Cap. 1 da Modena a Tambow

MODENA VISTA DA DESTRA

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                    Da Modena a Tambow senza ritorno
 


Il Tram correva veloce sui binari al centro del lungo Corso Vittorio Emanuele, una delle strade più belle della mia città, Modena, dove abitavo. L’ingresso della mia abitazione, posto circa a metà del corso, sul lato destro partendo dalla parte posteriore del Palazzo Ducale, sede dell’Accademia Militare, era in un bel palazzo, che nella parte prospiciente il corso era abitato da famiglie abbienti, della “buona” borghesia modenese. L’accesso alla soffitta, dove la mia famiglia era venuta ad abitare da poco tempo, era, dopo aver attraversato il bell’androne ed il cortile interno, su per una scala ripida, che mi portava al quarto piano in una specie di granaio, oggi sarebbe chiamata mansarda, e le finestre, anzi l’unica finestra, si affacciava sul piazzale dove si svolgevano le esercitazioni all’aperto dei cadetti dell’Accademia.
Intanto il tram, raggiunta una discreta velocità, arrivato oltre la meta del lungo Corso, cominciò a far sentire un ta,ta,ta,ta lungo come una raffica di mitragliatrice che sorprese i passanti non residenti (questi vi erano abituati), mentre un gruppo di ragazzini, compreso l’estensore di queste note, si rincorreva lungo il largo marciapiede, esultando e lanciando esclamazioni di gioia per l’ottima riuscita di uno dei tanti giochi che, in quella primavera del 1942, erano soliti fare.
Usavamo, a quei tempi, delle piccole cartucce rosse in strisce non molto lunghe, che, messe nel tamburo dei piccoli revolver di latta o dei fucilini con i quali, noi maschietti di quella contrada, ci divertivamo, sentendo anche il piccolo botto, a condurre le nostre piccole battaglie ad imitazione dei grandi, che in realtà si scannavano sui vari fronti della seconda guerra mondiale.
Quella poi di mettere una serie di cartucce sui binari del tram per sentirne l’effetto della raffica, era uno dei tanti giochi di strada che allora si potevano fare per la scarsità del traffico, assieme alle interminabili corse “dei coperchini”, i tappi di latta delle bottiglie, sui lunghi percorsi dei cordoli del marciapiede o di quelli della banchina dove passavano i tram. Vi erano particolari accorgimenti per rendere più competitivi i nostri tappi di latta, come il riempimento con terra creta, e la smerigliatura dei bordi; molto di moda era anche il gioco delle “bambane” e delle piastre, dove in palio erano sempre le immancabili figurine, dette anche “fifi” (non erano ancora Panini e vi era la caccia spietata al “Feroce Saladino” dei mitici “Tre Moschettieri” del Concorso Perugina) che riempivano le nostre tasche, assieme a biglie, elastici per la fionda, oltre ad altri svariati “piccoli attrezzi”.
I Giardini Pubblici, che avevano l’ingresso sul nostro corso, e in particolare la zona dove insiste ancora oggi il monumento a Nicola Fabrizi, erano il territorio dove si svolgevano tanti dei nostri giochi, come il salto della cavallina, strega a nascondere, guardie e ladri, oltre a battaglie di vario genere che a volte sconfinavano in quasi risse, dato che si usavano sassi e bastoni e spesso si ritornava a casa con qualche “bernoccolo” e qualche sbucciatura, specialmente quando ci si scontrava con le “bande” dei ragazzi o di Via Palestro o di Via della Cerca.
Uno dei giochi più eccitanti, ma tra i più pericolosi, era quello di salire sui respingenti del tram, e si faceva quando il mezzo era in corsa per evitare che, o il bigliettaio o il conducente, si accorgessero della nostra presenza e altrettanto per la discesa. Di norma si faceva tutto il lungo percorso del grande viale, ma spesso si usciva dal territorio raggiungendo, da una parte la Stazione Centrale e dall’altra Piazza Roma o Via Farini.
Un esercizio nel quale alcuni di noi erano diventati “specialisti”, si correva dietro al tram e molte volte in due, ma più spesso da soli, si saltava sul respingente e lì ci si accucciava per non essere scoperti. A parte qualche sbucciatura alle ginocchia e ai gomiti, a mia memoria, non vi furono mai episodi di una certa gravità che un esercizio di quel tipo avrebbe potuto produrre.

 

Il 27 Maggio di quell’anno, al mio rientro a casa, trovai la mamma in un particolare stato di agitazione; sulla tavola un telegramma:

Improvvisa partenza. Scriverò. Baci. Augusto

Era di mio fratello, che, dopo aver concluso il Corso allievi Ufficiali del Terzo Reggimento Bersaglieri a Pola era stato inviato a Cremona per il suo primo impegno di Ufficiale e dove si trovava a quella data.
Non lo ricordo molto mio fratello, data la notevole differenza d’età, undici anni, ma le tante fotografie, i tanti ricordi e racconti dei miei genitori e dei suoi amici, lo hanno fatto rivivere nella mia memoria, come fossi stato con lui ogni giorno.
Andò a studiare a Roma all’età di sedici anni e ritornava a casa per le vacanze, poi il servizio militare, di conseguenza sarò stato tra le sue braccia e avrò giocato con lui solamente in rare occasioni. In ogni lettera che inviava a casa, o nei suoi anni trascorsi a Roma, o durante il servizio militare e in seguito dalla Russia, vi erano sempre, per il suo fratellino, parole d’incoraggiamento per lo studio e per il buon comportamento verso i genitori, gli insegnanti e gli amici.

