Le mie scuole - Insegnamento scolastico
Al termine degli studi all’Isef di Roma, ebbe immediatamente inizio la
mia attività professionale, l’esordio nell’insegnamento avvenne in
scuole di Provincia, precisamente alla Scuola d’Avviamento Professionale
“F. Corni” di Mirandola e al Liceo Scientifico “Morandi” di Finale
Emilia. Tutte le mattine alle 6, prendevo il “trenino” della Sefta,
assieme ai colleghi di altre materie che si spostavano dalla città alle
scuole di Provincia, in circa un’ora si giungeva a destinazione.
Mi trovai immediatamente molto bene nell’insegnamento e nell’inserimento
nella vita sociale di Mirandola, dove ebbi la possibilità di fare tante
amicizie. Rimasi in quella scuola alcuni anni, poiché dopo la morte di
mio padre avvenuta nel Febbraio del 1958, per forza di cose dovetti far
fruttare il mio diploma di Geometra.
Lo stipendio della scuola era allora di 51.mila, lire non sufficienti al
mio mantenimento e a quello di mia madre. Aprii uno studio tecnico,
iniziando così, in contemporanea all’insegnamento l’attività di libero
professionista, che mi diede molte soddisfazioni, avendo progettato
tante costruzioni a Carpi, Ravarino e in particolare a Mirandola, dove,
in collaborazione con l’impresa Malavasi, ebbi il piacere di firmare
vari progetti di costruzioni, anche di pregio.
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Mirandola: Villa del Dott Margaria:
progetto di Bruno Zucchini |
Era un’attività frenetica, ma una volta ottenuto il trasferimento
scolastico alle Scuole “Cavour” di Modena, rallentai con l’attività di
libero professionista, aprendo ugualmente subito in città, in
collaborazione con Franco Bartolamasi, uno studio-negozio in Via Fonte
d’Abisso chiamato “Arte-Tecnica”, dove, assieme all’amico pittore e
insegnante di disegno, ci dedicavamo alla progettistica, sia di
fabbricati, sia d’arredamento d’interni, oltre al commercio, seppur
ridotto, di oggetti d’arte, in particolare quadri e ceramiche. Nella
nostra “galleria” si trovavano alcuni Sughi, Vespignani, Vanni, Gerra ed
altri artisti che raggiunsero in breve vasta notorietà.
Nel negozio vicino lavorava, come parrucchiere, ma era sempre nel nostro
ufficio, un altro personaggio modenese, assunto a grande notorietà, il
fotografo Franco Fontana che ci portava a visionare per un giudizio, le
sue prime fotografie che avevano come tema la nostra città.
Ma la società non ebbe vita lunga, dopo nemmeno due anni mi allontanai,
giacché non reggevo le due “passioni” del mio socio; il gioco dei
cavalli e la roulette. In varie occasioni, avevo già la 1100 usata, dopo
aver passato alcuni anni alla guida della mitica “Vespa” acquistata
faticosamente a rate, si andava a fare qualche “puntata” a Venezia, io
limitandomi a qualche giocata e a qualche visita al night club, l’amico,
per accanirsi ai vari tavoli del Lido o di Cà Vendramin. Fortunatamente
non mi lasciai prendere dal “demone” del gioco così, come detto, la
società si sciolse.
A seguire ci fu la mia ultima attività di progettista, assieme ad altri
due amici aprimmo uno studio professionale misto in Via Farini. Avevamo
tre stanze, con un'unica segretaria, l’ufficio tecnico del sottoscritto,
lo studio legale dell’Avv. Adriano Sciascia e lo studio del Dott. Carlo
Faglioni, commercialista.
Siamo sempre andati d’accordo per il periodo trascorso in coabitazione,
ma oramai era diventata insostenibile la posizione d’insegnante di Ed.
Fisica e quella di libero professionista nel campo dell’edilizia; non
era possibile essere sul cantiere a seguire i momenti più importanti di
una costruzione, quali le fondazioni, la posa in opera dei solai, la
copertura ecc. ecc., ed essere presenti alle lezioni scolastiche. Dovevo
letteralmente fare, i ”salti mortali”.
Con un certo rammarico, e senz’altro con una grossa penalizzazione sul
piano economico, chiusi completamente con l’attività di Geometra per
dedicarmi totalmente all’insegnamento.
La mia indole irrequieta portò subito ad interpretare l’insegnamento
dell’attività motoria anche in chiave di libera professione. Malgrado
avessi avuto in quegl’anni, da parte di importanti Società del nostro
territorio quali “La Fratellanza” e la “Panaro”, proposte per inserirmi
come Tecnico nei loro ranghi avendo fatto anche un anno di
specializzazione a Roma per fare il Maestro di Scherma, (allora erano
tutte attività basate sul puro, o quasi, volontariato), dovetti
rinunciarvi, in rapporto alla mia precaria condizione economica.
Pensai, pertanto, di dedicarmi alla libera professione nel campo
dell’attività fisica e sportiva e quando ancora le palestre non erano di
moda, assieme ad un appassionato “culturista”, Mauro Borsari aprimmo la
prima palestra di nuova concezione: l’”ATHLETIC CLUB”, in Via del
Carmine di fianco alla Chiesa di San Biagio, al secondo piano di un
vecchio palazzo del centro storico ed ex sede di un convento del “600 o
“700.( di questa iniziativa se ne parlerà nel capitolo apposito)
Già in quegli anni ero direttore dei corsi nuoto nelle piscine modenesi;
di questo mio rapporto con il mondo delle piscine desidero parlarne con
maggiore puntualizzazione perché è stato uno degli aspetti più
“significativi” della mia carriera di insegnante.
Mi sembra inutile sottolineare quanto sia importante, come il leggere e
lo scrivere, l’imparare a nuotare in età scolastica, la materia nuoto
dovrebbe essere inserita, a pieno titolo come materia obbligatoria, sin
dalla prima classe elementare. Oggi ci sono tante piscine e l’argomento,
pur essendo ancora lontano dall’essere risolto, rispetto agli anni
cinquanta e sessanta è decisamente migliorato.
Ritengo, senza falsa modestia, per i riconoscimenti avuti da parte di
tantissime persone della società modenese ed anche al di fuori di
questa, di essere stato un valido istruttore di nuoto avendo raggiunto
la responsabilità della direzione di tanti corsi e per molti anni.
Devo innanzi tutto fare una premessa e raccontare quello che è stato il
mio rapporto con l’acqua e il nuoto. All’età di 15-16 anni, quando
ancora la Piscina Comunale di Modena, quella scoperta in Via Dogali che
era l’unica, non era stata aperta a causa dei danni subiti dai
bombardamenti aerei del 1944, noi ragazzini si andava a nuotare nei
fiumi vicini alla città, o in Secchia ai Rami o “spiaggetta”, o in
Panaro al “conventino”, o alla “filanda”.
Successe che un giorno, in località Rami di Secchia, dopo aver fatto
un’abbondante colazione “al sacco” ci mettemmo a giocare a pallone,
questo, a un certo momento, colpito da un calcio maldestro, si andò a
collocare al centro del fiume. Mi tuffai per andare a prenderlo, quando,
giunto a poca distanza dal nostro “attrezzo”, vi era una forte corrente,
probabilmente un “gorgo” molto pericoloso nei fiumi, mi prese una forte
congestione (non eravamo ancora a conoscenza della pericolosità di
entrare in acqua dopo mangiato durante la digestione) che per poco non
mi trascinò sotto; venni praticamente ripescato dopo uno “spavento”
fortissimo.
