavano a “sciamare” per riprendere l’attività pomeridiana,
mi si avvicina dicendomi in dialetto modenese: “Professor, a vag a vader
i me du ragazo cum i stan”. (Professore vado a vedere i miei due ragazzi
come stanno). Ma dottore, dico io, li ha appena salutati con gli sci ai
piedi mentre stavano iniziando la discesa; “ Ma no, a vag in cuseina a
controler i du cutchein c’a io purte sò e che a magnam stasira!” (Ma no,
vado in cucina a controllare i due cotechini che ho portato con me e che
mangeremo questa sera!)
Dal Nevegal si passò a Misurina, altra splendida località Ampezzana, in
un bel albergo vicino al Lago, dove alla sera si disputavano, tra i
ragazzi del gruppo, spettacolari partite di “calcio su ghiaccio” con
scarponi da sci ai piedi, con grande apprensione da parte del
sottoscritto, prevedendo che qualche ammaccatura “poteva starci”,
fortunatamente andò sempre bene, anche perché dopo le partite, si
ritornava nella tavernetta dell’albergo a ballare e bisognava restare in
forma anche per quell’attività. Quando arrivava l’orario della
“ritirata” erano battaglie accesissime per far si che tutti
rientrassero, nelle loro stanze, in orario “decente”.
Qui a Misurina, presenti i “soliti noti”, si aggregarono tanti altri:
Paolo Ferrari, Elisabetta Barbolini, Gianni Valducci, Oscar Scaglietti
(dell’omonima carrozzeria), Paolo Verri e Donatella Incerti, Alessandro
Borelli, Guido Ferrari, Giorgio Barbolini. Tutti i citati parteciparono
anche negli anni successivi, assieme ad Alberto Montorsi, Cesare
Gusberti, Maurizio Coppini, tutti validi medici, oltre a Giovanni
Soldati (figlio del noto scrittore e regista cinematografico e lui
stesso in seguito regista), alle mitiche vacanze di Solda e di
Campitello. (il gruppo si era notevolmente allargato).
In entrambe le località furono occupati parecchi Alberghi e, se tutte le
vacanze sono state considerate da molti partecipanti, “mitiche”, queste
furono super. Con una ragguardevole partecipazione di giovani, in questi
e negli anni successivi, qualche piccolo incidente, tipo fratture alla
tibia, lussazioni e contusioni, avvenne.
Un episodio, ricordo, in quel di Solda. Oscar Scaglietti si infortunò
l’ultimo giorno dell’anno, una botta alla spalla con probabile
lussazione per una caduta sul ghiaccio di quelle piste. Lo porto
immediatamente all’Ospedale di Bolzano, dove pensano di trattenerlo in
osservazione per due giorni per ulteriori accertamenti.
La sera di San Silvestro lo vidi arrivare, all’improvviso, con il
braccio fasciato: ovviamente lo rimproverai per quella sua “fuga”
dall’Ospedale. “Prof., ma come faccio a perdere l’ultima sera dell’anno
in un letto d’ospedale quando tutti gli amici sono quassù a divertirsi”.
E difatti, anche quello, fu un ultimo dell’anno da ricordarsi, per tanti
modenesi.
Solda è una splendida località ai piedi del gruppo dell’Ortles e del
Cevedale, freddissima in quei giorni e con tanti alberghi occupati dai
modenesi: Il “Bambi”, il “Dangl” il “Grand Hotel Solda” e una villa
splendida occupata da un gruppo dei “vecchi” (di vacanze del Prof. non
di età). Con noi assieme ad alcune famiglie vi era quella dei Po’, delle
cucine carpigiane; l’ultimo giorno dell’anno raggiunse la famiglia anche
il “patron”, che riuscì ad unire, l’utile al dilettevole, difatti nei
giorni successivi, “piazzò” una delle sue famose cucine, in uno degli
alberghi dove alloggiava il suo gruppo.
Era con noi anche la famiglia Bussinello con Paolo, grande tennista
modenese prematuramente scomparso e al quale la Scuola di Pallavolo
Anderlini ha titolato una grande manifestazione pallavolistica
denominata “Memorial Bussinello” e il fratello Marco, fisico possente,
“testa matta” che si dedicò, in seguito, alla specialità sciistica più
impegnativa: la discesa libera, tanto da arrivare a conquistare il
titolo di Campione Italiano Universitario. Marco Bussinello ebbe la
compiacenza, in un’intervista pubblicata sulla “Gazzetta dello Sport”,
dopo i suoi successi, di gratificarmi, affermando che ad avviarlo allo
sci era stato il Prof. Zucchini.
Ebbi il piacere di essere citato da molti miei allievi e non solo nel
settore dello sci, ma anche da coloro che si dedicarono con risultati
d’altissimo livello, all’atletica o alla Pallavolo, per l’aiuto che
avevo dato, alla loro iniziazione agonistica.