Il Sottotenente Augusto Zucchini al rancio con alcuni suoi soldati


Quella dello scrivere era una delle sue tante passioni, oltre al disegno, alla musica e lo sport, quasi quotidianamente scriveva lunghe lettere a casa, agli amici, alle amiche e ai parenti (sono in possesso del suo archivio che consta di una serie di cartelle strapiene delle sue lettere). Si pensi che solamente dalla Russia, dove, dal 27 Maggio al 10 Dicembre 1942, data della sua ultima missiva dal fronte, in un periodo di 198 giorni ha inviato ai suoi genitori 140 lettere oltre a decine di cartoline: non si contano poi le lettere inviate agli amici, alle ragazze, ai parenti.
Intanto, in Corso Vittorio Emanuele, i bambini giocavano spensierati ed allegri, senza preoccuparsi, più di tanto, di quello che succedeva ai loro fratelli e ai loro padri sui lontani fronti della Russia, dell’Africa o della Grecia. Durante le belle giornate i territori per le scorribande erano appunto, i giardini pubblici e la contrada nella quale si svolgevano i giochi di strada di cui ho parlato. Nelle giornate piovose e di cattivo tempo ci raccoglievamo nelle case dei più fortunati, che avevano appartamenti spaziosi ed accoglienti, oppure nei locali di vaste dimensioni tipo il garage dell’amico Corrado Gozzi, dove ci si poteva sbizzarrire in giochi svariatissimi; lo scambio ed il collezionismo dei giornalini dell’epoca, oppure i giochi con il meccano portati dai bambini con maggiori disponibilità economiche, che venivano messi a disposizione dei meno abbienti, così che il gioco era sempre alla pari. Ci si cimentava anche, in forma molto semplice, nella costruzione di mezzi come monopattini, carriolini, slittini con i quali, in rapporto alle stagioni, si andavano a fare scorribande sui larghi marciapiedi del nostro Viale. Talvolta, quando erano presenti ai nostri giochi anche le bambine, non era difficile arrivare a giocare al “dottore” che è stato senz’altro, per tantissimi ragazzini di quel periodo e non solo per quelli della mia generazione, il modo di fare le prime conoscenze, anche se molto limitate e sempre circospette della corporeità dell’altro da sé, interpretando le prime sensazioni della sessualità incipiente.
La guerra mondiale era sì in atto, ma noi bambini non avevamo, sino a quel momento, il minimo sentore, se non attraverso qualche notizia che ci dava il maestro, sul progresso delle avanzate delle truppe italiane sui vari fronti, visionandole sulle grandi carte geografiche, che si trovavano nelle aule scolastiche a quei tempi. Frequentavo le scuole elementari “De Amicis”, con la maestra Dora Chiomati in quarta classe ed il Maestro Pini in quinta.
Rare volte capitava di andare nelle case di qualche compagno di scuola o di giochi e trovare la radio accesa da dove si potevano ascoltare i bollettini di guerra, che in realtà poco c’interessavano, essendo la maggior parte di noi attratta dalle trasmissioni che mandavano nell’etere le canzonette di Alberto Rabagliati, del Trio Lescano, di Natalino Otto dell’orchestra di Korni Kramer, quali, “Parlami d’amore Mariù”, “Una casetta nel bosco” e tante altre che allora erano di moda.
In casa nostra la prima radio fu acquistata in quell’anno, ma verso la fine, con l’arrivo dei primi stipendi di mio fratello, con i quali mia madre riuscì, dopo alcuni mesi, a comperare una camera da letto moderna, per Lui.
Qualche volta con la mamma, o il papà, o tutti assieme, si andava al cinema per vedere i film di Fosco Giacchetti, Amedeo Nazzari, Alida Valli, Assia Noris ed allora era grande festa; “Luciano Serra pilota”, “L’assedio dell’Alcazar”, “Piccolo mondo antico” sono alcuni titoli che ricordo di quel periodo; e negli anni successivi il cinema fù per mé un argomento di enorme interesse.
In quell’estate di guerra, con mio fratello sul fronte russo, quando ancora le sorti del conflitto sembravano essere favorevoli alle forze dell’Asse, feci le mie prime esperienze lontano da casa. La colonia estiva di Sestola aveva sede nel castello che domina la ridente località dell’Appennino modenese dove fummo portati, dalle organizzazioni del partito, con le corriere della ditta “Macchia” che ci fecero vedere, allora si diceva, “i sorci verdi” lungo i tornanti della “serpentina”, la strada che collegava Pavullo a Sestola.
Con altri ragazzini, accompagnati dai maestri della colonia, ci avventuravamo attraverso i boschi sino alle falde del Monte Cimone, alla scoperta di una natura e di un ambiente che ci affascinava e ci coinvolgeva ma che per noi bambini di città, al contrario degli indigeni coi quali venivamo in contatto, restava pur sempre una dimensione di difficile adattamento. La lontananza da casa, i dormitori in camerate comuni, la mancanza dei giochi lasciati in città, facevano sì che ci fossero, in particolare nei primi giorni, momenti di scoramento e di nostalgia che le accompagnatrici e le maestre non riuscivano, pur con tutte le loro buone intenzioni, a farci dimenticare.
Avevo sì avuto giornate fuori casa, alla colonia elioterapica sul Fiume Panaro, ma erano esperienze di un solo giorno, perché eravamo accompagnati, la mattina a prendere il sole e a fare il bagno nelle acque del fiume, a quei tempi limpidissime, e di pomeriggio si ritornava in città.
Il “viaggio” intrapreso da mio fratello in quella primavera procedeva rapidamente verso il territorio sovietico: il 29 maggio il terzo reggimento Bersaglieri è in Ungheria e il 31 in Romania.