Per alcuni anni, quando ci si recava in piscina, non mi azzardavo ad
andare in acqua alta, si era creata in mè una vera e propria psicosi, e
quando qualche amico, o mi prendeva in giro, o voleva aiutarmi,
rifiutavo qualsiasi spiegazione così che tanti non seppero mai di quella
mia disavventura, quello “choc” in Secchia era stato veramente
devastante, in particolare a quell’età.
Frequentando, in seguito, l’Istituto Superiore di Educazione Fisica a
Roma, durante le esercitazioni delle ore di nuoto alla Piscina del Foro
Italico, ebbi la fortuna di trovare un insegnante, il Prof. Oberosler,
al quale riuscii a confidare la mia disavventura al fiume e la mia
condizione psicologica (ovviamente senza far presente il fatto ai miei
compagni di corso). In breve tempo mi diede la possibilità di riprendere
confidenza con l’acqua alta, tanto da superare, in seguito e
brillantemente, l’esame di nuoto.
Qualche tempo dopo l’uscita dall’Isef, fui chiamato per partecipare ad
un corso di aggiornamento e perfezionamento, per insegnanti di Ed.
Fisica alla Piscina Rivetti di Biella che mi diede realmente la
possibilità di migliorare le mie conoscenze tecniche e metodologiche,
quanto a quelle psicologiche le avevo, già da tempo, superate.
Al mio ritorno a Modena venni contattato dal Prof. Rubens Pedrazzi,
delegato della Federazione Italiana Nuoto e della Federazione Italiana
Canottaggio, che mi diede l’incarico di dirigere i corsi di nuoto
invernali alla Piscina dell’Accademia Militare, che finalmente, dopo
tante richieste si era decisa ad aprire le porte di quell’impianto, in
ore tardo pomeridiane, ai ragazzini modenesi.
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Piscina dell Accademia Militare
Corsi di nuoto della FIN diretti da Bruno Zucchini |
Passarono, attraverso i miei corsi, sia in Accademia sia alle piscine di
Via Dogali e della Città dei Ragazzi, centinaia e centinaia di giovani e
tantissimi adulti, dai quali ebbi la soddisfazione di continui
riconoscimenti per la mia professionalità.
Questa dovuta anche alla negativa esperienza al fiume, in quanto mi
diede la possibilità di fare affrontare, non solo attraverso le
cognizioni tecniche, ma in particolare a quelle psicologiche che
condizionano tanti ragazzi e tanti adulti, l’apprendimento del nuoto nel
miglior modo possibile.
Ebbi anche la fortuna di essere coadiuvato da straordinari
collaboratori, ad iniziare dal mio collega e amico Prof. Argeo Tedeschi
oltre a tanti nuotatori della “Rari Nantes” e della “Mutina Nuoto”
quali: il “grande” Amedeo Buriani e il figlio Oriano, Dante Menotti,
Marco e Riccardo Pedrazzi, Walter e “Nanni” Forghieri, Pino Tommasone e
tanti altri.
Collaboravo, con la “Rari Nantes” alla preparazione fisica di alcuni tra
i migliori elementi del nuoto modenese di quegli anni, assieme a Luciano
Calveri, allenatore della Società.
Ricordo alcuni di quei giovani: Giordano Candi, Gianni Valducci, Roberto
Caiumi, i fratelli Coggi, Sergio Formenti, Guido Nizzola, Roberto Palone,
Geminiano” Nanni” Ragni e le ragazze Anna e B. Maria Aimi, Elisabetta
Barbolini, Doretta Dalla Rovere, Doretta Dotti, Maura Malpigli, Paola
Ponzoni, Paola Vellani scusandomi con quelli/e che non ho citato.
Feci anche molte lezioni private ad adulti, al termine dei corsi
scolastici e della FIN, con qualche contestazione da parte di dirigenti
comunali della piscina, che criticavano il mio operato “in quanto mi
facevo pagare le lezioni”.
Era imperante la visione del “collettivismo” (per non dire di un
comunismo becero e “livellatore”) che in breve, si trasformò in una vera
e propria forma di capitalismo, anche per i “fustigatori” di costumi
dell’ambiente natatorio, poiché presero “in mano” quel settore creandone
un “business” notevole.
Le piscine, le polisportive, diventarono gradualmente un territorio di
conquista da parte dell’”amministrazione rossa” che, sul nostro
territorio, ha lasciato ben poco spazio alle iniziative private o quanto
meno alle forze politiche di “altre parrocchie”.
Non si è mai scavato a fondo in questo settore, tanto meno le minoranze
che non molto fanno, o non possono fare, per scoprire le magagne
dell’amministrazione locale, “padrona“ da sessanta e più anni, del
nostro territorio.
Feci anche in quel periodo, assieme all’amico e medico Dott. Luciano
Della Casa, sempre in campo natatorio, un’indagine scientifica. L’amico
era appena tornato dalla Svezia portandosi, oltre ad altre conoscenze
scientifiche in campo medico, nuove metodologie sull’uso di una corretta
e aggiornata alimentazione dell’atleta. Approntammo la nostra ricerca su
due gruppi di nuotatori modenesi, era basata su di una indagine relativa
all’“integrazione glicidica del nuotatore agonista” che portò a ottimi
risultati, con buoni miglioramenti dei tempi di alcuni atleti e diede
notevole soddisfazione a chi l’aveva portata avanti.
L’impegno per l’apertura della Palestra e di tutte le attività che si
andavano via via svolgendo, l’insegnamento scolastico e l’avvio di altre
iniziative, quali lo sci club e l’organizzazione delle “tradizionali
Vacanze sulla neve”, delle quali parlerò più diffusamente in altro
capitolo, mi costrinsero ad abbandonare l’attività natatoria che tanto
mi aveva coinvolto.
Prima di entrare nel merito della carriera svolta nelle scuole modenesi
desidero parlare, nel contesto con il quale ho dato titolo a queste
pagine, di alcuni colleghi incontrati nei vari Istituti Scolastici della
città. Alla Scuola Media Foscolo, ero da alcuni anni in quella scuola,
arrivò per completare il suo orario, un giovane collega con il quale
instaurai una certa amicizia, sia perché era abbastanza vicino alle mie
idee, sia perché, allora, mi teneva in grande considerazione
principalmente per quanto riguardava il mio attivismo nell’ambito della
“nostra” materia.
Veniva da fuori Modena, mi pare dalle Marche; cominciò in quei tempi ad
interessarsi di politica locale, iscrivendosi al Partito
Socialdemocratico. Si chiamava Giorgio Ariani, destinato ad una
brillante carriera, politica e di dirigenza sportiva. Le varie anime del
socialismo modenese erano continuamente in conflitto, i
socialdemocratici nell’area centrista, i socialisti nell’area di
sinistra, travasi da una parte e dall’altra abbastanza frequenti. Un
giorno, si era al Campo Scuola di Atletica Leggera in occasione di gare
studentesche, l’amico Giorgio mi confida che sarebbe passato, assieme
all’artefice di molti di questi passaggi l’On. Maria Vittoria Mezza, al
Partito Socialista Italiano.
Eravamo soliti commentare situazioni di vario genere pertanto gli dissi
che capivo perfettamente la sua operazione, con il PSDI non era facile
far carriera a Modena meglio con il PSI, con il quale si poteva arrivare
al traguardo dell’Assessorato allo Sport. La cosa mi faceva piacere dal
punto di vista e dell’amicizia e della nostra partecipazione al mondo
dello sport, anzi, se finalmente avesse potuto raggiungere l’assessorato
un nostro collega, sarebbe stata cosa positiva. Nello stesso tempo gli
dissi che, da un punto di vista dell’etica politica non lo ritenevo un
passo corretto specialmente verso quell’elettorato che gli aveva dato un
voto dichiaratamente anticomunista, mentre era risaputo che i socialisti
a Modena erano fortemente schierati con i comunisti.
