Raccolta di giurisprudenza sulla funzione e posizione delle scuole legalmente riconosciute e sulla posizione dei loro frequentanti
(Agg. 10.04.1998)
Sulla funzione pubblica delle scuole legalmente riconosciute.
Sulla natura concessoria del riconoscimento legale delle scuole private.
Sulla posizione delle scuole materne private e sui benefici per gli alunni di dette scuole.
Sulla posizione paritaria degli alunni di scuole pubbliche e di scuole private.
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Sulla funzione pubblica delle scuole legalmente riconosciute.
Sez. Un. –Sent.. n. 3359 del 18 marzo 1992 - Pres. Brancaccio A. – Rel. Amirante F. - PM. Caristo M . (Conf.) - Ric. Pisu - Res. Istit. Profes. Odontotecnici, Chimici, Biologi "Carlo Federico Gauss 2"
Istruzione e scuole - Scuole non statali: parità - Istituto scolastico legalmente riconosciuto ai sensi della legge n. 86 del 1942 - Allievo - Espulsione - Provvedimento - Controversia concernente la sua legittimità - Giudice amministrativo - Giurisdizione - Devoluzione.
Giurisdizione civile - Giurisdizione ordinaria e amministrativa - In genere - Istituto scolastico legalmente riconosciuto ai sensi della legge n. 86 del 1942 - Allievo - Espulsione - Provvedimento - Controversia concernente la sua legittimità - Giudice amministrativo - Giurisdizione - Devoluzione.
La controversia concernente la legittimità del provvedimento di espulsione di un allievo di un istituto scolastico legalmente riconosciuto ai sensi della legge 19 gennaio 1942 n. 86 rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, anziché del giudice ordinario, atteso che gli istituti d'istruzione riconosciuti ai sensi della legge predetta, pur rimanendo privati, si configurano (al pari dei concessionari della costruzione di opere pubbliche) come organi indiretti della pubblica amministrazione e - in relazione all'attività oggettivamente pubblica che in virtù dell'atto di concessione (costituito dal riconoscimento) sono abilitati a svolgere ed ai fini del regolare svolgimento di tale attività - sono investiti di un potere disciplinare (nei confronti degli alunni) analogo a quello spettante agli istituti d'istruzione pubblici, a fronte del cui esercizio non sono configurabili posizioni di diritto soggettivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. al Pretore di Tempio Pausania, Antonio Pisu, allievo dell'istituto professionale per odontotecnici e chimici biologi "Carlo Federico Gauss 2", con sede nella suindicata città, impugnava il provvedimento di espulsione, che gli era stato comunicato con due telegrammi, provenienti da Asti, a firma del preside e della direzione dell'istituto.
Il Pretore, in accoglimento del ricorso, ordinava all'istituto di riammettere il Pisu a frequentare le lezioni. Quest'ultimo proponeva quindi il giudizio di merito davanti allo stesso Pretore e questi, accogliendo l'eccezione preliminare, sollevata dal convenuto sul rilievo della propria qualità di istituto scolastico legalmente riconosciuto ai sensi degli artt. 6 e 7 della l. 19 gennaio 1942 n. 86, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, con sentenza depositata il 5 settembre 1989, e che non risulta notificata.
Con ricorso dell'ottobre 1989, Antonio Pisu ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione; l'istituto suindicato non si è costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è ammissibile.
È, infatti, principio costantemente affermato da questa Corte che il provvedimento ex art. 700 c.p.c. non costituisce decisione di merito preclusiva del regolamento ai sensi dell'art. 41 c.p.c.;
regolamento che è stato ritualmente proposto in pendenza del termine per l'appello, mediante notifica al procuratore della controparte, costituito nel giudizio di merito.
Se il ricorso è ammissibile, non è però fondata la tesi con esso sostenuta, secondo la quale la controversia apparterrebbe al giudice ordinario e non a quello amministrativo.
Premesso che non è controverso che l'istituto "C.F. Gauss" ha ottenuto il riconoscimento legale ai sensi della citata l n. 86 del 1942, all'inquadramento ed alla soluzione della questione, pur se nuova nei termini specifici in cui si presenta all'esame della Corte, giova l'applicazione di principi da essa già affermati.
Anzitutto, si rileva che non è decisiva la qualità di ente privato dell'istituto d'istruzione, anche se legalmente riconosciuto; qualità non controversa e ripetutamente affermata da questa Corte (v., tra le altre. S.U. 6 maggio 1963 n. 1105; S.U. 29 aprile 1977 n. 1661; S.U. 22 ottobre 1984 n. 5364).
È stato, infatti, ritenuto che l'atto di riconoscimento ottenuto da enti privati che svolgono attività d'istruzione, ai sensi degli artt. 6 e 7 della citata l. del 1942, costituisce una concessione e comporta la validità ad ogni effetto degli studi seguiti e degli esami sostenuti, con esclusione di quelli di maturità e di abilitazione.(v. le già citate sentenze n. 1661 del 1977 e n. 5364 del 1984, nonché Cons. Stato sez. VI 6 marzo 1973 n. 88).
Il problema che si pone consiste allora nello stabilire se un soggetto privato, e che resta tale anche se titolare di un rapporto di concessione, possa porre in essere attività oggettivamente amministrativa, caratterizzata dall'esercizio di poteri anche discrezionali, cui corrispondono, in capo a soggetti qualificati, posizioni d'interesse legittimo.
Al quesito, nei suoi termini generali, è stata data soluzione positiva con la recente sentenza n. 12221 del 29 dicembre 1990, emessa in una causa in cui si controverteva sugli atti posti in essere da una concessionaria per la costruzione di un'opera pubblica.
Si è, con essa, rilevato che se per effetto della concessione il privato può esercitare un'attività che è propria della pubblica amministrazione, con gli stessi effetti che si avrebbero se fosse svolta da quest'ultima, tale attività resta oggettivamente pubblica, costituendo esercizio da parte di un privato di pubbliche funzioni; privato che va considerato come organo indiretto della pubblica amministrazione.
Per quanto concerne gli istituti d'istruzione riconosciuti, non v'è dubbio che la parificazione ai fini della validità degli studi e, soprattutto, degli esami comporti l'attribuzione ad essi, sia pure nei limiti suindicati, di poteri analoghi a quelli esercitati dalla pubblica amministrazione nella stessa materia.
Ciò non significa, è stato già detto ma conviene ribadirlo, che l'istituto d'istruzione si trasformi in ente pubblico. Esso resta privato per quanto concerne l'organizzazione della sua impresa ed i rapporti che non riguardano direttamente l'esercizio dell'attività pubblica di cui è investito. Da qui il carattere privato dei rapporti di lavoro dei dipendenti, costantemente affermato da questa Corte.
Ma, nel caso in esame, oggetto della controversia è l'esercizio del potere disciplinare nei confronti degli alunni, di cui il ricorrente contesta la legittimità.
Ritiene il Collegio che tale potere, come quello esercitato dai competenti organi nei confronti degli allievi delle scuole statali, sia previsto in funzione del regolare svolgimento delle lezioni, dell'utilità degli studi e, quindi, in ultima analisi del rilascio del titolo, equiparato, ad eccezione di quelli di maturità ed abilitazione, a quelli rilasciati dalle scuole pubbliche.
Con altre parole, la disciplina attiene a quell'attività oggettivamente pubblica, che, in virtù dell'atto di concessione, l'istituto privato "C.F. Gauss 2" è abilitato a svolgere.
E poiché in correlazione a tale attività non sono configurabili posizioni di diritto soggettivo, essendo esso regolato da norme di azione dirette a tutelare in via immediata interessi pubblici, la conseguenza è che la controversia rientra nella giurisdizione amministrativa. Nè a tale conclusione, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, può ostare il fatto che il provvedimento gli sia stato comunicato a mezzo di telegramma non collazionato e proveniente da un luogo diverso da quello in cui ha sede l'istituto.
Tali circostanze, infatti, non attengono all'esistenza, in linea astratta, del potere, bensì al corretto esercizio di esso, e spetterà al giudice del merito accertarle e valutarle.
Non si deve provvedere sulle spese, dal momento che il suindicato istituto non si è costituito in questa sede.
P.Q.M.
la Corte, a sezioni unite, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo.
Così deciso il 18 ottobre 1991.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 18 MAR. 1992
T.A.R. PER LA LOMBARDIA; sezione III; sentenza 17-02-1987 123/1987- Pres. Sinagra, Est. Metro; Vacchiano (Avv. Falcone) — Scuola media Celso di Milano (Avv. Nardini, Beretta), Min. pubblica istruzione (Avv. dello Stato Vanadia).
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso contro la deliberazione con cui una scuola media nega ad un alunno il passaggio alla classe successiva, anche se essa sia una scuola privata legalmente riconosciuta.
l. 19-01-1942 86/1942, disposizioni sulle scuole non regie e sugli esami di Stato di maturità e di abilitazione, art. 6, 7, 14
Diritto. — Occorre, innanzitutto, individuare la esatta natura giuridica dell'intimata scuola media "S. Celso" e stabilire, in particolare, se essa — istituto privato — per effetto dell'intervenuto legale riconoscimento, alla medesima attribuita ai sensi dell'art. 6 l. 19 gennaio 1942 n. 86, abbia assunto connotazioni pubblicistiche tali da farla ricadere nella giurisdizione del giudice amministrativo.
Al riguardo, si rileva che la l. 19 gennaio 1942 n. 86, dopo aver previsto, all'art. 6, i requisiti necessari perché una scuola privata autorizzata possa essere legalmente riconosciuta, requisiti che, concernendo ed indagando l'efficienza e la serietà dell'organizzazione predisposta per impartire l'insegnamento, non sono elementi rilevanti ex se per la considerazione pubblicistica o privatistica della scuola stessa, precisa, al successivo art. 7, che tale intervenuto riconoscimento legale comporta "limitatamente ai soli alunni interni . . . la piena validità, a tutti gli effetti, degli studi compiuti, degli esami sostenuti presso la scuola . . . che abbia ottenuto il detto beneficio, fatta eccezione per l'esame di maturità e di abilitazione, per il quale valgono le norme dell'art. 14".
Infatti, l'atto con il quale si dichiara che un allievo è stato promosso da una classe ad un'altra, sebbene scaturente da un giudizio di discrezionalità tecnica e sebbene, perciò, vincolato allo stesso giudizio, è pur sempre un atto amministrativo di natura provvedimentale, in mancanza del quale la modificazione nel mondo giuridico (la promozione, nella specie) non si produce; lo stesso discorso vale per ogni altro atto assunto dalla scuola privata legalmente riconosciuta, a partire dal momento dell'accettazione dell'iscrizione fino a quello dell'emanazione del giudizio di ammissione all'esame di maturità, restando preclusi alla scuola soltanto i provvedimenti inerenti a tale ultima specifica attività.
Pertanto, relativamente ai provvedimenti indicati o, comunque, deducibili dal disposto di cui all'art. 7 l. n. 86 del 1942, vi è una sorta di passaggio di attribuzione dall'ente pubblico, in generale, attributario della relativa potestà (il ministero della pubblica istruzione) alle singole scuole legalmente riconosciute e, fintanto che dura tale loro specifica qualità giuridica, per cui gli atti emanati dalle stesse e relativi allo svolgimento della carriera di studio degli allievi, hanno la stessa forza, e cioè gli stessi effetti, dei paralleli atti amministrativi emanati dalle scuole pubbliche, essendo anche essi, al pari di questi, né più né meno che atti amministrativi di natura provvedimentale, idonei ad innovare nella realtà giuridica, alla stessa stregua e nella stessa misura dei provvedimenti posti in essere dal ministero della pubblica istruzione.
Certamente, questo esercizio di potestà pubbliche (il rilascio di titoli di studio aventi valore legale è una funzione dello Stato) è idoneo a determinare, in capo alla scuola privata che abbia ottenuto il legale riconoscimento, la qualità di concessionaria pubblica e il legale riconoscimento stesso si atteggia, appunto, come concessione di diritto pubblico, anche se occorre precisare che la concessione stessa non è una concessione di servizi e, in particolare, non riguarda l'insegnamento — che è libero ed esercitabile da chiunque senza bisogno di alcun atto concessivo — ma si riferisce esclusivamente al trasferimento della potestà pubblica di emanare atti (con esclusione di quelli attinenti ai giudizi di non maturità) con pieno valore legale in tutto il territorio dello Stato.