“Carissima mamma, mi sono appena alzato. Ieri sera a Timisoara gli italiani residenti in quella città ci hanno offerto uno splendido ricevimento con visita alla città. Ora stiamo andando verso Bucarest e si costeggia il Danubio. …………..Il tempo è ottimo con un discreto caldo, il morale altissimo. Tra sei o sette giorni arriveremo a destinazione in Ucraina al C.S.I.R. dove pianteremo le tende. Tanti saluti e baci. Augusto”

E dopo 11 giorni di viaggio, a suo dire sempre positivo, interessante ed anche divertente, arrivano a destinazione, e l’8 Giugno sono a Stalino da dove scrive una lettera al padre:

“Caro papà, finalmente ci siamo. Arrivati domenica sera, alla fine della ferrovia abbiamo pernottato in un paese e al mattino ci siamo messi in cammino verso il luogo dove si trova il Reggimento. E’ stata la prima marcia in terra russa prima di chissà quante altre che seguiranno e di chissà quale importanza. …… (e qui descrive le qualità del rancio) ……L’unico disturbo è la visita, ogni tanto, di qualche apparecchio che lascia cadere alcune bombe o qualche tiro d’artiglieria da lontano.
Non so ancora come, ma non ho ricevuto posta né da tè né da mamma dato che i primi ad avere notizia della partenza e l’indirizzo mio siete stati voi. Almeno fino a stamani. Spero arriverà dato che dall’Italia impiega circa 7 giorni come per arrivare a voi da qui. Capirai sono ormai più di 15 giorni che non ho avuto vostre notizie e vorrei sapere almeno come avete preso la mia partenza. State tranquilli che io stò benone e se andrà tutto bene, come giusto che vada, spero fra non molto di riabbracciarvi.
Qui ci stà gente dal Luglio dello scorso anno che ha combattuto e sofferto per tutto il lungo inverno con 50° sottozero, eppure è qui sana e allegra come non mai. Ho incontrato parecchi altri miei camerati e con loro stò sempre in perfetta allegria attendendo quello che ci sarà da fare in seguito. Ieri ci hanno cinematografato per un documentario del glorioso 3° Bersaglieri che
, come saprai, qui in Russia si è coperto di gloria sempre e ovunque. Ricevi tanti abbracci e bacioni. Augusto.”

Sulla base delle lettere che arrivavano dalla Russia e dalle indicazioni dei bollettini di guerra dei giornali, iniziai, assieme alla mamma a seguire l’itinerario del reparto di mio fratello su di una carta geografica preparata in casa e sulla quale, a grandi linee, si potevano percorre gli spostamenti che nella realtà corrispondevano, molto genericamente, a quello che effettivamente poteva essere il movimento al fronte.
Imparai così i nomi delle città, dei fiumi, dei monti di quella lontana terra, era una lezione di geografia che mi servì anche scolasticamente tanto da avere in quella materia sempre il voto più alto e la maestra, coniò per mè il titolo di “piccolo geografo”.
Le lettere scritte alla mamma avevano sempre un contenuto rassicurante e sulla situazione e sull’alimentazione, poche volte accennavano a fatti guerreschi, che si trovano, con più frequenza, nelle lettere inviate al padre.