Anche a Campitello occupammo una serie di alberghi, il “Rododendro”, i
“Monti Pallidi” a fianco della seggiovia che ci portava al “col Rodella”
dove svolgemmo le gare di fine corso, oltre ad altri due o tre alberghi
più piccoli. Si era aggregato in quell’anno alla mia organizzazione un
altro insegnante di Ed. Fisica, il Prof. Gaetano Gibertini, grande
sportivo e ancor più sciatore eccezionale.
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Gruppo di partecipanti alle Vacanze invernali a
Campitenno davanti all'albergo "Monti Pallidi" che ci ospitava. Al
centro il prof Bruno Zucchini |
Con un gruppetto tra i ragazzi più grandi facemmo, un giorno, il famoso
giro dei quattro passi “la Sella Ronda”, erano con me, Cesare Gusberti,
Guido Ferrari, Alberto Montorsi, Alessandro Rabino con il padre Ing.
Domenico, appassionato sciatore, e alcuni altri; quando arrivammo a
dover affrontare il famoso “Ghiaione del Pordoi”, dove i primi 50 metri
si facevano scendendo aggrappati ad una fune in mezzo alle rocce e con
un pendio mozzafiato, mi vennero le “paturnie” dato che avrei dovuto
guidare il mio gruppo in quel budello di neve e di rocce. E se succede
qualcosa? È stata, in tanti anni assieme agli allievi, l’unica volta che
ebbi quella grossa preoccupazione. Erano tutti “in gamba” e terminammo
la rocambolesca discesa, intatti.
Ormai la mia organizzazione si era sviluppata in modo incredibile.
L’anno seguente ad Andalo raggiunsi il massimo della partecipazione.
Circa duecentocinquanta giovani e famiglie parteciparono a quella
vacanza; tra le famiglie, ricordo quella numerosa del Cav. Walter Bellei,
dell’Ing. Suzzi, dei Tarabini Castellani, la famiglia Stanguellini con
Francesco e Rossella ecc., sembrava che tutta Modena volesse partecipare
alle,“Tradizionali Vacanze del Prof. Zucchini” come comunemente erano
chiamate.
Andalo, gli alberghi, le piste della Paganella, sembravano occupate
solamente da modenesi. Naturalmente mi diedero collaborazione, in quella
circostanza, tanti colleghi, dato che in ogni albergo erano presenti
almeno due insegnanti; con me c’erano i soliti, Bartolomeo Candeli,
Maria Pia Bertani, ai quali si aggiunsero Paolo Bassoli, Marco
Santunione, Paola Bernardi, le sorelle Melchiorri e Gaetano Gibertini.
Citare i nomi dei tanti partecipanti occorrerebbero almeno due capitoli
e per me, riuscire a ripescarli nella memoria resta veramente difficile.
E’ stato senz’altro l’anno più impegnativo dal punto di vista
organizzativo e di gestione; pur attorniato da validi colleghi, quando
sorgevano problemi, o con gli albergatori o con i ragazzi, ero
dirÿÿtamente chiamato in causa, poiché erÿÿilÿÿdiretto responÿÿÿÿle” di
tutto il gruppo. Per me non erano più vacanze, non vi era un attimo di
tregua, era un vero e proprio “tour de force”, di giorno sugli sci, poi
la sera e la notte in giro per gli alberghi per tenere sotto controllo
la situazione, ogni notte dormivo poche ore e ritornavo in città, al
termine dei dieci giorni, totalmente “distrutto”.
Gli anni a seguire sono stati quelli di Pejo, quattro volte, di Folgaria,
di Pinzolo, di Serrada (due volte). Vi fu anche un ritorno al Passo di
San Pellegrino nel 1971-72, moltissime iscrizioni; occupato
completamente l’albergo “Cristallo”, nuovissimo, creai un altro
concentramento a Bellamonte, località di là dal Col Margherita, in linea
d’aria poco distante, ma percorso molto lungo in automobile. I “grandi”
al Passo, i “piccoli” e le famiglie a Bellamonte.
Eravamo già entrati negli anni della politicizzazione studentesca e non
poté mancare la contrapposizione tra gli opposti schieramenti, anche
nell’ ambiente alpino. Non vi erano mai stati problemi di questo tipo in
tutti gli anni precedenti, a San Pellegrino successe la notte
dell’ultimo dell’anno; un gruppo di ragazze alloggiate a Bellamonte
vollero partecipare “a tutti i costi” alla festa con cenone al Passo; le
andai a prender con il pulmino Ford con il quale mi ero attrezzato e
dopo il “caotico cenone”, a notte fonda le dovetti riaccompagnare a
Bellamonte. Notte di “tregenda”, al Passo si stavano accumulando metri
di neve con una bufera vista poche volte.