Del resto nel senso della esistenza di una concessione è la giurisprudenza amministrativa fin qui resa dal Consiglio di Stato (cfr. sez. VI n. 88 del 6 marzo 1973, Foro it., Rep. 1973, voce Istruzione pubblica, n. 50 e n. 285 del 19 giugno 1973, ibid., n. 49).
In capo all'istituto scolastico legalmente riconosciuto viene, perciò, a cumularsi una doppia qualità giuridica: una di persona giuridica privata, allorquando agisce nell'ambito dell'attività organizzativa dei servizi che espleta, per la quale vi è giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (come potrebbe essere per esempio, una controversia sul pagamento della retta, ovvero una contestazione sulle modalità di un insegnamento, che concernono, in ogni caso, inadempimenti contrattuali, rilevanti inter partes), e una di ente concessionario pubblico, allorquando emana atti amministrativi con pieno valore legale, con i quali, cioè, si riconosce erga omnes che uno studio è stato compiuto o che un esame è stato superato, nei quali casi vi è, naturalmente, giurisdizione del giudice amministrativo.
Nel caso di specie, perciò, poiché si controverte sulla legittimità di un provvedimento amministrativo, con il quale la scuola "S. Celso" ha deliberato sulla non ammissione alla classe terza del ricorrente, è chiaro che la scuola stessa ha agito nella sua veste di concessionaria pubblica e, pertanto, sussiste la giurisdizione di questo giudice. (Omissis)
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 23-09-1991 - Pres. Metta, Est. G. Silvestri; Cerniglia (Avv. Cerniglia) — Provincia della Congregazione dei fratelli delle scuole cristiane (Avv. Muscio, Badanai).
Le scuole private legalmente riconosciute non hanno facoltà di respingere le domande di iscrizione a proprio insindacabile giudizio, ma hanno l'obbligo di ammettere ai corsi chi ne faccia richiesta se non ricorrono comprovate ragioni organizzative e il richiedente accetta lo specifico indirizzo culturale e ideologico dell'istituto. (1)
Cost., art. 33
l. 19-01-1942 86/1942, Disposizioni per le scuole non regie e gli esami di maturità e abilitazione, art. 6
Svolgimento del processo
. — Con ordinanza emessa il 29 agosto 1987 ai sensi dell'art. 700 c.p.c., il Pretore di Roma accoglieva la domanda proposta da Massimo Cerniglia e ordinava all'istituto Villa Flaminia di ammettere il giovane Settimio Cerniglia alla prima classe del corso della scuola media per l'anno scolastico 1987/88, rilevando che detto istituto, quale scuola legalmente riconosciuta ai sensi e per gli effetti della l. 19 gennaio 1942 n. 86, era concessionario di una pubblica funzione e, come tale, era tenuto ad accettare l'iscrizione.Con citazione notificata il 24 ottobre 1987, l'istituto Villa Flaminia conveniva dinanzi al Tribunale di Roma Massimo Cerniglia chiedendo che, previa revoca dell'ordinanza ex art. 700 c.p.c., venisse dichiarata infondata la domanda.
Il convenuto chiedeva la conferma del provvedimento di urgenza. Con sentenza del 12 luglio 1988, il tribunale revocava l'ordinanza 27 agosto 1987 e dichiarava il diritto dell'istituto Villa Flaminia a non iscrivere il giovane alla classe 1ª media, disponendo la compensazione integrale delle spese del giudizio.
Con citazione notificata il 12 luglio 1989, Massimo Cerniglia e Aurora De Angelis proponevano appello avverso la predetta sentenza chiedendo che, in riforma della stessa, fosse accolta la domanda rigettata dal giudice di primo grado.
Gli appellati si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell'impugnazione.
Precisate le conclusioni, la causa passava in decisione all'udienza collegiale del 22 maggio 1991.
Motivi della decisione. — Deve essere, anzitutto, disattesa l'eccezione di inammisibilità dell'appello per genericità dei motivi in quanto nell'atto di impugnazione risultano formulati specifici rilievi critici nei confronti della sentenza di primo grado e sono enunciate le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali ne è chiesta la riforma.
Con l'unico motivo di gravame gli appellanti hanno denunciato l'illegittimità della sentenza impugnata deducendo che la soluzione in essa accolta (quella, cioè, della piena e insindacabile libertà dell'istituto scolastico di rifiutare l'iscrizione) è in contrasto con la normativa che regola l'attività delle scuole legalmente riconosciute per le seguenti ragioni:
a) il riconoscimento di una scuola privata ha natura di concessione amministrativa e la rilevanza pubblica dell'attività di insegnamento fa sì che debba escludersi che il concessionario di un pubblico servizio abbia indiscriminata e assoluta facoltà di accogliere o meno le domande di iscrizione; b) il rifiuto di iscrizione al corso scolastico, del tutto privo di giustificato motivo, deve considerarsi illegittimo alla luce delle circolari ministeriali che impongono alle scuole private legalmente riconosciute obblighi analoghi a quelli che fanno carico alle scuole pubbliche; c) non era stata valutata la circostanza che la domanda di prescrizione era stata accettata senza riserve dall'istituto scolastico, che aveva anche trattenuto la somma di lire 260.000.
L'appello è fondato. Nella sentenza impugnata è stata riconosciuta alle scuole private "assoluta discrezionalità" nell'accettare o meno le domande di iscrizione in forza del principio di libertà garantito dall'art. 33 Cost. che, assicurando la facoltà di caratterizzare il proprio insegnamento in funzione di un determinato indirizzo ideologico o religioso, implica "il diritto di una scuola siffatta di salvaguardare, anche mediante la scelta (e l'eventuale esclusione) degli alunni, la propria identità e finalità peculiari in vista delle quali essa è stata istituita". Le linee argomentative della decisione di primo grado non possono essere condivise risultando scaturite da una non adeguata e non puntuale analisi ricostruttiva della trama normativa sottesa alla disciplina dettata dall'art. 33 Cost. e dei valori da essa tutelati.
È comunemente ritenuto che il 3° comma del citato art. 33 sancisce la libertà dell'insegnamento e la libertà della scuola: la prima costituisce espressione del più generale principio della libertà dell'arte e della scienza (art. 33, 1° comma) ed attiene ai contenuti dell'attività didattica e di trasmissione delle conoscenze culturali, artistiche, scientifiche; la seconda consiste nella facoltà riconosciuta ai privati di istituire e di gestire strutture organizzative all'interno delle quali viene impartito l'insegnamento e viene realizzata la formazione dei giovani.
La stretta ed essenziale correlazione esistente tra libertà dell'insegnamento e libertà della scuola non può far, tuttavia, trascurare che i rispettivi ambìti di tutela non sono coincidenti e che, in particolare, essendo la seconda strumentale alla prima (la scuola è, infatti, il luogo privilegiato di esplicazione dell'insegnamento), la garanzia dell'autonomia di istituzione e di gestione delle strutture scolastiche private, che si traduce nel principio del pluralismo scolastico, trova fondamento giustificativo nella libertà di insegnamento ed è operante in funzione dell'effettività di quest'ultima.
La giurisprudenza costituzionale e autorevole dottrina hanno posto in luce che la libertà di insegnamento afferisce principalmente ai contenuti dello stesso e si estrinseca nel divieto dei controlli pubblici sugli indirizzi culturali, ideologici, confessionali, anche se deve considerarsi compatibile con la norma costituzionale l'intervento statale di verifica di requisiti di idoneità attraverso la figura dell'esame di Stato nei suoi due aspetti di esame scolastico e di abilitazione professionale (Corte cost. 23 luglio 1974, n. 240, Foro it., 1975, I, 22).
Quanto alla libertà della scuola, deve individuarsi un filo conduttore unitario che orienta le posizioni della Corte costituzionale e della più accreditata dottrina, secondo cui è compito dell'interprete verificare le soluzioni normative in modo da contemperare e armonizzare il diritto delle persone fisiche e giuridiche private di istituire e di gestire istituti di istruzione con gli interessi generali della collettività (Corte cost. 14 aprile 1965, n. 24, id., 1965, I, 1134). Un simile indirizzo interpretativo è stato seguito dal giudice delle leggi già nella sentenza 14 aprile 1958, n. 36 (id., 1958, I, 841), con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 l. 19 gennaio 1942 n. 86, che subordinava l'autorizzazione all'apertura di istituti privati "ad un provvedimento di discrezionalità pressoché illimitata nell'an" finendo per compromettere gravemente il diritto di istituire scuole private riconosciuto dall'art. 33 Cost. Nella pronuncia, la corte ha precisato, tuttavia che, il riconoscimento del diritto di istituire scuole, compiuto da tale norma costituzionale, non preclude al legislatore ordinario di regolarne l'esercizio e non esclude la legittimità di norme che ne specifichino i limiti e le condizioni anche mediante controlli preventivi e successivi, al fine di realizzare l'equilibrio e l'armonizzazione tra il predetto diritto e gli interessi generali.
La stessa prospettiva interpretativa qualifica le recenti posizioni della Corte costituzionale secondo cui la libertà della scuola coesiste con l'interesse primario dello Stato in forza del quale risulta giustificato l'assetto normativo esplicantesi in una serie di interventi e di controlli statali che, per le scuole legalmente riconosciute ai sensi dell'art. 6 l. n. 86 del 1942, assumono una valenza ancor più penetrante e incisiva fino a concretarsi in ispezioni e in provvedimenti di revoca o di sospensione del riconoscimento legale (Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 180, id., 1989, I, 1406: in argomento e sulla stessa linea cfr. Cass. 17 maggio 1984, n. 3020, id., Rep. 1984, voce Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, n. 9).
I risultati esposti trovano saldo supporto non solo in una organica ricostruzione sistematica della disciplina, ma anche in precise enunciazioni contenute nell'art. 33 Cost. secondo cui la repubblica detta le regole generali sull'istruzione (2° comma) e la legge fissa i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità (4° comma).
Dai rilievi sin qui svolti appare chiara l'insufficiente consistenza argomentativa della sentenza impugnata, che dalla libertà sancita dall'art. 33 Cost. ha fatto derivare automaticamente l'assoluta e insindacabile discrezionalità dell'istituto privato di accettare o meno la domanda di iscrizione al corso scolastico, trascurando del tutto di esaminare se tale potere, risolventesi in vero e proprio arbitrio, sia realmente compatibile con i limiti e con le condizioni stabiliti alle scuole private dall'ordinamento vigente.
Ad avviso del collegio, la soluzione deve essere senz'altro negativa.
Anche a non volere aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il conferimento del c.d. riconoscimento legale ai sensi dell'art. 6 l. 19 gennaio 1942 n. 86 costituisce concessione amministrativa (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 29 settembre 1988, n. 1067, id., Rep. 1988, voce Istruzione pubblica, n. 68 e Tar Lombardia 17 febbraio 1977, n. 123, id., Rep. 1977, voce cit., n. 656) da cui derivano una serie di obblighi a carico delle scuole private, compreso l'obbligo di contrarre con chiunque presenti la richiesta di iscrizione, è indubbio che la libertà riconosciuta dalla norma costituzionale agli istituti non statali incontra una pluralità di limitazioni soprattutto sul piano organizzativo e gestionale, funzionalmente giustificate dall'esigenza di assicurare la tutela dell'interesse generale all'istruzione e degli interessi individuali protetti da concorrenti precetti costituzionali, dai quali possono farsi derivare i predetti limiti senza la necessità di dover ipotizzare l'esistenza di una concessione amministrativa, la cui configurazione è scarsamente compatibile con il principio di libertà ex art. 33 Cost. ed appare un residuo del regime di monopolio statale dell'istruzione e degli indirizzi ideologici sottesi alla disciplina posta dalla l. n. 86 del 1942.