“7 Luglio 1942 - Carissima mamma, sono riuscito a trovare dei fogli e delle buste per combinazione e ne approfitto subito per scriverti………Qui c’è solo abbondanza di frutta e di vecchi con barbe lunghe fino ai piedi e pieni di pidocchi. Ora comincio a balbettare qualche frase in russo e credo che, se starò qui parecchio, lo imparerò discretamente. Siamo un po’ lontani dalla prima linea, si stà benone e si fa vita di caserma. Sono contento di essere stato anche “lassù” dove si sparava e aver fatto i miei giorni a contatto col nemico. Infatti qui facevamo cura del sole e un po’ d’istruzione indispensabile, suoniamo dischi in tutte le lingue finchè non arriverà l’ordine di caricare il materiale sui camion e andare avanti. Sono le 6,30 di pomeriggio, fra una mezz’ora a mensa poi due chiacchere e dopo poco a letto. La sveglia è alle 4 perché qui il sole si alza prima essendo spostati di due fusi orari verso est e a quell’ora già scotta dato che l’alba è alle due e mezza.
Ogni tanto passano apparecchi russi – si sente un fuoco infernale e qualcuno viene a sbattere il muso giù- una confusione che dà un bellissimo spettacolo specialmente di notte quando si spara con le pallottole che lasciano dietro di se una striscia luminosa. Io stò sempre benone, quando non so che fare o mangio o disegno o scrivo…….Qui salvo gli aeroplani non sembra nemmeno di essere in guerra, ma non può durare tanto a lungo ed è naturale. Ti bacio tanto insieme a Bruno che non scrive mai. Augusto.”


Le varie località delle zone interne della Russia, dal Donetz al Don, cominciarono a diventarci abbastanza familiari, si andavano a cercare sulla carta geografica i centri come Stalino, Karkov, Kursk, Voronej, Jagodnij dove ad iniziare dalla metà del mese di Luglio iniziò l’offensiva delle forze italo-tedesche e nella quale si trovò coinvolto il 3° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere, alla quale apparteneva mio fratello. Dal Donetz al Don vi fù una grossa avanzata.
Il giornalino del 3° Bersaglieri, al quale collaborava con scritti e disegni anche il sottotenente mio fratello, chiamato “In Bocca all’Orso” raccontava, con enfasi e con lo stile propagandistico dell’epoca, dei grandi successi riportati, ma anche dei piccoli episodi che avvenivano tra i soldati, delle esperienze nei combattimenti e dei rapporti con la popolazione delle contrade nelle quali si venivano a trovare i bersaglieri, con racconti che denotavano sempre la cordialità reciproca tra i civili e i militari italiani. Così scriveva al padre:

“17 Luglio – Carissimo papà, ti sto scrivendo piuttosto scomodo sopra una cassetta di munizioni. Sono sei giorni che ci siamo mossi da dove stavamo e siamo avanzati per una cinquantina di Km. I russi finora non hanno opposto molta resistenza e salvo qualche piccolo combattimento se la sono sempre data a gambe, meno ora che si sono posti in difesa. Gli aeroplani passano continuamente e scaricano su di loro le pillole che tengono nei loro ventri capaci, vedessi che colpi! Dormiamo sempre all’”Albergo della Luna” con un po’ di fresco ma in complesso si stà benone anche come mangiare, che come sai è una cosa abbastanza importante.
Salute sempre ottima, morale ancor di più, meglio non può andare. Speriamo continui così e andrà tutto bene. Ti saluto e ti mando tanti baci. Augusto.”


A Modena, i ragazzini di Corso Vittorio Emanuele che seguivano gli avvenimenti della guerra in modo molto relativo, sono sempre alle prese con i loro giochi e la maggior parte delle ore in quelle calde giornate estive si trascorrevano nell’oasi di verde dei vicini giardini pubblici. Mio fratello scriveva tante lettere, ma ai genitori non raccontava gli aspetti più crudeli della guerra, cosa che invece faceva con amici o conoscenti, come questa lettera inviata ad un’amica della mamma che abitava in riviera ligure e della quale sono riuscito ad entrarne in possesso dopo del tempo.

“Graf-Voronez - 18 agosto 1942 – Gent.ma Signora Maria Rosa, non potete immaginare con quanta sorpresa abbia ricevuto la vostra lettera dopo tanti anni che non avevo più vostre notizie. E’ stato quindi con vero piacere che ho appreso della visita fatta a Modena a mia madre che sarà stata felicissima di rivedervi. Se non sbaglio l’ultima volta fu nel ’38 quando abitavamo ancora in Via Cesare Battisti ed io mi trovavo in licenza dall’Accademia di Roma. Da allora quante cose, quanti cambiamenti sono avvenuti e come vedete da Modena a Roma, a Milano, Bologna, Pola, via Cremona sono arrivato in Russia dopo circa 20 mesi di servizio militare. La strada è stata dura e faticosa. Proprio oggi siamo scesi dalla linea per un periodo di assestamento del fisico e del morale dopo circa un mese e mezzo di continui sacrifici, di combattimenti. E’ stato un periodo addirittura apocalittico quello che ho vissuto: combattimenti, attacchi, assalti, lotte furiose sotto fuochi infernali, visioni di carri armati, tempeste di proiettili e purtroppo altri spettacoli di puro eroismo ma di grande dolore. Ho visto cadere, quando più cruento era il combattimento, tanti miei colleghi ufficiali , che come me erano cresciuti nel clima ardente dell’entusiasmo e della fede e con me erano partiti gloriosi del loro piumetto di una indomita passione bersaglieresca, e come tanti colleghi nello stesso modo, vicino a me tanti miei bersaglieri hanno irrorato col loro sangue purissimo questa maledetta terra che rimarrà nei secoli testimone del loro sacrificio……………….Tanta gente si lamenta dell’Italia ma vorrei prelevarli io quei signori e portarli un po in Russia a vedere cosa c’è di nuovo e di bello nel famoso paradiso di Stalin. Faccio presto a farvi una breve sintesi di questo inferno dei vivi, strade niente, case fatte di fango e sterco animale, dove dentro sentite e vedete gli odori e gli animaletti più strani. Gli abitanti luridi e pezzenti quanto mai, donne comprese. Solamente a Voroscivolgrad, che è una città grandissima però sempre ugualmente lurida ho visto qualche ragazzetta con labbra dipinte e capelli corti (moda 1925). Indubbiamente la civiltà qui in Russia è progredita unicamente nell’industria di guerra e nelle macchine agricole…………..Ora cado di nuovo nella politica che in una lettera ad una signora che si vuole informare del proprio stato di salute, c’entra come i cavoli a merenda. State pur sicura che alla mamma scrivo spesso poiché comprendo il suo stato d’animo nel non avere mie notizie. Se è stata tanti giorni senza avere posta il fatto è dovuto che io ero nella assoluta impossibilità di scrivere trovandomi in linea, possessore dei vestiti che indossavo più l’elmetto, la rivoltella e le bombe a mano. ……….. Ora lascio di scrivere, poiché credo di avervi fatto perdere già tanto tempo e poi si avvicina l‘ora della mensa che è sempre oltremodo gradita, tanto più che qui, fortunatamente, non si soffre di razionamenti, ma al contrario si mangia ottimamente. Spero vi ricorderete ogni tanto di me con qualche scritto che mi giungerà sempre graditissimo, insieme a voi unisco i miei più affettuosi saluti a Carla e Baby che anch’io ricordo tanto caramente. Augusto:”