Con il mezzo attrezzato bene per la montagna ed essendo praticamente
tutta la strada in discesa, riuscii a raggiungere, sebbene con molta
fatica, Bellamonte. Al mio ritorno al passo imparai che durante la notte
ne erano successe “di tutti i colori”. Dopo i brindisi e le bevute del
capodanno, attraverso il classico abbassamento dei freni inibitori, i
due schieramenti che si erano creati, di destra e di sinistra, si
scontrarono, prima a suon d’invettive, poi si passò a qualche episodio,
limitato, di scontro fisico. I miei colleghi, con in testa Gaetano
Gibertini e gli albergatori, ebbero il loro gran da fare per
tranquillizzare gli animi alquanto surriscaldati. Verso mattina tutto
tornò alla normalità, le intemperie favorirono il ritorno alla
tranquillità dato che l’albergo era quasi sepolto dalla neve e uscire
all’esterno era molto difficile, Molto meglio godersi lo spettacolo, di
quell’eccezionale nevicata, dalle ampie finestrature dell’Hotel.
Mi resi conto, da quel momento, quanto l’esasperazione politica avesse
acceso gli animi dei giovani, in netta contraddizione tra loro e anche
il periodo delle vacanze invernali, che avrebbe dovuto essere un solo
momento di sport e di svago, diventò motivo di divisione tra chi era di
destra e chi di sinistra. Personalmente non feci mai delle distinzioni,
tanto meno dei favoritismi, ebbi sempre l’accortezza di mantenermi in un
certo equilibrio anche perché non diedi mai sottolineature politiche
alle mie organizzazioni giovanili.
Il “virus” della politica e dell’ideologia estrema era entrato nelle
masse giovanili che si schierarono con tutta la passione dell’età. Negli
anni successivi in varie località fui costretto in alcune circostanze a
frenare gruppi di giovani che “scadevano” in esuberanze politiche. Non è
stato facile usare “il bastone e la carota”; i genitori mi affidavano i
loro ragazzi e per me era un imperativo categorico farli ritornare alle
loro famiglie,“integri”, sotto tutti i punti di vista.
Erano gli anni dei gruppi giovanili di nuova composizione, “quelli dei
primi anni” erano ormai adulti e le loro scelte diventavano individuali;
si affacciavano le nuove generazioni con la presenza di altri giovani
modenesi e, tra i tanti, ricordo: Ludovico Casati Rollieri, Federico
Vigarani, Donato Saltini, Franco Ferrari, Carlo Pandolfini, Federico
Bernardoni, Alessandro Guerra, Francesco Verganti, Cecilia Verganti,
Paolo Rebucci, Anselmo Vandini, Luca Rebucci, Massimo Fratelli, i
fratelli Giorgio e Stefano Goldoni, Aldo Ferretti, Angelo Po’, Patrizia
Covili, Carlo Messerotti, Beatrice Lotti, Marcello Lotti. In quelle
località ebbi sempre la presenza di gruppi familiari al completo come la
famiglia di Giuseppe Panini, quella di Bruno Barbieri, del Dott. “Gigi”
Galantini e ricordo le fiaccolate notturne a Pejo, alle quali
partecipavamo, assieme ai Maestri di sci, con i nostri sciatori padani.
A Pinzolo vi fu un’eccezionale festa di capodanno, con il trasporto
“anticipato” alle loro stanze, di alcuni che avevano anticipato le
libagioni della mezzanotte. Tutti gli anni, quella della “sbronza di San
Silvestro” era una situazione che dovevo tenere particolarmente “sotto
controllo”.
Quel rito in età giovanile era qualcosa di “dovuto”, gli eccessi ci sono
stati, e molti, ubriachi, io e i miei collaboratori li abbiamo dovuti
sistemare innanzitempo, in quella notte di “semel in anno”, ma, in
rapporto al considerevole numero di ragazzi che “alzavano il gomito”,
non vi furono mai situazioni particolarmente delicate, eccetto quella
che si verificò l’ultimo anno delle mie “Vacanze”, 1981-82, in quel di
Andalo, dove chiusi un’attività diventata troppo impegnativa e nella
quale avrei potuto correre rischi maggiori, da quel momento in avanti.
L’ultima notte dell’anno rientrai in camera verso le cinque del mattino,
dopo nemmeno dieci minuti, fui richiamato da urla disumane provenienti
dalla “hall” dell’albergo. Mi affacciai al vano scale e vidi venirmi
incontro tre-quattro “energumeni” indigeni, armati di badili che
cercavano, gridando il nome ad alta voce, uno dei miei ragazzi. In un
qualche modo li affrontai, rischiando: “No, vi sbagliate non è qui
quello che cercate!” Cos’era successo? Al rientro in albergo un
gruppetto di giovani facenti parte della mia organizzazione, si era
“scontrato” con alcuni locali, che ebbero la “peggio”. Infatti, uno di
“quelli con la vanga” aveva la faccia devastata e sanguinolenta. Ci fu
un lungo “conversare”; ci lasciammo, alle prime ore del mattino, con la
promessa di incontrarci nel pomeriggio, per definire la “faccenda”.