L’amico, come previsto diventò assessore allo sport e ritengo sia anche
stato un ottimo assessore, potendo così affrontare una carriera
politico-amministrativa che lo portò alla Presidenza dell’AMCM così come
nella dirigenza sportiva, dove arrivò a alla Vice Presidenza della FIDAL,
e fu Presidente della S.S. “La Fratellanza” per lungo tempo.
In anni precedenti, quelli dell’immediato dopoguerra, vi fu vera e
propria persecuzione nei riguardi di molti “colleghi” che avevano
mantenuto una certa coerenza, tanti di questi e cito i nomi di Walter
Morselli, Orazio Coggi, Emilio Tosatti, Primo Guerzoni, solamente perché
loro stessi me lo comunicarono, vennero “epurati”, con tutte le
conseguenze economiche, sociali e morali che si possono immaginare, da
una commissione giudicatrice dove vi erano, altri colleghi che,
solamente qualche tempo prima, giravano in “orbace” e si atteggiavano a
Comandanti. Venni anche a sapere dalle confidenze di questi colleghi i
nominativi dei “giudicanti”che qui non nomino, per carità di Patria.
Di altri due colleghi, dei quali ho sempre rispettato la coerenza e
l’onestà intellettuale e professionale, devo darne menzione. Si tratta
del Prof. Leo Dignatici, collega, nei suoi ultimi anni di carriera
all’Istituto Corni. Era della zona di Montefiorino, partecipò alla lotta
partigiana anche con ruoli assai importanti: era un uomo schivo e
riservato, non volle mai parlare con nessuno del nostro ambiente di
quelle sue esperienze.
L’altro è stato il Prof. Primo Guerzoni, conosciuto a Mirandola nei miei
primi anni d’insegnamento; abitava in quella zona, a Mortizzuolo, aveva
avuto ruoli importanti nel periodo del ventennio fascista nell’ambito
dell’E.F. Nazionale. Uomo integerrimo e rispettatissimo da tutti. Rimase
fedele alle sue idee, fu responsabile del Movimento Sociale Italiano,
per la zona del mirandolese, per molti anni.
Scolasticamente passai, in città, attraverso varie scuole: prima le
Medie “Cavour” in Viale Berengario, successivamente alle Scuole Medie
“Foscolo”, all’inizio, in Via Grasolfi, e in seguito sulla Via Giardini
al vecchio mulino “della Rosta”.
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Scuola di avviamento Professionale di Mirandola,
vincitrice del Concorso di Educazione Stradale.
Il Prof. Mario Bruno Coordinatore di Ed. Fisica alle premiazioni,
assaggia un pasticcino.
A fianco il prof. Bruno Zucchini.
Dietro a destra il Preside Ing. Rinaldi |
I primi anni di Scuola Media
dell’Obbligo, voluta fortemente dalla politica nazionale degli anni
sessanta, guidata dall’allora premier Amintore Fanfani, (le scuole
pilota di quell’esperimento, non diedero risposte positive, resisteva
ancora forte il dualismo tra la vecchia scuola Media d’elitè e Scuola
d’Avviamento Professionale, (che ha avuto meriti nel dare una
preparazione professionale adeguata ai ragazzini di 14 anni che
entravano nel mondo del lavoro) diede un vero e proprio scossone a tutta
la Scuola italiana, comprese le Superiori, trascorsero nella
sperimentazione delle nuove metodologie d’insegnamento.
L’allora Preside e poi Ispettrice Ministeriale, Prof.sa Romilde Coletti,
aveva un grande carisma e una fortissima personalità, supportata da una
cultura considerevole. Credeva veramente nel nuovo corso e fece di tutto
per portare la “ Scuola Media Foscolo” tra le scuole pilota di tutta
Italia.
Il mio rapporto con questa “Lady di ferro” della scuola modenese fu
sempre impostato ad un rapporto, reciproco, di grande stima e fiducia.
Sosteneva sempre, a spada tratta, i grandi valori educativi della mia
materia, considerata molto spesso di “Serie B”. Mi diede concretamente
la possibilità d’avere ampio spazio e paritetico, nei consigli di
classe.
Furono anni nei quali la collaborazione con gli insegnanti di tutte le
altre materie era improntata ad una vera e propria organizzazione di un
collettivo, che lasciava ugualmente largo spazio alle individualità
creative ed operative di tutti gli insegnanti.
Il Prof. Francesco Saccani, poi Preside facente funzione quando la Prof.
Coletti andò a Roma e dopo Preside effettivo, il Prof. di lettere
Girolamo Pianesani, il Prof. Alberto Vandelli di Francese e tutti gli
altri, fecero veramente di quella scuola Media una fucina di nuove e
stimolanti esperienze.
La “longa mano” dell’amministrazione rossa arrivò dopo poco tempo; con
il cambiamento della presidenza e con il conformismo che stava dilagando
a macchia d’olio in tutta la scuola modenese, anche la Scuola Media Ugo
Foscolo andò velocemente trasformandosi in una succursale “pseudo
culturale” di Via delle Botteghe Oscure o, quanto meno, di Via Ganaceto
o Viale Fontanelli, sede del PCI targato Modena.
Combattei, a quel tempo, molte battaglie improntate alla libertà di
pensiero e di azione che mi/ci veniva negata, molto spesso venni
osteggiato per vari motivi subdolamente politici, in quanto,
personalmente, non ho mai cercato di educare, né con le azioni né con il
pensiero, i miei alunni, alla mia visione ideologica.
Molta parte degli operatori della scuola nella quale mi trovavo, dalla
Segreteria ai bidelli e anche alcuni insegnanti, mi furono vicini e
solidali. Gli altri, quelli che si andavano via via schierando al potere
dominante, in altre parole la sinistra tutta, cominciarono a mettermi i
“bastoni tra le ruote”. Cito un episodio, indicativo di come si stava
avviando la “cloroformizzazione” del corpo docente e di parte della
cultura modenese.
I quegli anni i vari presidi, ritenendomi all’altezza del compito, mi
affidavano l’incarico di organizzare e dirigere le gite scolastiche. Un
anno si doveva fare una gita in Liguria passando da Grazzano Visconti,
luogo d’interesse storico-turistico, quando, durante la riunione
preliminare con gli insegnanti accompagnatori e mentre si studiavano i
tempi e le modalità del percorso da effettuare, una di queste, già ben
indottrinata, propose una variante.
Si sarebbe potuto fare, andando verso Grazzano Visconti, una piccola
deviazione per andare nel reggiano, a Campegine a visitare la casa dei
fratelli Cervi, uccisi in quella località dai fascisti e diventata uno
dei luoghi simbolo della “resistenza”, anche se non ne sono mai stati
raccontati i risvolti nella loro giusta cronologia e delle vere ragioni
che portarono a quel tragico episodio.
Le risposi che sì, si sarebbe potuta fare una sosta in quel luogo, ma
che avremmo dovuto fare anche una seconda deviazione, per andare in quel
di Cento a visitare il sito dove, al termine della guerra, furono
brutalmente uccisi dai partigiani, sette fratelli fascisti. I fratelli
Govoni. Si fece silenzio assoluto. Nessuno dei presenti aveva mai
sentito nominare quei nomi e quel fatto e, mi si disse, cercavo
solamente dei pretesti e null’altro.
Spiegai cos’era successo e come avvennero i fatti del secondo e
sanguinoso episodio, in conclusione, la gita si effettuò, senza le “due”
deviazioni di percorso, proposte.
Altro episodio con attacchi che arrivarono anche sulla stampa locale,
avvenne l’anno che alunni delle scuole “Foscolo” avrebbero dovuto
partecipare alla “settimana bianca scolastica”, organizzata dal
Provveditorato agli Studi dove era coordinatore di Educazione Fisica, il
Prof. Mario Bruno.