Malgrado si sia lontani da Modena migliaia di chilometri, è sempre forte, per tutti i modenesi, il desiderio di rivedere la Ghirlandina, o di sentire qualcuno che ti parla in dialetto. Il bersagliere Augusto nel suo peregrinare tra 18°, 20° e 25° battaglione del Terzo Reggimento, non aveva commilitoni della nostra città. Così raccontava in un suo scritto l’incontro con un concittadino:

8 Settembre 1942 - Carissima mamma, mi sono appena alzato – fa ancora fresco, ma un bel sole non tarderà a scaldarci……………….Ieri sera è venuto all’accampamento l’auto sonoro e ci ha fatto sentire le ultime novità di canzoni italiane. I bersaglieri erano tutti contenti a sentire quella musica che li avvicinava un pò alla Patria lontana, e uno di loro mi ha detto: eh Sig. Tenente, bei tempi quando si andava a ballare e la Russia non si sapeva nemmeno cosa fosse! E’ proprio cosi. Sai che è da Maggio che non parlo in dialetto modenese con qualcuno di Modena – ah nò. In Luglio durante la famosa avanzata incontrai una camicia nera che urlava a un suo amico in perfetto modenese. L’ho chiamato e mi ha detto che abita in Via Voltone, mi ha riconosciuto per un frequentatore del G.U.F. quando si ballava e lui suonava in quell’orchestrina. L’unico contatto in tre mesi. Ci sono altri emiliani al Reggimento, pochi in verità e tutti romagnoli venuti dal 6° Bersaglieri…………………..Tanti bacioni. Augusto.”

Autocaricatura del sottotenente del 3° Regg. Bersaglieri Augusto Zucchini
 


Il terzo Reggimento Bersaglieri, dopo l’avanzata del periodo estivo, era andato a schierarsi sul fronte del Don nella zona di Migulinskaja, mentre il sesto Reggimento si trovava più a sud, in un ansa che il fiume faceva con un suo affluente, il Tichaja. A Nord del Terzo, sempre sulla linea del Don era schierata la Legione Croata e la Divisione Torino. Vi era sempre la speranza, da parte dei soldati, di poter avere una licenza per trascorrere a casa un breve periodo. A fine Settembre, il bersagliere, cosi scriveva:

“26 Settembre – Carissima mamma, da qualche giorno hanno aperto le licenze per esami per chiunque debba sostenere qualcuno di questi sia all’Università che in qualsiasi scuola. Dato che l’Accademia non ci fa più sostenere gli esami se non a fine guerra, io vorrei dare l’esame di maturità al Liceo Scientifico, naturalmente per venire a casa un mesetto…………………… Ti voglio dire una cosetta che ti farà piacere: sono stato proposto per la medaglia di bronzo al valor militare per una delle azioni scorse. Non so quale risultato avrà e se riuscirò ad averla. In ogni modo è stata una grande soddisfazione per me veder premiato questo ciclo operativo dopo tutto quello che si è fatto. Ho avuto ieri la comunicazione dal Comando con una motivazione che se te la scrivessi ti metteresti sicuramente a piangere come un vitellino!………….. Tanti bacioni . Augusto.”