Attraverso un'interpretazione sistematica, alimentata dai principî generali dell'ordinamento, occorre, dunque, enucleare il punto di equilibrio e di contemperamento tra la facoltà della scuola privata di selezionare gli alunni ammessi ai propri corsi di insegnamento e il diritto riconosciuto ad ogni soggetto di scegliere l'istituto scolastico ritenuto più idoneo a soddisfare determinate esigenze culturali, ideologiche, confessionali. privilegiare indiscriminatamente la libertà della scuola privata in tale specifico settore ed ammettere — come ha fatto il giudice di primo grado — che i gestori di istituti privati possano accogliere o respingere, a proprio insindacabile arbitrio, le domande di iscrizione significa, nella sostanza, dimenticare che, all'interno del vigente sistema costituzionale, il pluralismo scolastico e la libertà di insegnamento hanno anche, e principalmente, una peculiare valenza individuale, nel senso che la loro matrice e la loro ragion d'essere risultano in diretta correlazione con il diritto all'istruzione riconosciuto ai singoli di cui la facoltà di scegliere istituti scolastici non statali rappresenta una necessaria derivazione.
Alla luce di una simile analisi ricostruttiva dei principî dettati dalla Corte costituzionale e anche senza fare ricorso alla tradizionale figura della concessione amministrativa, va riconosciuto che il diritto individuale di scelta di una determinata scuola privata legalmente riconosciuta può essere sacrificato soltanto in presenza di obiettive ragioni organizzative, quale la mancanza di posti disponibili, o a causa del rifiuto degli aspiranti all'iscrizione di accettare lo specifico indirizzo culturale e ideologico che connota la struttura scolastica all'interno della quale essi richiedano di essere inseriti.
Non sono, invece, concettualmente ammissibili reiezioni delle istanze di iscrizione che abbiano come unico motivo giustificativo l'assoluta, immotivata e insindacabile facoltà di scelta riservata alla scuola, tanto più che una siffatta illimitata facoltà potrebbe tradursi in arbitrarie e inaccettabili discriminazioni.
Da tali rilievi deve trarsi l'ulteriore conseguenza che non ha alcuna rilevanza il richiamo fatto nella sentenza impugnata alle norme del regolamento dell'istituto Villa Flaminia secondo cui "la direzione si riserva il diritto di allontanare, a suo giudizio insindacabile e in qualsiasi periodo dell'anno scolastico, l'alunno la cui condotta è in evidente contrasto con i principî morali e disciplinari professati nell'istituto". Invero, se alla previsione regolamentare si attribuisce il valore di regola attributiva di assoluta libertà di selezione degli alunni, è inevitabile la conclusione che una simile disciplina collide con la normativa costituzionale ed è, quindi, radicalmente inficiata da nullità, mentre se è considerata espressiva della necessità della compatibilità della condotta degli alunni con i principî di fondo che ispirano l'orientamento didattco e formativo dell'istituto (tale appare la reale portata della clausola statutaria), essa è sì valida, ma resta del tutto inconferente nel caso di specie, atteso che la mancata accettazione della domanda di iscrizione presentata dal Cerniglia, non è stata giustificata con l'esistenza di una condotta "in evidente contrasto con i principî morali e disciplinari professati nell'istituto".
A conclusione di tutte le argomentazioni che precedono, deve affermarsi che, in assenza di un qualsiasi idoneo motivo giustificativo, è illecito il rifiuto immotivato opposto dall'istituto Villa Flaminia e, in riforma della sentenza impugnata, deve dichiararsi il diritto del giovane Cerniglia Settimio ad essere iscritto alla prima media per l'anno scolastico 1987-1988.
Non può trovare accoglimento la domanda di risarcimento dei danni in quanto gli appellati non hanno fornito alcun concreto e specifico elemento probatorio da cui possano ricavarsi l'esistenza e l'entità di un pregiudizio di ordine patrimoniale derivato dall'illegittima condotta dell'istituto.
Sulla natura concessoria del riconoscimento legale delle scuole private.
CONSIGLIO DI STATO – Sez. VI – Sent. n. 88 del 6 marzo 1973 — Pres. ARU - Est. De Lise — Istituto Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria ed altro (avv. Russo) c. Ministero pubblica istruzione (avv. St. Pierantozzi)
Pubblica istruzione - Scuole private - Riconoscimento legale - Concessione Intuitu personae - Trasferimento per convenzione privata - Impossibilità.
Autorizzazione e concessione - Concessione - Intuitu personae - Alienazione dei mezzi necessari per l'esercizio della concessione - Posizione dell'acquirente.
Il conferimento del c.d. riconoscimento legale a scuole private va configurato come concessione amministrativa attribuita intuitu personae, in quanto da un lato la natura dell'attività che forma oggetto della concessione postula necessariamente il preventivo esame della qualità soggettiva del richiedente e, dall'altro, sono richieste condizioni soggettive fra le quali particolare rilevanza riveste il possesso dei necessari requisiti professionali e morali; pertanto, detto riconoscimento non può essere trasferito per effetto di convenzioni private (). Le concessioni intuitu personae .sono, in linea di principio, intrasferibili qualora il trasferimento non sia espressamente previsto dalla legge; pertanto il fatto che il titolare della concessione abbia alienato i mezzi materiali attraverso i quali provvedeva all'esercizio della concessione stessa — e dei quali pertanto non abbia più la disponibilità — giustifica un provvedimento di revoca per difetto dei necessari presupposti oggettivi, mentre 1'acquirente dei predetti mezzi materiali può soltanto chiedere una nuova concessione che l'Amministrazione ha il potere discrezionale di rilasciare o no.
FATTO — Il ricorso è diretto contro il provvedimento 16 novembre 1971 col quale il Provveditore agli studi di Roma ha negato il passaggio di gestione relativo al Liceo ginnasio legalmente riconosciuto "Santa Chiara" con sede in Roma.
DIRITTO — 1) La questione di principio che con il ricorso è sottoposta all'esame della Sezione consiste nello stabilire se la vigente legislazione consenta il trasferimento delle scuole legalmente riconosciute da un soggetto ad un altro, in virtù di private pattuizioni la cui efficacia sia subordinata all'autorizzazione dell'autorità pubblica.
Al riguardo deve essere preliminarmente rilevato che il conferimento del c.d. riconoscimento legale va configurato come una concessione amministrativa, in quanto con esso viene attribuita alla scuola — e per essa, al soggetto che la gestisce—l'esercizio di una funzione (rilascio di titoli legali di studio) che è propria dello Stato.
Ciò posto, deve ritenersi che la concessione in questione sia attribuita intuitu personae in quanto, da un lato la natura dell'attività che forma oggetto della concessione postula necessariamente il preventivo esame delle qualità soggettive del richiedente e, d'altro can io, l'art. 2 della L. 19 gennaio 1942 n. 86 espressamente prescrive la sussistenza di determinate condizioni soggettive, fra le quali particolare rilevanza, ai fini in questione, riveste il possesso dei necessari requisiti professionali e morali.
Ora, è principio concordemente ricevuto quello che le concessioni attribuite in considerazione delle condizioni e delle qualità personali non sono suscettibili, in mancanza di espresse disposizioni che lo consentano, di essere trasferite per effetto di convenzioni private.
Con specifico riferimento al caso in esame va rilevato che nella citata legge n. 86 del 1942 — che contiene la disciplina delle scuole legalmente riconosciute — non è in alcun modo prevista la figura del trasferimento, né il trasferimento stesso può ritenersi ammesso in virtù della disposizione contenuta nell'art. 28 R.D. 6 giugno 1925 n. 1084, in quanto essa — come si evince dal Ssuo espresso tenore letterale — si riferisce fi1 via esclusiva agli istituti pareggiali, dai quali gli istituti legalmente riconosciuti, nel regime dettato dalla L. 19 gennaio 1942 n. 86, sono pienamente distinti nonostante talune uniformità di disciplina, come è dimostrato, fra l'altro, dall’esame delle norme relative al soggetto che li gestisce, alla struttura organica della scuola, ed alla possibilità di conversione in istituti governativi.
Deve, pertanto, ritenersi — in conformità a quanto affermato da una sia pur non recente giurisprudenza (Sez. V, 6 ottobre 1950 n. 994; Sez. VI, 17 gennaio 1950 n. 13, in Raccolta 1950, 712 e 848) — che nel vigente ordinamento non è ammesso, di massima, l'istituto del trasferimento delle scuole legalmente riconosciute.
In senso contrario non vorrebbe osservare che li negozio giuridico privato di trasferimento ha per oggetto unicamente i mezzi strumentali del servizio scolastico (locali, materiale didattico e scientifico), mentre l'effetto del trasferimento della concessione deriva unicamente dall'atto della pubblica autorità che vi consente.
Invero, da un lato, si è visto come le concessioni rilasciate intuitu personae sono, in linea di principio, intrasferibili, qualora il trasferimento non sia espressamente previsto dalla legge, e d'altro canto, si può giungere a ritenere che la circostanza che il titolare della concessione abbia alienato i mezzi materiali del servizio scolastico — dei quali, pertanto, non abbia più 1a disponibilità — possa giustificare un provvedimento di revoca della concessione per difetto dei necessari presupposti oggettivi, mentre l’acquirente dei predetti mezzi materiali può soltanto chiedere una nuova concessione che l'Amministrazione ha il potere discrezionali di rilasciare o non.
2) Risolto in senso negativo il problema relativo alla trasferibilità delle scuole legalmente riconosciute, potrebbe essere già affermata l'infondatezza del ricorso; deve tuttavia rilevarsi che il provvedimento impugnato ha basato la reiezione dell'istanza di autorizzazione al passaggio di gestione su diversi ordini di considerazione; il primo attiene al mancato funzionamento di talune classi nel precedente anno scolastico, mentre col secondo si rileva che il trasferimento avrebbe importato modificazioni sostanziali in ordine agli elementi strutturali della scuola.
In ordine a tale ultimo punto, deve osservarsi (con specifico riferimento al primo motivo ed alla seconda parte dei secondo motivo che, per la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente, che, quand'anche si volesse ammettere una limitata trasferibilità delle scuole in questione — per ragioni di economia dei mezzi giuridici in analogia con quanto previsto per gli istituti pareggiati dal citato art. 28 R.D. 1084 del 1925 e secondo quanto affermato nella circolare dell'ENIMS n. 93/9 del 28 Settembre 1942 (la cui legittimità, peraltro, non forma oggetto di esame in questa Sede) — dovrebbe pur sempre ritenessi che il trasferimento postula, come condizione imprescindibile il permanere dell'identico elemento oggettivo in relazione al quale il riconoscimento è stato attribuito ed importa il solo mutamento soggettivo del titolare del riconoscimento, come del resto è presupposto dal suindicato art. 28 R.D. n. 1084 del 1925, invocato dagli stessi ricorrenti.
Nella specie, il passaggio di gestione non è stato autorizzato in quanto esso avrebbe importato il venir meno degli elementi (sede, denominazione, genere degli alunni) avuti presenti dall'Amministrazione nel valutare la possibilità di concedere originariamente il riconoscimento legale.
Sotto tale profilo, il provvedimento impugnato è del tutto legittimo, in quanto — come è stato esattamente rilevato dalla difesa dell'Amministrazione — l'accoglimento della richiesta di passaggio di gestione, unitamente al trasferimento della sede, al mutamento della denominazione ed alla trasformazione di tutta la scuola da femminile in maschile, varrebbe a riconoscere al gestore un vero e proprio diritto di natura patrimoniale in ordine al riconoscimento legale, in chiaro contrasto con i principi che regolano la materia.
3) Si è innanzi rilevato che il provvedimento impugnato si fonda su un duplice ordine di motivi; tali motivi non sono interdipendenti, ma ciascuno è idoneo a sorreggere autonomamente il provvedimento stesso; pertanto, ritenuta la legittimità delle considerazioni relative al mutamento degli elementi oggettivi della scuola, è irrilevante indagare se anche l'altro motivo posto a base del provvedimento sia o meno legittimo e rimane, in conseguenza , assorbito l'esame della prima parte del secondo motivo del ricorso che a tale parte del provvedimento impugnato espressamente si riferisce.
4) Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
Sulla posizione delle scuole materne private e sui benefici per gli alunni di dette scuole.
CONSIGLIO DI STATO – Sez. VI- Sent. n. 304 del 19 marzo 1991—Pres. ANELLI, Est. BACCARINI—Comune di Paullo (avv.ti Mariotti e Romanelli) c. Scuola materna autonoma Maria Ausiliatrice. Ed altri (avuti Bassani e Boitani)
(Conferma T.A.R Milano, 11 Sez., 3 maggio 1988 n. 157).