Al pomeriggio di quel primo dell’anno ebbi un lungo colloquio con il/i
responsabili dell’episodio, sia con i “miei”, sia con gli “altri”.
Invitai il giovane del mio gruppo a non uscire dall’albergo per tutto il
giorno. Alla sera, malgrado tutti i miei inviti, il giovane, già
maggiorenne, di conseguenza responsabile delle sue azioni, uscì
dall’albergo per recarsi in discoteca: Nemmeno mezz’ora dopo ricevo una
telefonata: “Prof. Siamo qui in discoteca, circondati da una marea di
valligiani che ci vogliono mettere le mani addosso appena usciamo”.
Telefonate concitate al Comando dei Carabinieri che, data la
particolarità della giornata, avevano le poche pattuglie a disposizione
tutte in giro e lontano dalla nostra zona; al momento e urgentemente
sarebbe stata improbabile la possibilità di una loro presenza. Mi reco
in discoteca e riesco a parlamentare con i valligiani con i quali ero
rimasto in contatto durante il giorno. Avevano riconosciuto il
responsabile della rissa, gli volevano rendere “pan per focaccia”.
Alcune ore di discussione finalmente riesco a far rientrare “indenne” in
albergo, il mio gruppetto, “scortato” a breve distanza dagli indigeni.
Nei lunghi colloqui trovai uno spiraglio: feci un accordo con i locali:
la cosa si sarebbe risolta con il versamento di “tot” lire e il caso si
sarebbe chiuso.
Tirai un grosso sospiro di sollievo, il giorno dopo “radunato” tutto il
mio gruppo ed esposta la situazione, essendo la cifra richiesta, alta
per il solo responsabile, che in verità si era solamente “difeso”,
optai, e feci in modo che tutti accettassero, per una “colletta”. La
cifra fu raccolta e versata, tutto si concluse “a tarallucci e vino”.
Imparai in seguito da dei personaggi locali e responsabili della
comunità di Andalo, che quel gruppo di “giovinastri” era solito andare
alla ricerca di episodi analoghi, per cercare di “ragrannellare” un po’
di soldi. Non fu solamente quest’episodio a farmi concludere più di
venti anni di “Vacanze Invernali”. Eccessiva era diventata la
responsabilità, non ero più il giovane trenta-quarantenne nel pieno
delle sue energie psico-fisiche.
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Il pulmino dello Sci Club Modena per il
trasporto degli atleti |
Continuai per un certo tempo con l’attività dello “Sci Club Modena” e
con le settimane bianche scolastiche. Seguivo, agonisticamente, un
piccolo gruppo di ragazzi che si dedicarono alle gare di sci nell’ambito
del Comitato Appennino Emiliano, tra i quali vorrei citare, Andrea
Crespi, Carlo Bartolamasi, Giovanni Carpaneto, Alessandro Zucchini,
Davide Gasparini e Andrea Zucchini. Non vi erano molti mezzi a
disposizione, era difficile far quadrare i bilanci di una piccola
Società Sportiva, con un’attività abbastanza costosa.
Trasferte, attrezzature e quant’altro lievitavano i costi in modo
incredibile, non era possibile affrontare, “alla pari”, quei club che
già, attraverso gli sponsor o attraverso particolari sovvenzioni,
potevano “meglio arrangiarsi”.
Indicativo, in proposito, quest’episodio. Un anno mi arrivò una
cartolina del Comune di Modena, indirizzata allo “Sci Club Modena” dove
c’era concesso un accredito di 300.000 lire; allora erano “soldini”.
Sorpreso, ma nello stesso tempo convinto di un errore, mi recai
all’Esattoria Comunale dove doveva essere erogata la somma. Difatti,
costatammo immediatamente, che era stato commesso un errore. La somma
era destinata allo “Sci Club Mutina”, costituito da pochi mesi, senza
alcuna attività alle spalle, ma che rientrava nell’”area” gestita
dall’amministrazione comunale. Era stato commesso un errore
nell’indirizzare quella disponibilità economica. Gli amici degli amici,
avevano sovvenzionato immediatamente quell’entità sportiva, appena
costituita, poiché entrava nella loro sfera politica. Tutto questo a
prescindere dall’attività agonistica effettuata. Lo Sci Club Modena era
da anni che operava nel settore partecipando a gare e quant’altro, gli
altri dovevano ancora partire. Tutto finì. Finalmente continuai a sciare
e divertirmi per i “fatti miei”
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