La calda estate del 1942 stava esaurendosi sia a Modena sia in Russia. Nella nostra città si viveva ancora, abbastanza tranquilli, anche se in molte case si cominciava a piangere per la sorte di un familiare morto, in Africa Settentrionale, nei Balcani o nelle steppe sovietiche. Mia madre venne particolarmente colpita, l’anno precedente, dalla notizia della morte del figlio di una sua cara amica che abitava in Via della Cerca e che scomparve nel Mar Mediterraneo nell’affondamento dell’Incrociatore Zara dove era imbarcato.
Le sorti della guerra si stavano via via modificando, dopo i grandi successi delle truppe dell’Asse, in Luglio iniziò la controffensiva inglese in Libia; in Russia italiani e tedeschi, schierati sul Don, si apprestavano ad affrontare quello che fu il tremendo inverno sovietico del 42-43. Ci si avvicinava così al grande inverno russo e alla tragedia degli italiani sul fronte del Don. A Modena la mia famiglia si era trasferita, con l’aiuto degli stipendi del bersagliere, in un’abitazione più dignitosa, ma pur sempre modesta, in un fabbricato all’angolo tra il nuovo cavalcavia della Sacca e la ferrovia, Via Mazzoni, che era pur sempre un prolungamento di Corso Vittorio Emanuele, perciò rimanevo sempre nella zona dove mi ero creato un buon gruppo di amici con i quali continuavo a trovarmi ed a giocare con loro. L’appartamento era di mio zio, Ruggero Della Casa, che era riuscito ad ottenere un portierato in uno dei palazzi di Viale Crispi, poi colpiti dai bombardamenti. Ci trasferimmo, in seguito alle sollecitazioni del bersagliere che, in continuazione, nella sua corrispondenza con i genitori, li stimolava a cambiare casa.

“3 Novembre 42 – Carissimo papà, siamo fermi in un paesetto per una tappa di un giorno: anche queste marce di trasferimento stancano parecchio dato che bisogna andare piano perché si è in colonne lunghissime di camion e non è troppo bello star seduti ore ed ore fra odori di benzina, nafta, polvere e tante altre cosette. Domattina presto riprendiamo la marcia per un altro lunghissimo percorso. Saliamo sempre verso il Nord, finirà che ci troveremo a Mosca senza accorgersene. Comunque tanto lontani non ci siamo. Il tempo si ostina a rimanere bellissimo, non fa freddo affatto mentre l’anno scorso a questo tempo erano già con neve, ghiaccio e furibonde tormente a parecchi gradi sottozero.
Sono già le 11 e bisogna andare. Oggi si mangia a secco dato che non è possibile fare il rancio: gallette e scatoletta di carne, marmellata e formaggio. Appena arrivato spero di trovare posta tua così potrò subito risponderti. Non ho altro da raccontarti. Mi raccomando fai studiare Bruno e in ogni modo avvisami di come si comporta a scuola. Ora deve frequentare la quinta classe e il prossimo anno dovrà iniziare la Scuola Media. Tanti cari bacioni. Augusto.”

Il 3° Reggimento Bersaglieri, contrariamente a quelli che erano i compiti per i quali erano stati istruiti, in concreto, per un impiego eminentemente offensivo in una guerra manovrata, andò a sistemarsi, per la sosta invernale, lunga la sponda destra del Don. Alle spalle le località di Mrychin e Meschtcherjakoff e di fronte, sulla sponda sinistra del Don, la 197° Divisione di Fanteria russa.

“28 Novembre 1942 – Carissimo papà, ho appena finito di scrivere i miei conti e subito passo a te. Parlo di conti poiché ora oltre al bersagliere, ufficiale, combattente faccio pure il vivandiere del Battaglione…. Da qualche tempo mi stò digerendo giornalmente qualche centinaio di Km. – oggi ho portato con mè il cane – non sai che ho un cane? Si chiama Stalin e gli piace il cognac - …… A proposito tra un mese è Natale -mi ricordo quando facevo il presepio per mè poi per Bruno – ora credo sia capace da solo………Il freddo si sente già parecchio ma relativamente dato che abbiamo parecchia roba da metterci addosso. Io finora vado piano a vestirmi poiché quando a Dicembre e Gennaio ci saranno 45° cosa mi metterò?………Tanti bacioni. Augusto.”

     

Cartolina di auguri natalizi disegnata dal

bersagliere Zucchini Augusto inviata alla famiglia



La corrispondenza da e per l’Italia è ancora regolare per i primi dieci giorni di Dicembre. Ma si stanno preparando i giorni dell’inferno. L’ultima lettera arrivata a casa, del Bersagliere Augusto, è datata:

“12 Dicembre 1942 – Carissima mamma, ho avuto oggi la tua lettera del 28 Novembre e il secondo pacco spedito. Il passamontagna è meraviglioso. ……. Natale si avvicina – già si vedono arrivare casse di liquori, spumante, panettone Motta per noi che stiamo e che staremo per quella solennità in prima linea. Novità: fa freddo come al solito. Oggi forse finisco di farmi le fotografie e spedisco il pacco. Anzi vorrei uscire subito poiché è uscito un po’ di sole. Ora abbiamo delle bellissime tute bianche con cappuccio per nasconderci sulla neve. Gli elmetti sono bianchi……..Tutti i miei amici, le varie fanciulle, i parenti mi chiedono se è vero che per Natale verrò in licenza. Illusi!….. Hai avuto i quattrini? Fai scrivere un po’ anche al signor Brunello. Bacioni tanti. Augusto.”