Appello - Notificazione - Pluralità di parti appellate - Costituzione di tutte le parti - Vizio di notificazione - Sanatoria - Fattispecie.
Procedimento giurisdizionale - Udienza di trattazione - Decreto di fissazione - Notifica - Parti resistenti - Individuazione.
Pubblica istruzione - Regione Lombardia - Diritto allo studio - Benefici ex art. 5
L. reg. n. 31 del 1980 – Alunni scuole materne private - Applicabilità.
La costituzione
in giudizio, nei termini di legge, di tutte te parti appellate sana l'inesistenza giuridica della notificazione dell'appello non effettuata mediante la consegna di tante copie quante sono le parti contro cui esso viene proposto()La notifica del decreto di fissazione di udienza deve essere effettuata alle sole parti resistenti costituitesi in giudizio prima del termine dilatoria di quaranta giorni fissato per la predetta notifica, attribuendosi altrimenti, alla parte resistente, il potere di determinare con una costituzione tardiva il rinvio dell'udienza già fissato, ovvero di precostituirsi un facile motivo di impugnazione.
Ai sensi dell'art. 5 L. Reg. Lombardia 28 marzo 1980 n. 31, hanno diritto a fruire dei servizi previsti dalla stessa legge tutti gli alunni delle scuole materne sia pubbliche che private, trattandosi di interventi finalizzati al soddisfacimento del diritto allo studio dei singoli alunni.
DIRITTO—Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione con cui gli appellati hanno dedotto l'inammissibilità dell'appello per nullità della notificazione in unica copia della sentenza impugnata al procuratore costituito in primo grado.
L'eccezione è infondata.
Effettivamente risulta dagli atti che l'appello è stato proposto nei confronti di tutti i ricorrenti in primo grado, domiciliati presso urli unico procuratore, mediante consegna di una sola copia.
L'inosservanza della regola secondo cui l'impugnazione proposta contro più parti, anche se domiciliate presso un unico procuratore, deve essere notificata mediante la consegna di tante copie quante sono le parti contro cui essa viene proposta comporta un'incertezza assoluta circa l'identità della parte contro la quale l'impugnazione è diretta e determina quindi non la semplice nullità, che postula un errore nella consegna dell'atto al notificato, ma l'inesistenza giuridica della notificazione stessa, ed in tale situazione da un lato non può disporsi l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 Cod. proc. civ., in quanto non essendo possibile stabilire se la notificazione abbia avuto utili effetti verso l'uno piuttosto che l'altro dei destinatari, manca il presupposto stesso della valida instaurazione del rapporto processuale nei confronti di almeno una delle parti intimate, dall'altro l'eventuale costituzione di tutte costoro può determinare l'insorgere del rapporto processuale ma solo con efficacia ex: nunc, con la conseguenza che tale costituzione, ove avvenga successivamente alla scadenza del termine per impugnare, non vale a rimuovere l'effetto della decadenza già verificatasi ed a precludere l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. nn. 3490 del 1989, 2166 del 1988, 6674 del 1987, 5230 del 1987, 1907 del 1987,563 del 1987, 3697 del 1984 3595 del 1984, 579 del 1984,5980 del 1981, 411 del 1979,3441 del 1976).
Nella specie, la sentenza di primo grado era stata notificata al Comune al domicilio reale anziché a quello eletto presso il procuratore costituito in primo grado, in violazione degli artt. 285 e 170 primo comma Cod. proc. civ., con la conseguenza che la notificazione non aveva cominciato a far decorrere il termine breve per l'appello.
Inoltre, tutte le parti appellate si sono costituite in giudizio.
Ne consegue che, essendo intervenuta la costituzione di tutte le parti appella te quando il termine breve per l'appello non aveva cominciato a decorrere e quel lo lungo era ben lungi dall'essere scaduto, l'inesistenza giuridica ne era stata sa nata e il rapporto processuale si era tempestivamente costituito, restando esclusa l'inammissibilità dell'appello.
Con il primo motivo, il Comune appellante deduce la nullità della sentenza di primo grado per omessa comunicazione del decreto di fissazione d'udienza.
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell'art. 23 terzo comma della legge n. 1034 del 1971, il decreto di fissazione è notificato, a cura dell'ufficio di segreteria, almeno quaranta giorni prima dell'udienza fissata, sia al ricorrente che alle parti che si siano costituite in giudizio.
Dagli atti processuali risulta che il Comune intimato si costituì in giudizio soltanto il 24 febbraio 1988 e cioè alla vigilia dell'udienza di discussione dei ricorso.
Vero è che il termine fissato per la costituzione delle parti resistenti dall'art 22 legge n. 1034 cit. non è perentorio, ma è vero altresì che la costituzione in giudizio, perché sia fatto salvo il diritto alla notifica del decreto di fissazione d'udienza, deve intervenire prima del dies a quo del termine dilatorio di quaranta giorni fissato per la notificazione del decreto di fissazione d'udienza: in mancanza, essa ha luogo nello stato in cui si trova il processo.
Diversamente opinando, si attribuirebbe alla parte resistente il potere di determinare con una costituzione tardiva il rinvio dell'udienza già fissata, omero di precostituirsi un facile motivo di impugnazione, il che è contrario ad un principio di ragione.
Con il secondo motivo il Comune censura nel merito l'appellata sentenza per aver affermato il principio che i comuni lombardi sono vincolati alla necessaria parità di contributi per l'attuazione del decreto allo studio nei confronti degli alunni delle scuole statali e delle scuole private.
Il motivo non è fondato, nei sensi appresso indicati.
Non sembra alla Sezione, la quale non ignora i precedenti arresti, che l'affermato principio della necessaria parità di trattamento tra alunni delle scuole statali ed alunni delle scuole private ai fini dell'attuazione del diritto allo studio abbia fondamento costituzionale.
Non nel quarto comma dell'art. 33 Cost., che disciplina il tipo della c.d. scuola paritaria, ancora in attesa della relativa attuazione da parte del legislatore ordinario e, al suo interno, il trattamento scolastico dei suoi alunni e che è estraneo, quindi, alla materia, che ne occupa, dell'assistenza scolastica, attenendo invece all'istruzione.
Esso potrebbe essere invocato nel terzo comma dell'art. 33 in relazione al principio della libertà di scelta del tipo di scuola preferito e nel secondo e terzo comma dell'art. 34, nonché nel generale principio di eguaglianza di cui all'art. 3.
Senonché la Corte costituzionale, nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale su di una legge regionale che quel principio di parità in vario modo non osservava, con sentenza n. 36 del 1982 ha affermato che:
1) dalla garanzia costituzionale della libertà di scelta del tipo di scuola preferito come di altre libertà non può certo dedursi l'obbligo della Repubblica di assumersi gli oneri eventualmente necessari per esercitarla;
2) implicando la libertà di scelta del tipo di scuola preferito tra scuole statali (e scuole autorizzate a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato) e scuole private una opzione tra situazioni differenziate, difettano l'identità o l'omogeneità dei termini messi a raffronto indipendentemente dalle quali non è ipotizzabile la violazione dell'art. 3 Cost.
3) non è irragionevole desumere dalla libera scelta dell'interessato, implicante la corresponsione di tasse di frequenza o rate di un determinato ammontare per fruire di un servizio scolastico cui è possibile accedere anche gratuitamente, quella disponibilità di mezzi che legittima, sul piano costituzionale e nell'ambito dell'intervento regionale, l'esclusione delle provvidenze (nella specie, trasporto gratuito).
Né quel principio di necessaria parità sembra potersi desumere dall'art. 42 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, norma qualificatoria ed organizzativa, nella parte in cui indica negli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private i destinatari delle funzioni di assistenza scolastica trasferite (Cosi innovando all'art. 1 D.P.R. 14 gennaio 1972 n. 3 che li limitava agli alunni delle scuole ed istituti d'istruzione di ogni ordine e grado, statali o autorizzati a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato), disciplinandone i limiti più che il contenuto.
Non pare, quindi, che l'interpretazione della L. reg. Lombardia 20 marzo 1980 n. 31, recante: Diritto allo studio—Norme di attuazione, sia vincolata, sul punto della necessaria parità tra alunni di scuole statali e alunni di scuole private, a norme costituzionali o primarie.
La questione si incentra, principalmente, sull'art. 5 secondo comma L. reg. cit., relativo alle scuole materne, la cui formulazione pregnante è la seguente:
"Tutti gli alunni delle scuole materne pubbliche e private, a norma del successivo art. 10, fruiscono dei servizi previsti dalla presente legge".
Norma in ordine alla quale sono prospettabili rilievi di segno diverso, in quanto il "tutti" per un verso è indubbiamente rafforzativo del più generico "coloro che". di cui all'art. 10, relativo alla generalità di scuole ed istituti ed implica divieto di esclusione di taluni, ma per altro verso non significa necessariamente "tutti nella stessa misura".
La questione, tuttavia, è ininfluente nel caso di specie, in cui i ricorrenti in primo grado hanno dedotto anche la violazione della circolare regionale 18 giugno 1980 n. 188, emanata in relazione alla menzionata legge e da nessuno impugnata, che al punto 2.1. afferma: "Poiché gli interventi sono finalizzati al soddisfacimento del diritto allo studio da parte dei singoli alunni, l'ammissione ai benefici non è in funzione della natura della scuola frequentata dai medesimi, bensì dello stato di necessità dell'alunno, sia esso determinato da condizioni socio-economiche, sia psicofisiche, sia ambientali o logistiche".
Da questa proposizione effettivamente si evince che la differenziazione tra alunni di scuole statali e alunni di scuole private in quanto tali non era ammissibile e che perciò gli impugnati provvedimenti del Comune di Paullo erano illegittimi.
Per le suesposte considerazioni, l'appello va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
TAR LOMBARDIA - SEZ. II - 24 FEBBRAIO 1988, N. 34 - Pres. Di Giulio, Est. De Michele - Scuola Materna "Borgomanero" c. Comune di Gallarate.
Giustizia amministrativa - Atto impugnabile - Atto iniziale citi procedimento – Atto interruttivo - Impugnabilità immediata.
Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere - In genere - Configurabilità.
Giustizia amministrativa - Legittimazione - A ricorre - Dei genitori e del parroco - Avverso provvedimento di diniego di sovvenzioni ad istituto privato - Sussistenza.
Istruzione pubblica - In genere - Assistenza scolastica – L. rg. Lombardia n. 31 del 1980 - Provvidenze differenziate in base alla natura della scuola frequentata - Illegittimità.
Istruzione pubblica - In genere - Assistenza scolastica - L. rg. Lombardo n. 31 del 980 - Provvidenze a favore di scuole private - Condizioni.
Ha natura provvedimentale ed è immediatamente impugnabile la delibera con la quale Il Consiglio comunale nega l'approvazione alla bozza di convenzione che costituisce momento iniziale del provvedimento amministrativo finalizzato a concedere ex l. rg. 20 marzo 1980 n. 31 sovvenzioni pubbliche miranti ad incentivare la frequenza della scuola prima dell'età dell’obbligo.
L'interesse a ricorrere sussiste ogni qualvolta la rimozione di un atto o di un comportamento negativo renda possibile l'adozione di nuovi provvedimenti suscettibili di produrre un vantaggio per gl'interessati.
Sia i genitori esercenti la patria potestà sugli allievi quali beneficiari ultimi dalle sovvenzioni, sia il parroco, quale rappresentante giuridico dalla parrocchia e delle attività da quest'ultima esercitate, indipendentemente dal fatto che tali attività abbiano acquisito soggettività giuridica autonoma sono legittimati ad impugnare la delibera comunale di diniego di concessione di sovvenzioni pubbliche di un istituto scolastico privato gestito dalla parrocchia.
È illegittimo il provvedimento dell'ente locale che, in violazione dell'art. 5, l. rg. 20 marzo 1980 n. 31, rifiuta agli allievi delle scuole private le sovvenzioni previste dalla legge stessa o le accorda in modo discriminato.
Perché un istituto privato possa essere assegnatario dalle convenzioni di cui alla l. rg. 20 marzo 1980 n. 31 è necessario che 1'istituuto risulti positivamente inserito nel sistema dalla scuola privata attraverso quel particolare tipo di accertamento amministrativo che si estrinseca nella presa d'atto (o autorizzazione) non essendo necessaria la sua parificazione con la scuola pubblica.