Si portavano in montagna, sull’onda del progetto francese delle “semaine
de niege”, che avevano avuto vasta risonanza, gli alunni delle Scuole
Medie modenesi, inizialmente e per alcuni anni alle Piane di Mocogno sul
nostro Appennino, in seguito a Fai della Paganella, in Trentino,
scolaresche al completo, guidate da un Preside, ricordo i Presidi
Alpisigoli e Carlo Bertarelli, oltre agli insegnanti di tutte le materie
curricolari, assieme agli insegnanti d’Educazione Fisica specializzati
nello sci, il Prof. Orazio Coggi, il sottoscritto, il Prof. Bartolomeo
Candeli di Pavullo e in seguito, i Prof. Gaetano Gibertini e “Nanni”
Forghieri.
La contestazione si avviò perché i “sinistri” avvertivano una
discriminante, in quanto avrebbero partecipato solamente alunni di
famiglie “benestanti” ed economicamente in grado di sostenere la spesa
di quella (veniva considerata una vacanza e non una forma di studio
diversificata e in un ambiente stimolante) iniziativa, gli ”altri” non
avrebbero potuto partecipare.
Non era assolutamente vero, in quanto il Provveditorato agli Studi
Ufficio E.F. avrebbe sovvenzionato, (all’insaputa degli alunni) i figli
di quelle famiglie che non erano in grado di affrontare quella spesa,
dando loro la possibilità di vitto e alloggio, oltre all’attrezzatura
come gli sci, che erano dati a tutti, scarponi e giacche a vento.
Non fu null’altro che una risibile e strumentale polemica e non
raggiunse lo scopo; nell’immediato futuro le organizzazioni guidate dal
potere politico locale si motivarono per organizzare, come fecero,
iniziative similari, portando a Sestola, nella sede dell’ex colonia del
Castello, alunni delle scuole, dove i partecipanti tutti, borghesi e
proletari, versavano le quote ad “hoc”.
Questa era la scuola modenese negli anni “60 all’inizio della massiccia
“penetrazione ideologica” di marca stalinista.
Finito il periodo “foscoliano”, ottenni il trasferimento all’Istituto
Magistrale “C. Sigonio” con sede in Via Saragozza nel centro storico di
Modena, frequentato, in maggioranza, da ragazze anche se a quel tempo vi
era ancora una buona componente maschile. L’istituto Magistrale, dove si
formavano i futuri maestri, prevedeva per l’insegnamento dell’Ed.
Fisica, tre ore di lezione settimanali, due pratiche ed una di teoria.
Le due–tre palestre erano situate al piano terra del vecchio edificio in
sale non propriamente adatte a svolgere nel modo migliore le lezioni di
ginnastica, ma, attraverso l’ausilio del cortile interno, adatto a
svolgervi varie attività all’aperto, fu possibile portare avanti,
dignitosamente, il programma educativo.
Le ore in quei locali ce le dovevamo contendere tra maschi e femmine,
contrariamente ad oggi vi era netta distinzione tra l’attività dei due
sessi, e spesso con le colleghe ci si disputava l’utilizzo delle poche
attrezzature disponibili, frequentemente dovevo “cedere” dato che ero
solo con le varie insegnanti, Anna Goldoni, “Checca” Bevilacqua,
Gabriella Zanasi, e Cecilia Guidetti. Le ore teoriche si svolgevano in
classe, ed erano, in linea di massima, sufficientemente tollerate dai
ragazzi che, naturalmente, prediligevano l’attività pratica.
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Istituto
Magistrale "Sigonio"
4° Classe |
Erano gli anni della “contestazione studentesca” e, all’Istituto
Magistrale, pur non raggiungendo il livello di guardia di altri Istituti
scolastici modenesi, qualche presenza di componenti i gruppi
“extraparlamentari”, del tipo “potere operaio” e altri, era presente in
quella scuola, tradizionalmente “tranquilla”.
Durante le lezioni teoriche qualche dibattito interno alla classe, con
risvolti politico-ideologici si sviluppò, sempre “portato avanti”, come
si solevano esprimere allora gli studenti, da alcuni elementi
politicamente “impegnati”. Erano anni di violenza e di contestazione, in
specie verso gli insegnanti e quelli di “destra” erano decisamente presi
di mira; un mio collega, compagno di corso, a Roma fu “gambizzato”
proprio in quel periodo.
A Modena, situazioni particolarmente pesanti e di violenza gratuita,
come al contrario sono successe nelle grandi città, non accaddero.
Un giorno, all’Istituto Magistrale, dove di norma studenti e studentesse
uscivano dalla scuola in occasione degli scioperi, principalmente per
farsi un giorno di vacanza, capitò al sottoscritto di essere al centro
di un episodio, che fortunatamente non portò conseguenze, ma che aveva
tutti i presupposti per arrivare a situazioni più pesanti. Avevo
terminato, quella mattina, le mie lezioni e dopo un passaggio in
Segreteria, mi trovai lungo i corridoi a dover fronteggiare, un gruppo
di “miei” alunni vocianti con in testa i due o tre “capoccia” che
stavano mettendo in atto il cosiddetto “sciopero selvaggio”. Avevano
già, “letteralmente”, “tirato fuori”, dalle aule alcuni insegnanti, uno
addirittura trascinato per il “cravattino” (tra l’altro uomo di
sinistra), cercando di far uscire le varie scolaresche per andare ad una
delle tante manifestazioni di quel periodo. Vi era a quel tempo, con
autorizzazione ministeriale, la possibilità di “autogestirsi” scioperi
improvvisi, ma sempre dopo aver ottenuto il benestare della dirigenza
scolastica.
Alla mia domanda relativa a cosa stessero facendo, i ragazzi mi
risposero che stavano per entrare nella classe davanti alla quale
c’eravamo fermati; chiesi loro se avessero avuto l’autorizzazione della
Preside. Nò, nessuna. La Preside, Prof.sa Santoro era a Roma al
Ministero, il Vice Preside Prof. Francesco Zambrano era in
Provveditorato. Che cosa fare? Mi dissero di lasciarli passare e di
mettermi in disparte: ero, in quel momento, un docente di quella scuola
che doveva assumersi, correttamente, una qualche responsabilità in
assenza della dirigenza scolastica.
Presi la decisione di mettermi, a braccia larghe, davanti alla porta
della classe nella quale volevano entrare, promettendo loro, che ci
sarebbe stata una mia reazione se mi avessero “toccato”. La maggioranza
del gruppo, erano miei studenti e dei bravi ragazzi, mi conoscevano
molto bene, vista anche la mia determinazione, decisero di soprasedere
all’iniziativa dopo aver ascoltato le mie parole, che fecero capire
loro, data la mancanza dell’autorizzazione, che avrebbero potuto avere
conseguenze disciplinari. Uno o due, recriminarono, ma le classi non
uscirono e lo sciopero, almeno all’Istituto Magistrale, non si effettuò.
Al termine delle lezioni, all’uscita degli studenti, ci fu una
distribuzione di volantini, ciclostilati in fretta nella sede
dell’organizzazione alla quale appartenevano quei pochi ragazzi
politicizzati, che “stigmatizzava”, per usare un eufemismo, il
comportamento del Prof. Zucchini, che quella mattina aveva ”represso” le
giuste rivendicazioni degli studenti in lotta.
Si era, dunque, al centro del “rinnovamento” quando arrivò la moda del
“tu”; gli insegnanti andavano trattati “alla pari”. All’inizio
dell’anno, nel pieno dell’”ubriacatura” post sessantottina, alcune
classi mi si presentarono davanti proponendomi “il nuovo verbo”: “Guardi
Prof. che molti insegnanti accettano, di buon grado, di essere trattati
“alla pari”, Lei cosa ne dice, ci trattiamo da amici anche noi?