Ultima fotografia inviata dal fronte dal sottotenente Augusto Zucchini


Da allora il gelo dell’inverno russo calò anche in casa mia. Le notizie che si ascoltavano alla radio e che si potevano leggere sui giornali, erano sconfortanti. I Russi avevano sfondato il fronte. La speranza era che il reparto di mio fratello fosse potuto sfuggire all’accerchiamento dei sovietici.
Si seguiva sulla carta geografica il ripiegamento delle forze italiane, ma l’accerchiamento delle Divisioni, compresa la Celere, non dava nessuna speranza di poter avere notizie dirette dal bersagliere. Passarono così i mesi, tremendi per i genitori che erano abituati, quasi ogni giorno, prima della metà di Dicembre, a ricevere le sue lettere; ad un tratto, la brusca interruzione della corrispondenza.
Ma a fine Settembre dell’anno 1943, arriva a casa nostra una cartolina della Croce Rossa Internazionale, scritta dal campo di concentramento di Tambow a metà Gennaio, dove il bersagliere dichiara di star bene: è stata questa una delle rarissime cartoline arrivate in Italia dai campi di concentramento sovietici che sollevò, al momento, le disperate condizioni dello stato d’animo dei miei genitori. Per anni sono stati convinti che il figlio fosse ancora in vita e chissà per quali ragioni non riusciva, anche a guerra finita, a rientrare, assieme a quelle poche migliaia di reduci che gradualmente fecero ritorno in Patria.
Ma il bersagliere era deceduto dopo pochi giorni dalla spedizione di quella cartolina, conservata gelosamente dalla mamma, e ancora in mio possesso: l’amico di Gorizia di cui fa cenno nello scritto (la sua famiglia venne informata subitamente) non riuscì a far pervenire in Italia suoi scritti, ma ebbe la fortuna di sopravivere, ritornò dalla prigionia e naturalmente contattato, non seppe dare ragguagli precisi sulla fine di mio fratello, in quanto, a un certo momento del mese di Gennaio, vennero divisi.
Cartolina della Croce Rossa Internazionale dal Campo di concentramento n. 188 di Tambow

“Carissimi, Vi scrivo da un campo di concentramento. Potrò scrivere credo una volta al mese. Voi potrete scrivermi quando vorrete però aspettate il mio indirizzo definitivo che non è questo. La vita è calma e tranquilla e siamo tutti ufficiali insieme. Avvertite la Sig.ra Rita Pontieri abitante a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) che il figlio Salvatore è con mè ha scritto e stà bene. Spero vi siate stabiliti nella nuova abitazione. Io stò bene come spero sempre di voi. State calmi e tranquilli e speriamo tutto possa andare per il meglio. Tanti tanti bacioni. Augusto.”
 

 

La cartolina inviata dal Sott. Tenente Augusto Zucchini da campo di concentramento di Tambow n. 188


Purtroppo questo messaggio, che diede tante speranze e creò tante illusioni, fù la causa per tener aperta quella ferita ancora per tanti anni. I vari contatti avuti con i suoi colleghi e camerati che riuscirono a rientrare in Italia, non diedero mai certezze definitive della morte del bersagliere; visite nelle varie località italiane fatte da mio padre, una fittissima corrispondenza attraverso ricerche lunghissime per avere gli indirizzi dei fortunati, che hanno sempre risposto alle accorate lettere dei genitori con sensibilità e correttezza, non hanno mai portato a conclusioni certe. Si seppe, sì che era rimasto leggermente ferito nei giorni dello sfondamento del fronte e che venne anche curato da un medico militare italiano nel campo di concentramento, ma non destava preoccupazione la leggera ferita.
In realtà, probabilmente con l’insorgere di complicazioni, la dissenteria, il tifo, il grande freddo, la scarsezza del cibo, l’impossibilità di cure adeguate, il fisico, seppure gagliardo del bersagliere, non resse.
Negli anni ’50, in pieno clima di guerra fredda, scoppiò e venne portata avanti per molti anni, la polemica sull’esistenza di prigionieri italiani in Russia. I giornali riportavano elenchi di soldati che ancora nel 1955 avrebbero dovuto trovarsi nei campi di concentramento sovietici.
I giornalisti modenesi, in svariate occasioni, si precipitarono a casa mia avendo trovato il nominativo di mio fratello in quegli elenchi, intervistando e riaprendo in continuazione la ferita ai miei genitori, facendo titoli a più colonne sui giornali locali con fotografie e commenti.
E questo avvenne, tutti gli anni dal 1950 al 1956. Il nominativo di mio fratello, praticamente sulla base di quella cartolina giunta in Italia nel 1943, dava la prova della sua esistenza in vita a quell’epoca, questi elenchi furono inviati, dalle autorità competenti, quale la delegazione italiana presso la commissione speciale dell’Onu per i prigionieri di guerra, per fare le opportune ricerche all’Ambasciata d’Italia a Mosca, alla Commissione Speciale dell’Onu e all’Ambasciata Sovietica a Roma.
I titoli dei giornali riportavano: “Un ufficiale modenese catturato sul Don tuttora prigioniero dei Russi” e così nel 1952, nel 1953, nel 1954 sino al 1956, dodici anni dopo la sua cattura. C’era chi ne faceva speculazione politica, ma la classe politica italiana di quei tempi, sia di Governo, sia di quella parte, molto ma molto vicina alle gerarchie sovietiche, mai si è interessata a fondo del drammatico problema.