DIRITTO
È necessario valutare, in via preliminare, le eccezioni di inammissibilità del ricorso, riferite alla natura dell'atto impugnato ed al difetto d'interesse a ricorrere.
Il Collegio ritiene che le predette eccezioni siano infondate.
Per quanto riguarda l'asserito carattere non procedimentale della delibera, Va rilevato che non sussiste nella fattispecie, come affermato dalla difesa comunale - una mera, ed ampiamente discrezionale, valutazione negativa, in ordine alle opportunità di addivenire a deliberazione di contrattate (intesa come volontà di formulare una proposta contrattuale, secondo gli schemi propri dell'attività privatistica dell'amministrazione); è ravvisabile, viceversa, l'avvio del procedimento previsto dall'art. 5, l. rg. 20 marzo 1980 n. 31, per assicurare agli alunni delle scuole materne, pubbliche e private, le sovvenzioni previste dada legge stessa..
La citata normativa dispone, infatti, che dette sovvenzioni - miranti ad "incentivare la frequenza della scuola prima dell'età dell'obbligo" - siano garantite, "di norma", attraverso la stipula di convenzioni con gli "enti gestori" della scuola stessa.
Tali convenzioni si inseriscono, dunque, ove predisposte, nel procedimento amministrativo finalizzato a concedere le previste sovvenzioni pubbliche, e non sono, di conseguenza, integralmente rapportabili alla logica dell'autonomia contrattuale.
La stessa natura giuridica dell'accordo in questione si presta a più interpretazioni: l'indisponibilità dell'oggetto - che attiene alla concessione di contributi, i cui parametri sono stabiliti per legge - potrebbe anche far ritenere le manifestazioni di volontà delle parti estranee agli schemi contrattuali, in quanto inserite come elementi della procedura di erogazione dei contributi stessi (come presupposti, o condizioni di operatività). Ove pure si riconosca l'incontro delle volontà - mosse da interessi contrapposti - come fonte degli effetti giuridici previsti dada norma, è innegabile che la peculiare disciplina delle prestazioni ponga il contratto come fase della procedura erogativa sopra indicata: tale strumentalità del contratto rispetto al procedimento amministrativa può essere considerata, o meno, fattore di riconoscibilità di una categoria autonoma di contratti - cosiddetti di diritto pubblico - ma in ogni caso configura la mancata approvazione della bozza di convenzione come fatto interruttivo della procedura avviata, ed in ultima analisi come vero e proprio diniego (impugnabile, in quanto direttamente lesivo dell'interesse ad usufruire dei benefici previsti dalla legge; in senso conforme, per quanto riguarda l'impugnabilità degli atti interni, interruttivi del procedimento: Cons. St., sez. VI, 5 novembre 1974 n. 341).
Considerazioni analoghe a quelle già sopra svolte inducono a respingere anche l'altra eccezione di inammissibilità, sollevata dal comune resistente con riferimento ad una presunta carenza di interesse a ricorrere. Se, infatti, si deve escludere che il comune possa liberamente autodeterminarsi, per accori dare i benefici suddetti (in quanto, si ripete, lo schema contrattuale predisposto è modalità di un procedimento di erogazione, che la legge subordina a precise condizioni) si deve riconoscere che, in presenza dei necessari presupposti, sussista una situazione giuridica protetta, in ordine alla concessione delle sovvenzioni di cui trattasi.
È evidente, d'altra parte, che la determinazione impugnata si basa su una valutazione negativa, circa la presenza dei requisiti soggettivi richiesti per l'applicazione della 1. rg. n. 31 del 1980 cit.: solo la dichiarata illegittimità di tale valutazione può rendere di nuovo accessibile, per gli interessati, la situazione di vantaggio prevista dalla norma.
In rapporto a quanto sopra, il Collegio non ritiene di doversi discostare dalla prevalente giurisprudenza, che individua l'interesse a ricorrere con riferimento ad una utilità non soltanto concreta, ma anche strumentale (ravvisabile, quest'ultima, ove la rimozione di un atto o di un comportamento negativo renda possibili nuovi provvedimenti, produttivi di vantaggio per gli interessati: Cons. St., sez.. IV, 29 gennaio 1980 n. 47; sez. V, 27 gennaio 1978 n. 105; su. V, 11 aprile 1975 n. 506).
Nella fattispecie, non si può nemmeno escludere che, in successive fasi di giudizio, l'illegittima discriminazione di alcuni soggetti rispetto ad altri, sia riconosciuta lesiva di un vero e proprio diritto soggettivo.
Allo stato, comunque, questo Tribunale è chiamato a pronunciarsi solo sulla eccepita illegittimità del diniego, a completare la procedura erogativa, avviata mediante predisposizione della bozza di convenzione, di cui al già citato art. 5 l. rg. n. 31 del 1980.
Sono sicuramente interessati ad impugnare tale sostanziale diniego sia i genitori esercenti la patria potestà sugli allievi, quali beneficiari ultimi delle sovvenzioni pubbliche, sia il Parroco, quale rappresentante giuridico della Parrocchia e delle attività da quest'ultima esercitate, indipendentemente dal fatto che tali attività (come, nella fattispecie, quella di insegnamento) abbiano acquisito soggettività giuridica autonoma (cfr. in ordine alla legittimazione del Parroco a stare giudizio, con riferimento alle attività parrocchiali Cons. St., sez. IV, 28 gennaio 1977 n. 39; per la tutela giurisdizionale di interessi, riferibili a centri di imputazione sforniti di personalità giuridica, cfr. art. 396 cpv. c.c. nonché Cons. St., sez. VI, 18 maggio 1979 n. 378, nonché, per i profili generali, Cons. St., sez. V, 25 marzo 1977 n. 226, e Cons. giust. amm. reg. sic. 22 ottobre 1984 n. 144).
Per quanto riguarda il merito dell'impugnativa, il Collegio ritiene opportuno valutare, in base a criteri di priorità logica, la censura riferita alla violazione e falsa applicazione degli art. 5 e 10, l. rg. n. 31 del 1980.
Detta censura appare fondata. Il più volte citato art. 5, l. rg. n. 31 del 1980, infatti, dispone testualmente: "Tutti gli alunni delle scuole materne pubbliche e private, a norma del successivo art. 10, fruiscono dei servizi previsti dalla presente legge"; il richiamato art. 10, a sua volta, specifica che sono beneficiari "delle prestazioni ... previste dagli articoli precedenti ... coloro che frequentano scuole, sezioni o corsi, ivi compresi quelli relativi ai contratti collettivi di lavoro, aventi sede nell'ambito territoriale dei comuni".
Sulla base di quanto sopra, questo Tribunale ha già avuto modo di affermare che le amministrazioni comunali non possono - senza incorrere in violazione delle riportate disposizioni legislative - rifiutare agli allievi delle scuole private le sovvenzioni previste dalla legge stessa, o accordarle in modo discriminato. (TAR Lombardia, Milano, 20 gennaio 1983 n. 31 e 2 maggio 1983 n. 661).
Il Consiglio di Stato (sez. V, 20 novembre 1985 n. 429), nel confermare le predette decisioni, ha sottolineato come non sia rilevante nella fattispecie il principio costituzionale (art. 33 comma 3 cost.) che sancisce la libertà per enti e privati di istituire scuole, ma "senza oneri per lo Stato": tale statuizione esclude, evidentemente, che al principio di libertà sopra indicato corrisponda un diritto degli operatori scolastici privati, ad ottenere finanziamenti pubblici; non si può escludere, però, che lo Stato decida di perseguire le proprie finalità istituzionali, nel campo dell'istruzione, anche avvalendosi delle strutture private, e che in tale ottica conceda a queste ultime lo stesso trattamento riservato al settore pubblico.
La parità di trattamento di cui trattasi, in conclusione, è principio non costituzionalmente dovuto, ma rimesso alla discrezionalità legislativa.
Nella fattispecie, il legislatore regionale - chiamato a predisporre una disciplina idonea a garantire il diritto allo studio (art. 45, d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616) - ha ritenuto di tutelare tale diritto mediante "interventi diretti a facilitare la frequenza nelle scuole materne e dell'obbligo", indipendentemente dalla natura pubblica o privata delle scuole stesse (cfr. art. 2, 1. rg. n. 31 del 1980 cit., in connessione con il successivo art. 5 comma 2).
In altre parole, si è voluto incentivare l'accesso agli istituti scolastici - e la fruizione dei relativi servizi - nel modo più ampio, comprendendo in tale incentivazione la libertà di scelta degli interessati fra istruzione pubblica e privata, attraverso la concessione di uguali agevolazioni agli studenti (in tal senso, con riferimento a disposizioni analoghe, contenute nella l. rg. Toscana 19 giugno 1981 n. 53, cfr. Cons. St., sez. V, 12 ottobre 1984 n. 731).
Sembra appena il caso di precisare che il trattamento paritario in questione postula uguale assegnazione di fondi alle scuole, quando - come nel caso di specie - l'amministrazione intenda erogare i benefici previsti attraverso queste ultime, a tale scopo finanziate: una differente potenzialità degli istituti a fornire i servizi di cui trattasi, infatti, si tradurrebbe inevitabilmente m discriminazione fra gli studenti.
Le amministrazioni comunali - tenute ad attuare le incentivazioni previste per il diritto allo studio - non possono dunque ripercorrere le scelte del legislatore regionale, né fare, come avvenuto nella fattispecie, diretto riferimento a ragioni di merito, rapportate solo ai parametri costituzionali (anziché alla legge da eseguire) per ritenersi libere di escludere dal finanziamento le scuole private.
Le predette amministrazioni possono e debbono, viceversa, verificare la presenza - negli istituti scolastici da finanziare - dei requisiti previsti dalla citata legge regionale, come la sussistenza degli "orientamenti educativi" di cui al d.P.R. n. 647 del 1969, nonché la "costituzione di organi collegiali, in analogia con quelli previsti dal d.P.R. n. 416 del 1974". In rapporto a quanto sopra, il comune resistente solleva svariate obiezioni, il cui esame presuppone un chiarimento, circa il tipo di formalizzazione giuridica, che si deve ritenere voluto dal legislatore per identificare le "scuole materne autonome", di cui al già ricordato art. 5 comma 3, l. rg. n. 31 del 1980.
A tale scopo va premesso che il principio della libertà di insegnamento, riconosciuto dall'art. 33 cost., è stato interpretato dalla Corte costituzionale nel senso più ampio: con sentenza n. 36 del 4 giugno 1958, infatti, è stata dichiarata l'illegittimità - per contrasto con l'art. 33 sopra citato - dell'art. 3 e dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 4, l. 19 gennaio 1942 n. 86, in quanto tali norme ponevano limiti e controlli penetranti, che condizionavano l'autorizzazione ad aprire scuole e corsi di insegnamento.
Allo stato attuale, detta apertura soggiace soltanto alle norme generali dell'ordinamento, con particolare riguardo a quelle di ordine pubblico, igiene e sanità. La medesima Corte costituzionale, nella citata sentenza, ha tuttavia precisato che il diritto di libertà di cui trattasi non esclude qualsiasi regolamentazione, in tema di requisiti soggettivi ed oggettivi, né la predisposizione di opportuni controlli.
In questa sede, non si deve certo richiamare tutta la ponderosa normativa, emanata sulla materia in questione: è noto, comunque, che lo Stato ha sottoposto a vigilanza le organizzazioni scolastiche private - distinte in corsi, scuole e istituti di educazione - ed ha disciplinato un sistema di accertamento, che prevede provvedimenti di presa d'atto (sostitutive dell'autorizzazione dichiarata incostituzionale), riconoscimento legale e pareggiamento (cfr. l. 19 gennaio 1942 n. 86, nonché circolare del Ministero della pubblica istruzione 18 settembre 1974 n. 214 - prot. 9405).
In particolare, scuole e corsi hanno il comune scopo di impartire l'istruzione: i corsi tuttavia, non presentano ordinamenti conformi a quelli delle scuole statali e sono assoggettabili alla presa d'atto, ma non anche al riconoscimento legale e al pareggiamento; le scuole private, viceversa, sono ammesse alle comuni denominazioni dell'ordinamento scolastico nazionale, proprio in quanto "abbiano fini e orientamenti didattici conformi a quelli delle corrispondenti istituzioni pubbliche (art. l. l. n. 86 del 1942 cit.): in ordine a tali situazioni, sono emanati i provvedimenti di presa d'atto e – su richiesta degli istituti interessati - del riconoscimento legale e del pareggiamento.