Rimasi molto sorpreso da questa richiesta, risposi loro più o meno in
questi termini: “Sia ben chiaro, sin da oggi, che da me non avrete mai
questo tipo d’autorizzazione, per svariate ragioni, innanzitutto non
abbiamo la stessa età, non ci frequentiamo né per strada, tanto meno nei
locali dei vostri incontri, non mangio a casa vostra, i nostri ruoli
sono totalmente diversi. Io rispetto, come ho sempre rispettato, voi
come alunni e voi dovete rispettare chi è dall’altra parte della
barricata. Sono stato giovane anch’io e le mie ribellioni le ho avute,
ma gli insegnanti, gli adulti, i vecchi, li ho sempre rispettati. Che ci
si debba mettere alla pari per una interpretazione puramente politica e
partitica, per me, non è il caso. Gli altri insegnanti sono liberi di
accettare questa “novità”. In poche parole io sono l’insegnante e voi
gli allievi. Di conseguenza scordatevi di potermi dare del tu”.
Mugugni da parte dei ragazzi, poi tutto continuò nel solito modo.
Arriviamo a fine anno, classica cena finale di addio dei maturandi con
la presenza degli insegnanti, al termine della conviviale, nella lunga
tavolata si trovano, da una parte l’insegnante di lettere “permissivo”
che aveva dato la famosa autorizzazione, con due tre ragazzi, dall’altra
il “reazionario” con intorno la maggioranza degli alunni.
“Prof, mi dissero, si ricorda della nostra richiesta all’inizio
dell’anno relativamente alla proposta di darci reciprocamente del tu? e
che l’insegnante dall’altra parte del tavolo ce lo permise e Lei no?
Bene aveva perfettamente ragione, quell’insegnante “nostro amico”, che
tra l’altro ci doveva insegnare una delle materie principali del nostro
corso di studi, ora che è diventato “uno dei nostri” viene trattato,
come si suol dire a pesci in faccia. Lo mandiamo “a quel paese” quando
vogliamo, in conclusione, e questo è molto più importante, non abbiamo
raggiunto quella preparazione adeguata per affrontare il prossimo esame
di stato.
Con Lei è stato diverso, non ci diede l’autorizzazione al trattamento
“alla pari” e oggi gliene diamo atto positivamente, poiché il rispetto
umano, è molto più verso di Lei, che nei riguardi del “nostro amico”.
Quell’insegnante di lettere, tra l’altro molto bravo per le sue
competenze specifiche e da sempre considerato un valido docente, si
squalificò di fronte agli alunni, e un “maestro di zompi” riuscì ad
ottenere, seppure in quel difficile contesto, rispetto, comprensione e
solidarietà da parte degli alunni “contestatori”, ma pur sempre giudici
imparziali verso i loro insegnanti.
Ebbi ugualmente, in quella scuola, tantissime soddisfazioni anche per il
buon rapporto creatosi con la Preside Santoro, la seconda “Lady di
ferro” modenese da me conosciuta, con la quale, dopo alcuni anni ci si
trasferì al Liceo Scientifico “Tassoni”.
Molti miei allievi dell’Istituto Magistrale seguirono la mia strada,
iscrivendosi agli ISEF, diventando miei colleghi negli anni successivi e
molti di loro hanno compiuto o stanno compiendo, brillanti carriere
scolastiche e nel mondo dello sport, come, Giuliano Corradi, allenatore
del settore salti della “Fratellanza” e responsabile di aver fatto
vestire la maglia azzurra a tanti atleti modenesi; e gli insegnanti,
Claudio Sgarbi uno degli artefici della crescita della Pallamano
modenese, Vecchi, Santi ed altri ancora.
La popolazione scolastica maschile, all’Istituto Magistrale, si stava
gradualmente riducendo, di conseguenza chiesi il trasferimento al Liceo
Tassoni, dove arrivai nel 1972, anno di nascita del mio secondo figlio,
assieme alla Preside Santoro.
In questo Liceo, che stava per “scoppiare”, data l’eccessiva popolazione
scolastica che lì si era concentrata, mi trovai ad usufruire, in
“coabitazione”, la palestra e il campetto esterno, con due “grandi
vecchi” dellaÿÿcuola modenese, il Prof. Franco Anderlini e il Prof.ÿÿldo
Santunione assieme ad altrÿÿdue collÿÿhi e amici, coetanei o quasi, il
Prof. Argeo Tedeschi e il Prof. Silvano Mazzi, con i quali ci fu sempre
un perfetto accordo.
Con la Preside, come detto, ero in totale sintonia, anche per gli anni
precedenti all’Istituto Magistrale e questo rapporto, lo sta a
dimostrare l’episodio che segue, che evidenzia, se ce ne fosse bisogno,
la difficoltà nella quale si trovava la scuola italiana in quegli anni.
La scuola Media dell’Obbligo, della quale, tra l’altro, n’ ero stato uno
degli artefici negli anni della sua sperimentazione, alle scuole
Foscolo, aveva creato, nel bene o nel male, un aumento considerevole e
sproporzionato degli studenti della Scuola Superiore.
Verso la fine dell’anno scolastico la Preside mi convocò in presidenza
dove mi fece leggere una circolare ministeriale “riservata” nella quale
s’invitavano i Presidi degli Istituti Superiori di essere, durante gli
scrutini, di “manica larga” di conseguenza cercare di far ottenere la
promozione al maggior numero di alunni in particolare a quelli del
“biennio”.
La preside sapeva bene che il sottoscritto, nei vari consigli di classe
nei quali era presente, era molto attivo nel sostenere e difendere la
posizione degli alunni, in particolare di coloro che, svolgendo attività
sportiva, non erano ben allineati con il corso degli studi, in alcune
materie. Mi chiese pertanto di darle collaborazione, in questo difficile
compito, poiché si trattava di, “invogliare”, convincere, quelle-quegli,
insegnanti “tradizionalisti”, inflessibili quando presentavano, allo
scrutinio finale, alunni con dei “due” o dei “tre”, difficilmente nelle
loro materie, trasformabili in sufficienza.
L’operazione, seppure con tante difficoltà, andò in porto e, se si
escludono casi sicuramente “disperati”, riuscì a sanare tante situazioni
e far in modo che molti alunni, che solamente l’anno precedente
sarebbero stati “bocciati”, riuscirono ad avere la possibilità di
proseguire il loro curricolo scolastico.
La situazione al Tassoni era oramai insostenibile, difatti l’anno dopo,
fu istituito il “Secondo Liceo Scientifico” modenese che andò a
collocarsi, come sede provvisoria che si prolungò per parecchi anni, nei
locali del “San Carlo” sopra i Portici del Collegio, con ingresso in
Corso Canalgrande, da dove entravano anche le merci dei Magazzini Standa,
sottostanti.
Mi trasferii nella sede di questo nuovo Liceo, dove la Palestra fu
sistemata nel “teatrino” di quell’istituto. Una splendida sala dalle
architetture di pregio, ma che niente aveva a che vedere, con la
palestra. Nulla o quasi come attrezzature, inesistenti o quasi gli
spogliatoi, nessuna doccia, fare “attività motoria” in quelle condizioni
era veramente un’impresa disperata.
Ci adattammo, e fu possibile, avendo trovato anche una buona
collaborazione con i ragazzi delle varie classi, che in quegli anni
erano particolarmente irrequieti, svolgere dignitosamente l’ora di
“ginnastica”.
Preside fu nominato il Prof. Don Alberto Leonelli. Uomo di cultura e di
Chiesa che avevo già avuto il piacere di conoscere in età giovanile,
quando frequentavo, in Via Ganaceto, la Chiesa dei Frati Cappuccini e i
Cordigeri.