 

 

 Articoli  pubblicati sui giornali locali, ma anche su quelli nazionali, che parlavano dell'esistenza in Russia del sottotenente Augusto Zucchini e di altri modenesi  ( Giornale del 15 Marzo 1956)


Le visite in Russia degli esponenti italiani raramente si sono motivate per conoscere la verità sulla fine dei connazionali rimasti in quelle terre. Le autorità sovietiche hanno dichiarato per anni ed anni, di non essere assolutamente a conoscenza di tale problema, e che non esistevano archivi con elenchi dei prigionieri italiani.
A cinquanta anni di distanza, nel 1993, dopo la caduta del comunismo sovietico, improvvisamente si aprono quegli archivi, e si scopre che tutti i prigionieri italiani nei vari campi erano schedati e catalogati. Nei corridoi e nelle cantine della famigerata Lubianka e del KGB, a Mosca, è stata trovata la conferma ufficiale dell’esistenza di quegli archivi che si pensava ci fossero e che al contrario lo stesso governo comunista negava. I servizi segreti sovietici hanno tenuto una contabilità e una documentazione precisa di quello che è accaduto dopo la tragica fine della Campagna di Russia. Dei morti, dei prigionieri, dei dispersi il Nkvd, il servizio segreto dell’epoca di Stalin, sapeva tutto e aveva annotato ogni cosa. Perchè mezzo secolo di menzogne? Nessuna pietà per tutti i familiari di quelle migliaia e migliaia di nostri connazionali che ebbero la sfortuna di andare a combattere in quel lontano territorio e di essere stati poi internati nei campi di concentramento sovietici, dove sono morti a decine di migliaia.

Ministero della Difesa
Roma 8 Marzo 1993
Alla Famiglia del S.Ten. Zucchini Augusto
In seguito ai mutamenti politici avvenuti nell’Europa dell’Est, è stato concluso, nel 1991 un accordo intergovernativo che ha dato la possibilità a questo Ministero della Difesa di consultare gli Archivi Segreti di Stato a Mosca ove è custodita la documentazione dei Militari italiani, catturati prigionieri, deceduti nei territori dell’ex URSS nel corso della 2° Guerra Mondiale e considerati sino ad oggi Dispersi.
Dagli esiti delle ricerche effettuate in detti Archivi dal Commissariato Generale Onoranze ai Caduti (ONORCADUTI) e dai controlli e riscontri effettuati nella documentazione custodita da questo D.G. è emerso che il Vostro congiunto, S.Ten. ZUCCHINI Augusto, già dichiarato disperso, è stato catturato dalle FF.AA. Russe, internato nell’Ospedale n. 4041 NOVA LIADA Reg. Tambow, ove risulta deceduto il 03.02.1943.
La speranza di poter recuperare e rimpatriare i “Resti Mortali” presenta difficoltà difficilmente superabili in quanto i Sovietici hanno sepolto i nostri Caduti in fosse comuni unitamente a quelli di altre nazionalità rendendo così impossibile l’identificazione.
E’ comunque intenzione del suddetto Commissariato Generale, una volta localizzate con precisione le località di sepoltura, erigervi sopra dei cippi commemorativi a perenne ricordo del sacrificio dei nostri caduti.
Nell’esprimere la più viva espressione di partecipazione al dolore da parte del Sig. Ministro della Difesa, si informa che sarà interessata la competente commissione Interministeriale per l’eventuale formazione dell’atto di morte del S. Ten. Zucchini Augusto.
Il Direttore della Divisione f.f. (Ten. Col. Adamo De Santo)


All’inizio degli anni 80, il comunismo non era ancora crollato, il giornale “Il Resto del Carlino” pubblicò, il giorno 23 Settembre 1983, la notizia che il Console Italiano a Mosca si sarebbe recato a portare una corona di fiori sul luogo del campo di concentramento di Tambow.
Letta la notizia andai a colloquio dal Prefetto di Modena per cercare di avere la possibilità di recarmi, a mie spese, assieme alla delegazione italiana, sul luogo della morte di mio fratello, presentando, all’autorità costituita, le credenziali che attestavano, con certezza, la presenza in quel campo, del bersagliere.
Attraverso mille distinguo e con le formule burocratiche del potere, insensibile agli aspetti umani più naturali, non mi fu concessa quell’opportunità: uscii dall’ufficio indignato e sempre più arrabbiato nei confronti di uno Stato che negava, ad un suo cittadino, uno dei suoi più elementari diritti. A dimostrazione di come siamo sempre stati trattati, nonostante le promesse di tutti i politici se non, semplicemente, dei sudditi.



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