È vero, dunque, che la legge regionale in esame non fa alcun preciso riferimento agli istituti in cui si estrinseca la citata vigilanza amministrativa, ma è pur vero che - essendo l'istruzione materia compiutamente disciplinata, sotto il profilo organizzativo e finalistico, dalla vigente normativa - non si può propriamente parlare di corsi di insegnamento, nonché di scuole di vario ordine e grado, al di fuori di un preciso sistema di verifiche e controlli, che attesti la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge e che, a livello statale, trova espressione minima nel richiamato istituto della presa d'atto.
Non si pone qui il problema della possibilità per la regione, di istituire verifiche e controlli alternativi, in quanto - per la soluzione del problema sottoposto all'esame del Collegio - è sufficiente constatare che le "scuole materne" ammesse al convenzionamento di cui all'art. 5,1. rg. n. 31 del 1980, sono riconoscibili solo se e in quanto si possa ritenere accertato l'inserimento delle medesime in un quadro operativo, conforme a quello dei corrispondenti istituti pubblici (per gli indirizzi fondamentali, cfr. in proposito 5 febbraio 1928 n. 577,1. 18 marzo 1968 n. 444; d.P.R. 10 settembre 1969 n. 647).
Del predetto inserimento forniscono attestazione le forme di riconoscimento legale sopra indicate, in rapporto alle quali deve quindi essere ricercato - in assenza di più precise disposizioni legislative - il grado di formalizzazione, richiesto dalla legge regionale in esame.
Al di fuori di ogni formalizzazione, resta la libertà di esercitare qualsiasi tipo di lecito insegnamento, ma senza diritto di assumere per tale attività le stesse denominazioni delle strutture scolastiche statali, e senza accesso alle sovvenzioni pubbliche in esame, che sono indirizzate ad agevolare l'esercizio del diritto allo studio (diritto, si deve ritenere, contenuto nel quadro delle finalità didattiche riconosciute dallo Stato).
Sia in rapporto a quanto sopra, sia sotto altri profili, tuttavia, non emergono dall'atto impugnato chiari e circostanziati motivi, atti ad escludere l'idoneità della scuola Borgomanero, ai fini del convenzionamento ex 1. rg. n. 31 del 1980.
In base al verbale della seduta consiliare in data 25 febbraio 1985 infatti, le motivazioni del citato diniego appaiono articolate, sostanzialmente nelle seguenti considerazioni:
a) mancanza di garanzie, in merito alla presenza, nella scuola, degli organi collegiali di cui al d.P.R. 10 giugno 1969 n. 647, richiamato nell'art. 5, 1. rg. n. 31 del 1980;
b) mancata adesione della scuola Borgomanero all'esistente consorzio delle scuole materne;
c) inopportunità, per l'ente pubblico, di finanziare un privato, che dovrebbe a tale scopo rivolgersi alla propria utenza: (solo l'assenza di strutture pubbliche giustificherebbe l'erogazione dei contributi in questione a un "Ente morale")
è) omessa costituzione della scuola di cui trattasi in ente giuridico -fornito di un proprio statuto - ed in genere inidoneità a stipulare la convenzione, da parte di un soggetto che si presenterebbe come "ente Chiesa Parrocchiale S. Paolo Apostolo", e non come un vero e proprio istituto scolastico.
Nessuna delle argomentazioni sopra riportate legittimava - ad avviso del Collegio - il conclusivo diniego, che è oggetto dell'impugnativa in esame.
Per quanto riguarda gli organi Collegiali, il più volte citato art. 5,1. rg. n. 31 del 1980 prevede, per le scuole che accedono al convenzionamento, non la sussistenza della medesima struttura organizzativa, di cui al d.P.R. n. 416 del 1975 (consigli di circolo e di istituto, collegio degli insegnanti ecc.), ma anche solo un'assunzione di impegno, circa la futura costituzione di organi collegiali "in analogia" a quelli sopra indicati.
È di tutta evidenza, pertanto, che la verifica degli organi suddetti atteneva alla fase esecutiva della convenzione; si poteva giustificare, dunque, una richiesta di precisazioni - rispetto al generico accenno, contenuto in proposito nel preambolo della convenzione stessa - ma non anche la negata approvazione, in forma definitiva, della bozza contrattuale in esame.
Non rilevante appare, inoltre, l'adesione, o meno, della scuola Borgomanero al Consorzio delle scuole materne, non essendo tale adesione requisito richiesto dalla legge per accedere al convenzionamento.
Le altre considerazioni - sintetizzate al precedente punto C - circa l'opportunità di finanziare una istituzione scolastica privata, risultano inconferenti, in quanto attengono a scelte di merito, che nella fattispecie erano già state operate dal legislatore (nel senso, già in precedenza esaminato, dalla parità di trattamento fra scuole pubbliche e private).
Resta da esaminare l'ultimo argomento, riferito alla carenza di legittimazione della scuola Borgomanero a sottoscrivere la convenzione. Nella delibera consiliare impugnata, la suddetta questione risulta prospettata sotto un duplice profilo: da una parte, infatti, sembra si ritenga necessario che la scuola ammessa al convenzionamento abbia personalità giuridica, dall'altra si adombra una mancata distinzione formale tra Chiesa e Parrocchia, ed in ultima analisi si pone il problema dei requisiti formali richiesti dalla legge,per la stipula delle convenzioni, di cui all'art. 5 comma 3,1. rg. n. 31 del 1980.
La prima prospettazione (riferita alla necessità, per la scuola contraente di acquisire personalità giuridica) risulta infondata, sia in quanto parte contrattuale può essere anche un ente di fatto (che assume obblighi nei modi previsti per le associazioni non riconosciute - cfr. art. 36 ss. c.c.), sia in quanto l'ordinamento vigente non richiede, come regola generale, tale configurazione soggettiva per gli istituti scolastici (per un riferimento agli istituti, "non ancora eretti in ente morale ... che potranno sorgere al fine di mantenere scuole materne" cfr. art. 38, t.u. sull'istituzione elementare, r.d. 5 febbraio 1928, n. 577).
Diverso è l'altro problema sopra indicato, relativo all'asserita inesistenza di una "scuola Borgomanero", come autonomo centro di imputazione di interessi: detta scuola infatti, secondo il comune resistente, sarebbe soltanto "estrinsecazione modale di una delle attività della Parrocchia" e quindi risulterebbe inesistente sotto il profilo soggettivo richiesto della norma.
Le considerazioni precedentemente svolte escludono, in effetti, che possa accedere al convenzionamento qualsiasi organizzazione che si autodefinisca scolastica, al di fuori del relativo riconoscimento legale; si deve anche escludere però, data la genericità del dettato normativo in esame, che la 1. n. 31 del 1980 richieda una vera e propria parificazione con la scuola pubblica, o altri gradi di formalizzazione.
Può ritenersi sufficiente, pertanto che l'istituto risulti positivamente inserito nel sistema della scuola privata di cui assume la denominazione attraverso quel particolare tipo di accertamento amministrativo che si estrinseca nella presa d'atto, o che ancora comunemente si definisce "autorizzazione".
L'istruttoria, disposta da questo Tribunale in merito a quanto sopra, non ha fornito in proposito documentazione conclusiva, ma i dati raccolti -unitamente a quelli già prima disponibili - appaiono sufficienti per confermare l'illegittimità dell'atto impugnato - sotto il profilo in esame.
Va tenuto presente, infatti, che nel già citato preambolo della bozza di convenzione non approvata, si dava atto "che la scuola è perfettamente in regola con le disposizioni di legge vigenti in materia, ed è autorizzata al funzionamento dalle competenti autorità scolastiche": è chiaro che tale bozza - non sottoscritta dalle parti, e priva di riferimenti specifici - non consente di acquisire alcuna positiva certezza, circa la situazione giuridica della scuola in questione; nell'ambito del presente giudizio di legittimità, è tuttavia sufficiente - al fine di escludere la corretta formazione della impugnata delibera comunale - coniugare le premesse contrattuali sopra riportate con i seguenti dati, desumibili dalla documentazione raccolta in via istruttoria:
- il comune aveva previsto, nel "piano per il diritto allo studio dell'anno scolastico 1984/85" (cfr. delibera 26 luglio 1984 n. 163) che venissero assegnati contributi alle scuole come mezzo per fornire agli allievi delle medesime le agevolazioni previste dalla legge;
- la scuola Borgomanero risulta almeno in due occasioni (cfr. delibere comunali in data 9 maggio 1984 n. 141 e 26 febbraio 1986 n. 39) considerata parte dell'organizzazione scolastica operante nel comune, ed in quanto tale viene resa destinataria di contributi pubblici ex 1. rg. n. 31 dd 1980, assegnati al Consiglio di istituto.
In base a quanto sopra, non si può non ravvisare nell'atto impugnato una discriminazione della scuola ricorrente, e dei relativi allievi, in contrasto con la lettera e lo spirito della più volte ricordata 1. rg. n. 31 del 1980. Mentre infatti nessun positivo accertamento risulta disposto, circa l'esistenza e la natura delle autorizzazioni, genericamente attestate nella bozza di convenzione, Si nega in modo ancora più generico una sia pur minima formalizzazione dell'istituto scolastico, che pure in altre occasioni era stato considerato tale dall'amministrazione comunale, e si esclude il medesimo da un piano di finanziamento, che non può considerarsi - senza valide ragioni o soluzioni alternative - precluso alle scuole private.
In considerazione di quanto sopra, il diniego di approvazione, formulato come definitivo diniego di convenzionamento, deve essere considerato illegittimo, nonché lesivo dell'interesse protetto dei ricorrenti ad una corretta e puntuale valutazione delle condizioni, cui la legge subordina l'incentivazione del diritto allo studio, e la concessione dei relativi benefici.
Il ricorso deve, quindi, essere accolto, con conseguente annullamento dell'atto impugnato: ogni altro motivo di gravame risulta assorbito.
Sulla posizione paritaria degli alunni di scuole pubbliche e di scuole private.
(Conferma TAR Milano 20 gennaio 1983 n. 31 e 2 maggio 1983 n. 661).
Interesse all'impugnazione - In tema di pubblica istruzione - Assistenza scolastica - Diritto allo studio - Lombardia - L. reg. n. 31 del 1980 - Ripartizione dei fondi - Impugnazione - Gestori d scuole private riconosciuto o autorizzate - Hanno interesse.
Pubblica Istruzione - Assistenza scolastica Lombardia . L. reg. n. 31 del 1980 - Deliberazione comunale di ripartizione dei fondi - Discriminazione tra scuole pubbliche e private - Illegittimità.
In Lombardia, i gestori di scuote private legalmente riconosciute o anche soltanto autorizzate hanno un interesse qualificato ad impugnare il provvedi mento amministrativo che attua la ripartizione dei fondi previsti dalla L. reg.
20 marzo 1980 n. 31 per assicurare il diritto allo studio nella scuola dell'obbligo, in quanto sono titolari di una posizione giuridicamente tutelata a non vedere discriminati i propri iscritti rispetto a quelli delle scuole pubbliche.La L. reg. Lombardia 20 marzo 1980 n. 31 non soltanto si ispira ai principi dettati dagli artt. 33 e 34 Cost., ma costituisce anche la proiezione dell'art. 42 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, il quale, nel disporre il trasferimento in area comunale delle funzioni amministrative connesse alla materia "assistenza scolastica", sancisce a questo riguardo una completa equiparazione fra gli alunni delle Istituzioni pubbliche e quelli delle Istituzioni private; pertanto, è illegittima la deliberazione comunale che, nell'attuare la ripartizione dei fondi previsti dalla suddetta legge regionale, prevede per le scuole private un trattamento deteriore rispetto a quello riservato alle scuole pubbliche.
DIRITTO — 1. - I due ricorsi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione, per evidenti motivi di connessione.