Le difficoltà, di quella sede, non erano indifferenti, questa scuola
“improvvisata” mancava di molte delle norme igieniche sanitarie e di
sicurezza che dovevano, anche allora esser tenute presenti e che erano
assai carenti, anche se si spendevano cifre da capogiro per l’affitto di
locali certamente non idonei allo scopo.
Ad un certo momento si dovette pensare quale denominazione dare a questo
“secondo liceo”. Erano gli anni della strumentalizzazione delle
sinistre, delle masse studentesche, che avevano fagocitato nella loro
area, anche per la responsabilità di tanti insegnanti schierati e
politicizzati, molta parte degli studenti che dopo il “68, continuavano
con manifestazioni e scioperi a getto continuo, nella loro visione di
rivoluzione del sistema borghese e capitalista (che era in realtà, quasi
esclusivamente, il loro).
Quella del ‘68 è stata una falsa rivoluzione perché sono riusciti
solamente a rinforzare quel sistema, che, a parole dichiaravano di voler
abbattere; molti dei responsabili di quel periodo si rivelarono solo
degli opportunisti, al momento giusto hanno fatto le loro importanti
scalate nel mondo politico ed economico, prima contestato, poi sposato
completamente.
Quasi ogni giorno vi erano manifestazioni a favore del Vietnam e contro
gli americani, folle di studenti sciamavano lungo la Via Emilia,
scandendo i loro slogan “pseudo-rivoluzionari” ben guidati dai
rimestatori politici, proprio sotto le finestre del nostro,
“teatrino-palestra”, che si affacciavano sul corso principale della
città e da quelle finestre, molti dei giovani che non partecipavano alle
sfilate o “carnevalate” e preferivano svolgere l’ora di “ginnastica”, si
limitavano ad osservare, assieme al loro insegnante, il “belare” dei
coetanei per le strade del centro di Modena.
Tra gli insegnanti, ovviamente, vi era politicizzazione, anzi molti tra
questi erano i veri portavoce di quel “verbo”, normalmente colorato di
rosso, con il quale andavano “educando” e strumentalizzando, quelle
giovani generazioni.
Alle riunioni del Consiglio d’Istituto o Collegio Docenti, per dare un
nome al nostro Liceo, spuntò, proposto dalla “componente marxista”, il
nome di: “Ho Chi Minh”, questa scuola avrebbe dovuto così titolarsi,
secondo l’interpretazione “pseudo-rivoluzionaria”, dato che bisognava
dare un segnale forte alla società modenese, dando un colpo di spugna
alla tradizione e al passato, anche attraverso la denominazione di un
Istituto scolastico. La squadra “rossa” era abbastanza agguerrita e ne
tirava le fila un’insegnante di lettere, convinta sostenitrice del
“nuovo verbo”.
Gli “altri” condussero una battaglia fatta di incontri, di scambi di
idee, di ribellione ad una interpretazione esasperatamente politicizzata
su tale argomento. Le riunioni si succedettero alle riunioni e
finalmente si “tagliò il traguardo” di quella strana gara, con la
vittoria del gruppo che sosteneva e sottolineava la modenesità della
nostra scuola.
Il secondo Liceo fu denominato, e ancora oggi porta quel nome, “Liceo
Scientifico Wiligelmo”.
Esattamente in quegli anni ebbi la soddisfazione di vedere concretizzata
un iniziativa che mi stava molto a cuore. Anche nella famiglia degli
insegnanti d’educazione fisica della scuola modenese esistevano
conflittualità, divergenze, disinteresse a certe problematiche quali, il
miglioramento della nostra condizione economico-sociale, del
miglioramento delle nostre conoscenze scientifiche-metodologiche, in
fondo gli aspetti del miglioramento culturale della nostra disciplina.
Le due associazioni di categoria, ANEF e ANDES-ISEF, avevano fatto il
loro tempo. Ecco che, assieme ad un nutrito gruppo di colleghi riuscimmo
a dar vita al “Centro Studi per l’Educazione Fisica e Sportiva”,
organismo che, come presupposto, aveva la precisa volontà di andare alla
ricerca della valorizzazione, nei suoi molteplici aspetti, dell
Educazione Fisica attraverso, incontri, convegni, seminari e iniziative
tali da portare un reale contributo al miglioramento culturale della
categoria.
Dopo una serie di riunioni preliminari e attraverso la costituzione, con
atto notarile, del Centro Studi, iniziammo un’intensa programmazione
delle attività.
Ebbi la soddisfazione di essere nominato Presidente del Centro, che
contava la presenza di tanti personaggi di rilievo dell’ Educazione
Fisica e Sportiva modenese.
Vice Presidenti erano: il Prof. Luciano Gigliotti e Prof.sa Anna Giberti;
Segretario Organizzativo il Prof. Giorgio Ariani; Segretario
Amministrativo il Prof. Argeo Tedeschi; Consiglieri i Prof.ri: Anna e
Bruno Goldoni, Fernando Ponzoni, Paola Bernardi, Romano Tagliazucchi,
Antonio Brandoli, G.Carlo Bergonzini, Daniela Corradi, Secondo Cerrato,
e Angela Pezzuoli.
La sede era presso la sala riunioni della S.S. La Fratellanza che,
l’allora Presidente Avv. Camillo Sivelli, ci aveva gentilmente messo a
disposizione.
Ancora in quegli anni feci un’esperienza particolare, interessante da un
lato, ma nello stesso tempo alquanto difficile per le mie
caratteristiche e per il mio bagaglio di conoscenze.
Fui contattato da certo Dott. Lasagni, Direttore dell’Istituto Medico
Psico-pedagogico di Casinalbo. La direzione di quell’Istituto desiderava
inserire l’attività motoria in quel centro dove vi era una grossa
concentrazione di ragazzi e ragazze, provenienti da ogni parte d’Italia,
con problematiche di ogni tipo. Caratteriali, disadattati, handicappati,
insomma una folla di giovani tenuti in un ambiente, ampio, ordinato e
pulito sì, ma caotico per altri aspetti.
Il mio compito fu quello di istruire, coordinare e seguire i maestri e
gli assistenti, con delle lezioni che potessero portare questo
personale, attraverso delle conoscenze tecniche, metodologiche e
didattiche, atte a svolgere un programma di insegnamento dell’Educazione
Fisica, alle loro, “particolari” classi, oltre a dover controllare
quanto andavano facendo per arrivare alla conclusione dell’anno
scolastico con una manifestazione finale, il “saggio”, che si tenne nel
cortile interno dell’Istituto, in un pomeriggio di fine maggio, con la
presenza di genitori, personale dell’Istituto e “autorità”.
Fu un’esperienza “diversa”, mi trovai a contatto, per la prima volta,
che rimase anche l’unica, con un mondo che non conoscevo, un mondo molto
difficile per i contatti umani e per i rapporti con il personale
addetto. Gli stessi maestri, assistenti, “kapo” non saprei come
chiamarli, provenivano dalla frequentazione e dall’inserimento prima
come allievi di questi Istituti particolari, di conseguenza non fu
facile dare loro quelle nozioni atte a portare avanti una corretta
lezione di educazione fisica.
Cercai di impegnarmi al massimo, lessi e studiai molti testi relativi a
quel “mondo”. Di tanto in tanto svolgevo personalmente alcune lezioni
“dirette”, a quelle, per mè “anomale classi”; non fu facile arrivare a
portare maestri e allievi ad un accettabile e logico ordine motorio.
L’esperienza ebbe termine, come detto, con l’effettuazione del “saggio”
finale, che contrariamente alle mie aspettative, ottenne un clamoroso
successo.
Non accettai l’invito a proseguire quell’attività per l’anno successivo
dato che avevo notato in quell’ambiente, anche se non ero entrato
direttamente a contatto con i più “difficili”, aspetti comportamentali e
metodologici del personale addetto, che non mi piacevano. Dopo qualche
tempo, forse due o tre anni, venni a sapere, dato che la storia finì sui
giornali, delle “grane giudiziarie” che ebbe quel direttore, e in
seguito l’Istituto di Casinalbo, venne definitivamente chiuso.
Dopo gli anni di Liceo ritornai alla Scuola Media, alle Pasquale Paoli
in Viale Reiter, scuola di prestigio, guidata, al momento della mia
entrata, da un personaggio importante del mondo della cultura modenese,
il Prof. Francesco Merelli, con il quale instaurai immediatamente un
ottimo rapporto; era però il suo ultimo anno di scuola prima del
pensionamento. Nei consigli di classe ero messo alla pari con tutti gli
altri colleghi delle materie “cosiddette” più importanti, mi fece
dirigere svariate gite scolastiche e in particolare mi diede l’incarico
della direzione della ”Settimana bianca” della scuola.
Questa attività era passata, dopo gli anni di coordinamento dell’ufficio
E.F. del Provveditorato agli Studi, alla diretta gestione di ogni
singola scuola. Quell’anno, la Scuola Media Pasquale Paoli scelse la
località di Andalo-Fai della Paganella. Vi fu una buona partecipazione
degli alunni di tutte le classi e, oltre alla presenza degli insegnanti
di tutte le materie, vi era anche la presenza, ma in alberghi diversi,
di alcuni genitori. Mi colpì in quella circostanza una situazione che in
quegli anni era abbastanza di moda.
Si erano verificati, in Italia, numerosi sequestri di persona anche di
giovanissimi, di conseguenza molte famiglie “abbienti” avevano iniziato
a servirsi di guardie del corpo o “body guard” o “gorilla” come venivano
comunemente chiamati. Anche i modenesi, “abbienti”, seguirono questa
forma di “assistenza”, che in tanti casi non fu altro che “un apparire”
uno “status symbol”. In certi ambienti, poter dire che avevi la “guardia
del corpo”, dava un certo tono.
Orbene anche a quella settimana bianca, vidi, al seguito, molto
circospetti ma nello stesso tempo ben identificabili dal loro girare
spaesati e fuori posto in quel particolare ambiente montano, alcuni di
questi personaggi alle “dipendenze” di qualche genitore, per il loro
controllo e quello dei loro “rampolli”.
Subito dopo la Presidenza Merelli, venne a sedersi su quella poltrona un
altro noto personaggio del mondo della cultura modenese. Il Prof.
Giorgio Boccolari, uomo di scuola e di lettere, gran signore, che si
trovò a gestire la “Media Paoli” in quegli anni difficili dove
entrarono, nell’ordinamento scolastico le nuove formule dei “Decreti
Delegati” e la trasformazione del voto numerico, in “giudizio
articolato”. Non fu facile per il Preside e per la maggioranza del corpo
docente, dover accettare, “di punto in bianco” quelle nuove formule che
trasformavano la precedente “regolarità” della vita scolastica.
Vi fu, ancor di più, la penetrazione politica nella scuola. Nelle scuole
superiori i parlamentini degli studenti e nelle scuole inferiori, il
parlamentino dei genitori con i relativi “ludi cartacei”, la
presentazione delle liste elettorali, i comizi elettorali e quant’altro,
per dare alla scuola “finalmente” una visione “democratica” nella sua
gestione.
Non fu il caos, ma quasi, le allucinanti riunioni in aula magna con i
genitori presi dalla “foia” dell’intervento a tutti i costi, la
presentazione delle liste con corse che facevano impallidire i politici
che si presentavano per il parlamento nazionale, quelle scene erano
veramente da catalogare tra le “comiche finali” di vecchia memoria.
Manifesti davanti alla scuola per l’elezione del genitore “tizio” o “caio”,
cartelloni strappati, quasi risse per avere un posto in quella
determinata lista. Certo non si dava un buon esempio ai ragazzini che
vedevano conflittuare, in un modo così ridicolo, i loro genitori.
Simile la situazione per l’elezione degli insegnanti che dovevano
entrare a far parte delle liste dei “decreti delegati” per essere eletti
nel consiglio d’Istituto: se non facevi parte di quella determinata
“combriccola” eri escluso, se poi vi era il sospetto che il tale fosse
di “destra”, o vicino alla destra, si usavano tutti metodi di tipo
“stalinista” per allontanarti od eliminarti dall’eventuale candidatura.
E’ capitato al sottoscritto, che in questa “stupida” circostanza si
divertiva “da morire” e ne traeva spunto per ridicolizzare i “papà” o le
mamme o i colleghi che si erigevano a paladini in difesa del
“rinnovamento” della scuola e del suo arrivare nei prati verdi della
“democrazia”, ma che in realtà lo facevano per andare alla ricerca di
previlegi personali o per la “difesa” o protezione dei loro “pargoli”.
La scuola era veramente scaduta nel ridicolo, ho visto fior di
professionisti comportarsi come i più “beceri” rimestatori politici,
tutto per la conquista di un posto nella lista, in genere di sinistra,
per cercare di entrare, quali “cavalli di Troia” nella scuola, onde
potere più facilmente manovrarla e scardinarla dal suo interno.
Altrettanto “ridicola” fu l’operazione per la trasformazione della
vecchia pagella in scheda personale per ogni alunno, dove il voto
numerico, il cinque, il sei ecc. di una volta veniva trasformato in
“giudizio analitico” per ogni materia, per poi arrivare alla sintesi con
il giudizio “globale” finale. La situazione non poteva essere più comica
per quello che ho visto e potuto costatare in quella stagione che ha
trasformato la scuola in un assurdo strumento di scritturazione e
formalizzazione di dati e di valutazioni, semplicemente irrazionali.
Mi rifiutai categoricamente di esprimere giudizi drastici su ragazzini
che nemmeno il più esperto psicologo sarebbe stato in grado di valutare.
Mi sono limitato a sostituire il numero con l’aggettivo, al 6
sufficiente, al 7 discreto e così via.
Il Preside, Prof. Boccolari di fronte a questa mia decisa presa di
posizione, sapendo bene che non avrei fatto “marcia indietro” mi convocò
in Presidenza dove mi disse: “Professore, per l’amor del cielo, non mi
metta nei pasticci per questa sua azione”. “Non si preoccupi Preside,
gli risposi, “Lei non avrà, come non ha, nessuna responsabilità perché
questa me la assumo tutta io. Le dirò che ho già scritto una lettera
indirizzata a Lei, al Provveditore agli Studi ed al Ministro della
Pubblica Istruzione dove spiego ampiamente le ragioni di questa mia
presa di posizione, se vorranno prendere provvedimenti questi saranno
presi solo ed esclusivamente contro il sottoscritto”.
L’operazione continuò il suo percorso ed anche in questa circostanza ho
visto episodi che sfioravano veramente il ridicolo. Nei giorni
precedenti gli scrutini, l’aula insegnanti era sempre gremita di
colleghi che, come tanti scrivani di un tempo, vergavano sulle nuove
schede i famosi giudizi; erano in particolare gli insegnanti di materia
come l’educazione musicale, l’educazione fisica, religione, applicazioni
tecniche, disegno, che dovevano valutare all’incirca, 200 alunni, avendo
queste materie tante classi.