2. - Secondo l'appellante, essendo stata la scuola elementare "La Zolla" legalmente riconosciuta soltanto a partire dall'anno scolastico 1981-1982, i suoi alunni non potrebbero in ogni caso partecipare alla ripartizione delle provvidenze per l'anno scolastico 1980-1981, sicché mancherebbe l'interesse ad impugnare la deliberazione del Consiglio di zona n. 20. Tale questione, pur posta per la prima volta in appello, attenendo all'interesse a ricorrere è rilevabile d'ufficio e va esaminata; tanto più che la stessa sentenza del Tribunale amministrativo, al quale il fatto del mancato riconoscimento legale non era stato prospettato, nell'accogliere il ricorso ha incidentalmente osservato che nell'applicare la legge regionale n 31 del 1980 deve essere assicurata la parità di trattamento tra gli alunni delle scuole pubbliche e quelli delle scuole private purché parificate, egualmente riconosciute ed autorizzate..
Osserva al contrario questo Collegio che tale limitazione non ha fondamento, e che sussiste appieno l'interesse della scuola "La Zolla" e dei genitori dei relativi alunni, come destinatari dei benefici della legge regionale. a ricorrere contro la delibera in questione.
Ed infatti non solo la legge regionale 20 marzo 1980 n. 31 non distingue tra scuole statali e scuole non statali, ma neppure tra scuole non statali pareggiate o legalmente riconosciute da una parte e scuole non statali con corsi ed esame privi di pubblica validità dall'altra; anzi dalla legge si desume proprio il contrario, ossia che fra i beneficiari della legge vi sono anche istituzioni meramente private e non riconosciute. Infatti l'art. 10 della legge recita: "delle prestazioni di carattere individuale e collettivo previste dagli articoli precedenti fruiscono coloro che frequentano scuole, sezioni e corsi, ivi compresi quelli relativi ai contratti collettivi di lavoro".
Ora, la distinzione tra "scuole" e "corsi" è ben nota alla nostra legislazione scolastica (L. 19 gennaio 1942 n. 86); sono "scuole" quelle istituzioni scolastiche non statali che abbiano un ordinamento conforme alle scuole statali, mentre sono " corsi " le altre istituzioni private finalizzate all'istruzione; solo alle " scuole " sono riferibili gli istituti giuridici del pareggiamento e del riconoscimento legale, che hanno appunto come presupposto la conformità dei programmi e della carriera scolastica della scuola non statale a quelli delle corrispondenti scuole statali (articoli 1 e 6 della legge n. 86 del 1942; per l'insegnamento elementare, art. 95 del regio decreto 5 febbraio 1928 n. 577), mentre i "corsi" sono intrinsecamente non riconoscibili né pareggiabili.
Se l'art. 10 della legge regionale contempla fra i beneficiari della legge stessa gli alunni dei "corsi" e persino coloro che frequentano corsi " relativi a contratti collettivi di lavoro", è chiaro che non possono essere escluse le "scuole" pria vate in senso proprio, ancorché non abbiano ricevuto il riconoscimento legale.
Inoltre, a seguire la distinzione prospettata dall'appellante e, incidentalmente, dal Tribunale, non è chiaro se e perché i benefici dovrebbero spettare solo alle scuole legalmente riconosciute e non anche a quelle autorizzate, tenuto conto che per le scuole private elementari è tuttora vigente l'istituto dell'autorizzazione, precedente necessariamente di almeno un anno il riconoscimento legale, e che la scuola "La Zolla" era, nell'anno scolastico 1980-981, autorizzata.
In definitiva pertanto l'impugnazione della delibera del Consiglio di Zona n. 20 da parte della scuola "La Zolla" non legalmente riconosciuta all'epoca, nonché dei legali rappresentanti di alunni della scuola stessa, è pienamente ammissibile sotto il profilo dell'interesse a ricorrere, e l'osservazione surriferita, incidentalmente contenuta nella motivazione della sentenza n. 31 del 1983 del T.A.R. per la Lombardia, va, nel senso detto, corretta.
3. - Nel merito, entrambe le sentenze vanno confermate. Delle due delibere impugnate, quella del Consiglio di zona n. 3, del tutto priva di motivazione assegna somme pro-capite diverse alle scuole statali e a quelle private, in particolare al liceo scientifico dell'Istituto delle Madri benedettine lire 2.195 per ogni alunno contro le 2.805 per alunno assegnate alle scuole secondarie superiori statali; l'altra, quella del Consiglio di zona n. 20, assegna alle scuole elementari statali lire 3.900 per alunno, alle "realtà materne e superiori che svolgono azione supplente rispetto alle carenze pubbliche nel settore" (si vuol dire: alle scuole ubicate in zone non agevolmente servite da corrispondenti scuole statali) le stesse somme assegnate alle corrispondenti scuole statali. Alle altre scuole non statali somme forfettarie ulteriormente differenziate a seconda dell'entità della retta (da lire 30.000 a lire 72.000 per sezione scolastica), in particolare alla scuola "La Zolla" la somma di lire 220.000.
Va subito osservato che il richiamo effettuato dalle difese delle parti ad opposte interpretazioni dell'art. 33 terzo comma della Costituzione, e dalla difesa dell'appellato Comune anche alla sentenza della Corte Costituzionale 16 febbraio 1982 n. 36 (in questa Rassegna 1982, Il, 208) (sentenza con la quale fu rigettata l'eccezione di illegittimità costituzionale di una legge regionale siciliana che prevedeva l'erogazione del servizio di trasporto scolastico per le scuole non statali solo a certe condizioni di entità di retta scolastica e di supplenza al servizio scolastico statale), appaiono qui del tutto inconferenti. Non si tratta infatti di valutare la legittimità costituzionale di una legge bensì la legittimità di atti amministrativi emanati in applicazione di una legge, che non prevede nessuna diversità di trattamento tra scuole statali e scuole non statali. E sotto questo profilo è chiaro che, non avendo appunto la legge disposto disparità di trattamento, non spetta ai Comuni di crearne, specie quando, come nei casi in esame, si tratti di disparità non motivate ed effettuate per pura discriminazione fine a se stessa.
Questa stessa Sezione del Consiglio, con decisione 12 ottobre 1984 n. 731, resa in un caso del tutto analogo di applicazione della legge regionale toscana n. 53 del 1981 concernente " interventi per il diritto allo studio", ha osservato che quella legge regionale la quale non prevedeva diversità di trattamento tra scuole pubbliche e private, costituiva la attuazione dell'art. 42 del D.P R. 24 luglio 1977 n. 616 concernente il trasferimento ai Comuni delle funzioni amministrative relative alla materia dell'assistenza scolastica e nel quale è contemplata una totale equiparazione fra alunni di istituzioni pubbliche e private, sicché non era consentito ai Comuni di attuare differenziazioni. Il medesimo va ora deciso per i provvedimenti in esame.
Per completezza va osservato che i motivi addotti dal Comune a sostegno della disparità di trattamento, consistenti nella presunzione di maggior agiatezza delle famiglie degli alunni delle scuole private (presunzione che verrebbe meno nel caso delle scuole svolgenti una funzione "supplente"), da una parte costituiscono una inammissibile integrazione giudiziale della motivazione dei provvedimenti amministrativi (sul punto, vedesi la già citata decisione n. 731 del 1984 di questa Sezione nonché Consiglio di giustizia per la Regione siciliana 29 marzo 1985 n. 44), dall'altra si sostanziano in illazioni palesemente arbitrarie; se si vuoi differenziare il trattamento degli alunni in base al reddito familiare, l'unico possibile riferimento è, in modo uguale per gli alunni delle scuole pubbliche e private, appunto il reddito accertato o dichiarato.
4. - Il Comune appellante va condannato alla rifusione delle spese di giudizio, che si liquidano in lire 780.000 a favore di ciascuno dei due gruppi di appellati.
CONSIGLIO DI STATO - Sez. V—Sent. n. 731 del 12 ottobre 1984—Pres. (f.f.) Cossu—Est. Bozzi—Comune di Prato (avv. Morbidelli, Predieri) c. Casa di educazione e lavoro per i figli del popolo ed altri (avv. Giovannelli, Scoca).
(Conferma TAR Toscana 10 settembre 1983 n. 796).
Giustizia amministrativa · Atto impugnabile - Atto confermativo - Nuova disamina della situazione - Non è meramente confermativo.
Giustizia amministrativa - Interesse a ricorrere - L. rg. Toscana n. 53 del 1981 - Provvidenze per il diritto allo studio - Diniego per i frequentanti scuole non statali - Genitori di alunni frequentanti istituti scolastici non statali ed istituti medesimi - Sono legittimati a ricorrere.
Atto amministrativo - Motivazione · Integrazione in giudizio · Irrilevanza.
Istruzione pubblica - In genere · Assistenza scolastica - L. rg. Toscana n. sa del 1981 . Interventi per diritto allo studio - Alunni di scuole pubbliche e di scuole private senza fine di lucro - Posizione paritaria.
È impugnabile in quanto non meramente confermativo, l'atto che, pur statuendo in corrodo conforme ad atto precedente, sia stato adottato a seguito di un nuovo e completo esame della situazione.
Sia i genitori degli alunni frequentanti scuole private senza fine di lucro sia le scuole stesse sono legittimate ad impugnare i provvedimenti adottati ai sensi della 1. rg. Toscana 19 giugno 1981 n. 53 con i quali si determinano le provvidenze per l'attuazione del diritto allo studio..
La motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata in sede giudiziale valendosi delle considerazioni svolte dalla difesa dell'ente.
La l. rg. Toscana 19 giugno 1981 n. 53 recante interventi per il diritto allo studio individua i destinatari negli alunni delle scuole pubbliche e in quelli delle scuole private autorizzate a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato e la cui attività non abbia fini di lucro. Tra gli uni e gli altri gruppi di alunni, che la legge pone in situazione paritaria, sono perciò illegittimi trattamenti differenziati che si fondino sulla diversa natura della scuola frequentata.
DIRITTO.—Debbono essere esaminate preliminarmente le eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado, che, rigettato dal TAR, vengono qui riproposte dal comune di Prato.
In ordine alla prima il Collegio osserva che con la deliberazione 14 febbraio 1983 n. 77 il consiglio comunale di Prato ha effettuato un nuovo e completo esame della situazione scolastica, in relazione alle prestazioni e servizi da erogare nonché alle disposizioni da applicare in proposito ed alla spesa da sostenere, in rapporto alle previsioni di bilancio, determinandosi infine, dopo una serie di interventi, a favore o contro il progetto, nel senso di apprestare e fornire anche per il 1983 i servizi scolastici in questione.
Tale deliberazione, secondo la costante giurisprudenza di questo consiglio, non è pertanto confermativa di quelle precedenti, ma reca una determinazione del tutto autonoma, onde, sotto tale profilo, l'impugnazione proposta in primo grado dalla scuola parificata " Casa di educazione e lavoro per i figli del popolo " e litisconsorti era ammissibile.
Anche la seconda eccezione di inammissibilità deve essere disattesa, poiché i ricorrenti in primo grado lamentavano la violazione è sufficiente a dimostrarne la infondatezza.
L'art. 6, 1. rg. Toscana 19 giugno 1981 n. 53, nell'individuare i destinatari degli " interventi per il diritto allo studio " previsti dagli articoli precedenti, stabilisce che " tali interventi sono altresì attribuiti ai frequentanti le altre scuole materne e le scuole e gli istituti di ogni ordine e grado, autorizzati a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato, la cui attività non abbia fine di lucro ".
Questa disposizione pone, da una parte, l'obbligo delle amministrazioni comunali di provvedere in conformità e nei limiti da essa posti; d'altra parte, e nel tempo stesso, fa sorgere in tutti quelli che si trovano nella posizione, prevista dalla legge, di frequentanti quel particolare tipo di scuole, uno specifico interesse all'osservanza della disposizione stessa da parte della amministrazione; interesse che, in quanto coincide con l'interesse pubblico protetto dalla norma, legittima i suoi portatori, a differenza di altri soggetti che non si trovino nella loro particolare situazione, ad impugnare il comportamento delle amministrazioni, che sia contrario alla norma medesima.
D'altra parte, com'è pacifico, i genitori ricorrenti in prime cure avevano tutti presentato la domanda di beneficiare degli interventi previsti dalla citata legge regionale. E non par dubbio che dall'obbligo dell'amministrazione di usare lo stesso trattamento agli alunni delle scuole pubbliche e a quelli delle scuole private contemplate dal richiamato art. 6, nonché dall'obbligo di dar corso alle domande presentate, discendeva anche il suo dovere di far conoscere agli interessati, che su quell'obbligo avevano fondato la loro pretesa, le proprie motivate determinazioni, di contenuto positivo o negativo.