Questi “novelli scrivani” copiavano e ricopiavano, frasi precostituite
in modo generico, per essere poi spalmate sulla scheda (ne preparavi una
decina e poi le riportavi, quasi a caso, per ogni singolo alunno); quale
serietà e quale logica era presente in questo operare? Una
giustificazione la potevano avere gli insegnanti di lettere che
seguivano, al massimo, una trentina di alunni, ma gli altri? Tutti i
colleghi mi scrutavano circospetti, “ma come tu ti limiti a dare giudizi
sintetici, come scarso, ottimo, non ti preoccupi delle conseguenze che
può avere il tuo gesto?
Quelle non ci furono, e non vi fu richiamo di sorta. Va rilevato che il
Ministero aveva proposto quella soluzione in via sperimentale, come un
test di prova per sondare le risposte che avrebbero dato i vari consigli
d’Istituto in tutta Italia. La quasi totalità dei docenti si adeguò alle
direttive, senza avere avuto il “coraggio civile”, come ebbe il
sottoscritto, di contestare tale provvedimento. Così la scuola italiana
si adagiò, subendone conseguenze che ancor oggi abbiamo sotto gli occhi,
su quelle formule che hanno permesso di sfasciare o quasi l’istituzione
scolastica.
Io condussi la mia piccola battaglia sentendomi un po’ “Don Chisciotte”
nel combattere quelle disposizioni. Tanti colleghi che in privato mi
davano completamente ragione, non se la sentirono di reagire.
Era già, in quegli anni, preponderante la presenza femminile nella
scuola che, senza volere fare polemica su “femminismo-maschilismo”,
quasi in tutte le circostanze accettava supinamente ogni imposizione
dall’alto. Avevano spazio, solamente quelle poche “suffragette” che,
imperante il verbo sinistrorso, si erigevano a paladine di una certa
contestazione al grido di slogan, tipo: “l’utero è mio e lo gestico io”
innalzando pollice e indice delle due mani congiunte ad esibire la loro
(in)discussa supremazia.
Gli uomini non entravano, da tempo, nella scuola per ragioni
esclusivamente economiche. Vi erano attività più attraenti e che
rendevano tanto, ma tanto di più rispetto allo stipendio di un
insegnante, di conseguenza veniva lasciato alle loro mogli, alle figlie
quel “mestiere”, ritenuto e convalidato dai mass media, come un lavoro
di serie B.
Un ricordo: alcuni miei alunni al termine della licenza media andarono a
lavorare, mi venivano di tanto in tanto a trovare; mi raccontavano delle
loro attività, chi faceva il meccanico, chi il calzolaio ecc. alla
domanda di quant’era il loro stipendio mensile risposero: dalle 380 alle
420.000 lire. Il mio stipendio, dopo tanti anni d’insegnamento con
famiglia e figli a carico non superava le 450.000. Nessun commento.
La presenza femminile nel campo dell’insegnamento è molto importante, ma
non deve essere totalizzante, così come nella famiglia, nell’educazione
dei figli, anche con gli allievi nella scuola dovrebbero essere
presenti, pariteticamente, le due presenze dello “Ying” e dello “Yang”.
La penetrazione della sinistra in tutti i gangli della società italiana
si stava sviluppando rapidamente, l’attacco era portato anche alla
cittadella dello sport, dei cui risvolti ne ero particolarmente a
conoscenza.
Le operazioni furono tante, anche le più subdole, ma su questo argomento
più delle mie parole possono servire queste, che provengono dagli atti
di un convegno organizzato dalla Regione Emilia e Romagna a Bologna con
tema “Lo sport come servizio sociale”, il 28 Aprile 1973 (vedi testo
edito dall’Ente Regionale a pag. 80). Ecco quanto veniva detto da
rappresentanti dell’area comunista:
“…L’attuale strutturazione del CONI, determinata dalla legge istitutiva
del 1942, ha portato la gestione privatistica di un ente pubblico;
privati imprenditori sono infatti stati e sono tuttora i gestori di
questo ente, che, tutti dell’attività sportiva hanno esaltato l’aspetto
puramente agonistico a detrimento di altri che pure erano loro stati
espressamente delegati dallo Stato.
Il fatto si spiega facilmente considerando il contenuto ideologico
dell’agonismo e la sua unità di misura, il record, riflettono la
concezione dell’impresa capitalistica e la sua qualificazione espressa
nel profitto. Questo modello sportivo fornito dal Coni e dalle
Federazioni Sportive ed esaltato da numerosi organi d’informazione è
servito alla classe padronale quale strumento di alienazione e
depoliticizzazione delle masse lavoratrici per eludere i reali problemi
del paese.”
Nessun commento.
Passai, dopo cinque anni alla Media Paoli, per ragioni più personali che
di tipo scolastico, all’Istituto Industriale “F. Corni”, Preside, al mio
arrivo, il Prof. Ennio Ferrari, mio ex insegnante di matematica alle
scuole Medie, al quale subentrò, negli anni successivi, il Prof. Lino
Lauri.
Devo dire che, nella mia carriera scolastica, per quanto riguarda i Capi
d’Istituto, sono stato veramente fortunato avendo sempre trovato fior di
professionisti, ma soprattutto uomini e donne con i/le quali ho sempre
instaurato rapporti ottimali, sempre basati sul rispetto e sulla
considerazione reciproca.
All’Istituto Corni, scuola della quale ho ancora uno splendido ricordo e
nella quale mi sono trovato perfettamente a mio agio, arrivai quando la
situazione stava cambiando radicalmente. Nessuna particolare
contestazione, continuavano ancora, ma sempre in forma più ridotta, gli
scioperi e le riunioni degli studenti.
Le classi seguivano in modo migliore gli insegnanti, rispetto agli anni
precedenti, la politicizzazione era lasciata a pochi elementi che non
avevano più seguito. Si ritornò a studiare con impegno e serietà. Le
preoccupazioni maggiori per gli insegnanti erano date dall’intrusione
massiccia dei genitori, che molto spesso, e senza cognizione di causa,
durante i classici “ricevimenti genitori”, contestavano l’opera dei
docenti. Vi fu, in quegli anni, un ritorno all’essenziale,
particolarmente in quel tipo di scuola che “sfornava” giovani, preparati
che entravano a pieno titolo, tra l’altro ricercatissimi, nel mondo del
lavoro come tecnici e professionisti, in tempi brevissimi. Non più
ribellioni e contestazioni gratuite, ma una decisa presa di coscienza
del valore dello studio e della serietà della scuola.
L’onda malefica del ‘68 aveva passato il suo tempo, gli studenti si
resero conto che, specialmente nella società odierna, lo studio e il
lavoro se fatti con impegno, pagano, contrariamente alle
pseudo-rivoluzioni che accontentano esclusivamente i rimestatori
politici. Gli ultimi “epigoni” di quel “mistificante 68” si trovavano
ancora, ma in misura ridotta, all’interno della classe docente,
cresciuta in quegli anni, nelle università e nei Licei con il “voto
proletario”, poi trovatasi in breve tempo ad accettare in toto la
società dei consumi.
La Dirigenza scolastica ebbe modo di riprendere, gradualmente, in mano
la situazione. Il Preside, Prof. Lino Lauri, ebbe il pregio di sapersi
“barcamenare” al meglio in anni dove ancora la classe docente era
pervasa dagli ultimi sussulti di quella parvenza di rivoluzione di
matrice “Marcusiana”, che si svuotò miseramente e in tempi brevi, come
la classica bolla di sapone.
La conclusione della mia carriera scolastica avvenne in quella Scuola,
l’attività di libero professionista dell’Educazione Fisica, non mi
permetteva di svolgere il doppio lavoro; chiesi, di conseguenza, il
pensionamento anticipato. Lasciai con molto dispiacere l’Istituto F.
Corni, e la mia lunga permanenza nella scuola modenese che tante
soddisfazioni mi aveva dato, in particolare per il buon rapporto che
riuscii a costruire, in tanti anni, con i miei allievi.
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