Il comportamento dell'amministrazione è dunque omissivo sotto ogni profilo ed è appunto questo comportamento che forma oggetto dell'impugnativa prodotta in primo grado la quale era rivolta ad ottenere l'annullamento di un provvedimento che, con l'implicito diniego delle domande degli interessati, ledeva la loro pretesa di beneficiare degli interventi previsti dalla legge.
Anche la terza eccezione è infondata.
Infatti, se pure è esatto, come afferma il comune appellante, che l'art. 61. rg. Toscana n. 53 del 1981 non contempla le scuole private quali destinatarie degli interventi di cui si tratta, è parimenti esatto che esse sono portatrici di un interesse, che assume la natura di interesse protetto nel caso in cui, come nella specie, per effetto della violazione di legge denunciata dalle scuole stesse, queste lamentino di essere esposte a un danno diretto ed immediato consistente nell'arresto o, comunque, nella diminuzione del numero delle frequenze (gli alunni che non potessero godere degli interventi sarebbero indotti ad iscriversi alle scuole pubbliche), con una conseguente restrizione della loro funzione educativa, al cui assorbimento sono state istituite.
Questa posizione consente pertanto di individuare le scuole private ricorrenti in primo grado quali titolari di un interesse protettò e quindi legittimo, che fornisce loro il titolo
giuridico per denunciare la difformità dall'interesse pubblico, con il quale occasionalmente coincide il loro interesse, della deliberazione impugnata in primo grado.Nel merito, l'appello è infondato.
Va innanzi tutto rilevato che le considerazioni e le argomentazioni prospettate nel quarto motivo costituiscono una integrazione della deliberazione impugnata in primo grado. Esse, pertanto, debbono essere disattese non essendo consentito, per la valutazione della legittimità della deliberazione stessa, tenere conto dei motivi che avrebbero causato la sua adozione, dedotti dalla difesa dell'amministrazione comunale nel corso del giudizio, né dalla motivazione che avrebbe potuto essere posta a sostegno dell'atto, né, da ultimo, ai fini di tale motivazione, dei provvedimenti adottati addirittura in tempo successivo a quello impugnato (deliberazione 31 maggio 1983 n. 907). Vanno quindi esaminate le considerazioni e gli argomenti che il comune di Prato espone nel quinto motivo per sostenere, in sostanza, che né l'art. 33 cost., né la 1. rg. Toscana n. 53 del 1981 prevedono, quanto al " trattamento scolastico" una totale equiparazione fra alunni delle scuole pubbliche e alunni delle scuole private, consentendo invece la possibilità di " differenziazioni basate su elementi ragionevoli ".
Le tesi prospettate al riguardo dall'appellante non possono essere condivise.
La l.rg. Toscana n. 53 del 1981 che riguarda gli " interventi per il diritto allo studio ,. non soltanto si ispira chiaramente ai principi contenuti negli art. 33 e 34 cost., ma costituisce sovratutto la " proiezione" dell'art. 42, d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, concernente il trasferimento delle funzioni amministrative relative alla materia " assistenza scolastica >, e nel quale è contemplata una assoluta equiparazione fra alunni di istituzioni pubbliche e private, relativamente alle attività di predisposizione e messa a disposizione, sia delle strutture soggettive ed oggettive, sia dei servizi che quelle strutture sono poi chiamate ad erogare in concreto.
L'art. 6 della legge regionale, infatti, indica con piena chiarezza chi siano i destinatari degli interventi la cui erogazione è stabilita dagli articoli precedenti, e cioè delle strutture, dei servizi e delle attività: questi sono gli alunni delle scuole statali, o comunque pubbliche e, " altresì " gli alunni delle scuole private di ogni ordine e grado, purché autorizzate a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato, la cui attività non abbia fini di lucro.
La norma, dunque, non consente dubbi, poiché l'equiparazione fra gli alunni dei due tipi di scuole (pubbliche o private) è piena e completa. Va anzi aggiunto che il legislatore regionale, laddove ha subordinato gli interventi in favore degli utenti delle scuole gestite da privati al fatto che queste siano abilitate a rilasciare titoli di studio riconosciuti dallo Stato. ha sicuramente inteso porre queste scuole sullo stesso piano di quelle pubbliche, per la unicità della funzione e dello scopo da esse perseguito, che è quello di fornire gli studenti di un titolo culturale giuridicamente efficace.
Sicché, avuto riguardo agli obiettivi che essa si pone (nell'ambito del principio fissato dall'art. 33, comma 4, cost.), e cioè la facilitazione dei due diritti costituzionali alla istruzione e allo studio, la 1. rg. 19 giugno 1981 n. 53 non stabilisce affatto diversità nei requisiti di base (a parte l'inesistenza di fini di lucro) necessari per il godimento delle erogazioni. delle provvidenze e dei servizi individuali o collettivi nei quali si sostanzia e mediante i quali si svolge l'attività di assistenza scolastica.
Per le suesposte considerazioni l'appello del comune di Prato deve essere rigettato.
TRIB. AMM. REG. PIEMONTE, 10 febbraio 1982, n. 92 - Pres. Vaiano - Est. Giaccardi - Accossato (Avv. Brocca) c. Comune di Domodossola (Avv. Birga e Santilli).
Assistenza scolastica - Ripartizione fondi - Discriminazione fra alunni di scuole pubbliche e di alunni di scuole private - Illegittimità
È illegittima la deliberazione comunale che nella ripartizione dei fondi destinati all'assistenza scolastica, operi una discriminazione fra alunni delle scuole pubbliche ed alunni delle scuole private, escludendo dal contributo le scuole non statali che svolgano una funzione di supplenza delle carenti istituzioni scolastiche.
È fondata e meritevole di accoglimento la censura di violazione di legge dedotta con il primo motivo di gravame.
Sebbene il quadro normativo in materia di assistenza scolastica sia tuttora incompleto, mancando in Piemonte una legge regionale che disciplini le modalità di esercizio delle funzioni amministrative trasferite ai Comuni, ai sensi dell'art. 45, primo comma del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, sono tuttavia individuabili, a livello legislativo, alcune fondamentali linee direttrici alle quali l'attività amministrativa degli enti locali è necessariamente tenuta ad uniformarsi, con conseguente limitazione del relativo potere discrezionale.
In proposito, giova anzitutto sottolineare che la materia "assistenza scolastica", giusta la definizione fornitane dall'art. 42 del d.p.r. n. 616 del 1977, ha quali soggetti destinatari non già le istituzioni scolastiche, bensì gli alunni. Le relative funzioni concernono infatti l'approntamento di strutture, servizi, provvidenze in denaro, e simili, intesi a garantire l'assolvimento dell'obbligo scolastico a tutti gli alunni, anche se adulti, e ad assicurare ai capaci e meritevoli, ancorché privi di mezzi, la prosecuzione negli studi.
Ciò premesso, risulta evidente come, a livello costituzionale, la norma fondamentale costituente punto di riferimento di tutta la disciplina legislativa e amministrativa della materia, sia rappresentata non già dal terzo comma dell'art. 33 (che esclude qualsiasi onere finanziario in capo allo Stato per l'attivazione e il funzionamento delle libere istituzioni scolastiche private), bensì dal successivo quarto comma, che assicura agli alunni delle scuole private parificate "un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali"; ove l'espressione "trattamento scolastico" va appunto intesa in senso ampio, siccome comprensiva di attività, servizi e mezzi strumentali destinati alla popolazione scolastica ed intesi ad assicurare a tutti gli alunni eguali possibilità in ordine all'assolvimento dell'obbligo scolastico e alla prosecuzione degli studi secondo capacità e merito.
Il principio dell'equipollenza, ai Lini dell'assistenza scolastica, fra alunni di scuole pubbliche e private trovasi, del resto, sinteticamente ribadito nello stesso art. 42 del d.p.r. n. 616 del 1977, laddove si precisa che le funzioni ivi descritte vengono espletate indistintamente sa favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private".
Infine, lo stesso legislatore piemontese, prima del trasferimento delle funzioni ai Comuni, ebbe a disciplinare con legge 2 settembre 1974, n. 27 la materia dell'assistenza scolastica in favore degli alunni delle scuole materne dell'obbligo, trasferite alle Regioni a statuto ordinario con il d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3. I principi generali enunciati in particolare dall'art. 1 della citata legge regionale, sono da ritenersi tuttora in vigore finché non intervenga una nuova disciplina legislativa in attuazione al disposto dell'art. 45 del d.p.r. n. 616 del 1977.
Fra tali principi assume decisivo rilievo, ai fitti che interessano, quello enunciato dal secondo comma dell'art. 1, a mente del quale "l'intervento regionale, in aderenza al principio di cui al quarto comma dell'art. 33 della Costituzione tende altresì a garantire l'effettiva parità di trattamento tra gli alunni delle scuole statali e quelli delle scuole parificate, legalmente riconosciute ed autorizzate, relativamente alle prestazioni ed ai servizi previsti dai successivi artico1i".
La operata ricognizione del vigente quadro legislativo, nei suoi tre livelli — costituzionale, statale ordinario e regionale —, dimostra pertanto come la discrezionalità dei Comuni in materia di erogazione e ripartizione dei fondi destinati all'assistenza scolastica incontri un limite insuperabile nell'esigenza di assicurare la parità di trattamento fra gli alunni delle scuole pubbliche e quelli delle scuole private, purché parificate, legalmente riconosciute e autorizzate. Siffatto limite risultò palesemente violato dalla impugnata deliberazione del Consiglio comunale di Domodossola, la quale si ispira invece all'opposto criterio della netta discriminazione fra gli alunni appartenenti ai due tipi di istituzione scolastica.
Né la lesione del principio della parità di trattamento può ritenersi in qualche misura temperata dai due correttivi apportati dalla deliberazione impugnala, relativi rispettivamente all'ammissione al contributo delle scuole private svolgenti funzioni di "supplenza" rispetto alle carenti istituzioni scolastiche statali del medesimo ordine ed indirizzo, nonché all'accantonamento di una quota del 5% da destinarsi ad alunni versanti in "situazioni particolari", a prescindere dal tipo di istituzione scolastica.
Per quanto riguarda il criterio della "supplenza" è agevole rilevare come esso aggravi, anziché temperare, il carattere discriminatorio della ripartizione dei fondi, creando ulteriori ingiustificate disparità di trattamento nell'ambito i degli stessi alunni delle scuole private.
In sostanza, il criterio in esame rappresenta il sintomo già significativo dell'errore di prospettiva nel quale incorre l'Amministrazione comunale, la quale sembra intendere la materia dell'assistenza scolastica come occasione per potenziare e privilegiare le strutture scolastiche pubbliche e quelle ad esse alternative, anziché come momento di garanzia del diritto allo studio, quale prerogatio individuale spettante indistintamente a tutti gli utenti del servizio scolastico, a prescindere dal tipo di scuola frequentato.
La discriminazione si rileva tanto più grave in quanto lo stesso ammontare complessivo del contributo assegnato su stanziamento regionale al Comune di Domodossola risulta commisurato all'entità numerica complessiva della popolazione scolastica comunale, ivi compresi gli alunni frequentati le scuole escluse dalla ripartizione dei fondi. Ne deriva indirettamente, che, per effetto di tale esclusione, gli utenti delle scuole pubbliche e di quelle "supplenti" di Domodossola finiscono col fruire di un contributo pro-capite indebitamente superiore rispetto a quello assegnato agli studenti di tutti i restanti Comuni della Regione, fra i quali avrebbe dovuto essere logicamente ripartita la quota aggiuntiva dello stanziamento regionale riferentesi alla quota parte della popolazione scolastica che il Comune di Domodossola ha inteso escludere dal contributo.
Per quanto riguarda, infine, l'accantonamento del 5% del fondo per far fronte ad eventuali situazioni particolari, trattasi di correttivo del tutto marginale che non incide sulla sostanza della soluzione discriminatoria adottata, sia in ragione della modesta entità della quota accantonata, sia comunque in considerazione del fatto che neanche tate quota è riservata agli alunni delle scuole private, escluse dal contributo ordinario.
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