di ELISABETTA CANTONE
Difende il candidato del Polo, Silvano Moffa, a spada tratta. Ma, allo
stesso tempo, riconosce all’avversario Enrico Gasbarra «capacità e onestà
intellettuale». Anche se gli rimprovera di «utilizzare le istituzioni come
fossero taxi e puntare troppo sull’immagine». Ma di una cosa la delfina di
Francesco Storace e coordinatrice regionale di An, Roberta Angelilli, non ha
dubbi: «La nostra riscossa è cominciata proprio con le provinciali di cinque
anni fa e poi con la vittoria alla Regione. Pure a maggio sarà così, perché
Moffa è un buon amministratore, di quelli che hanno fatto la gavetta».
Il segretario capitolino dei Ds Nicola Zingaretti, invece, lo definisce
"incolore", uno di cui nessuno si ricorda.
«Questo è ingeneroso oltre che falso, perché Moffa è riuscito, forse per la
prima volta, a valorizzare il ruolo di un Ente che ovviamente non ha stessa
importanza della Regione e del Comune, ma ha competenze che possono influire
veramente sulla vita dei cittadini. E lui lo ha fatto lavorando a testa bassa.
Il suo rivale, invece, mi sembra che in questo momento stia giocando con i
colori: che caduta di stile la bandiera della pace sui manifesti».
Con Gasbarra lei si è scontrata alle amministrative del 2001, quando era
candidata vicesindaco in tandem con Antonio Tajani. Quali pensa siano i suoi
punti deboli?
«Con tutto il rispetto e senza mettere in dubbio le sue capacità e la sua
onestà intellettuale, sono due le cose che non mi piacciono di lui. La prima è
che punta troppo sull’immagine. La seconda, utilizza le Istituzioni come
fossero taxi: consigliere regionale e vicesindaco sino a che non è stato
costretto a restituire lo stipendio. Ma la cosa più imbarazzante è stata
candidarsi alla Provincia da vicesindaco, tradendo quanti lo hanno supportato
durante il cammino verso il Campidoglio».
A Roma lei è una delle poche donne di An ad aver fatto carriera. Alla
Provincia solo la Guerci siede in Giunta, mentre Gasbarra promette un governo in
rosa.
«Sono d’accordo. Le donne vanno valorizzate all’interno delle
amministrazioni: rappresentano una risorsa eccezionale, tradiscono di meno e
quando prendono impegno lo portano a termine. Detto questo, non penso che nel
mio partito ci siano preclusioni nei confronti delle esponenti di sesso
femminile: io ne sono una prova».
Se a livello nazionale l’Ulivo è spaccato, nella Cdl il rapporto di forza
tra il partito di Berlusconi e quello di Fini e le continue pressioni della Lega
fanno sì che le cose non vadano tanto meglio rispetto agli avversari.
«Nelle coalizioni difficoltà e problematicità fanno parte del gioco. Credo
che la dialettica politica serva a tutti: salvaguarda il confronto e quindi la
democrazia. Anche se, è ovvio, quando la polemica diventa fine a se stessa
porta problemi. Come con la Lega, della quale spesso non condividiamo
l’atteggiamento sia dal punto di vista culturale che territoriale. Due esempi
per tutti: la questione dei finanziamenti per Roma Capitale, gestita con grande
fierezza sia da Fini che da Storace e Moffa. E la levata unanime di scudi sulla
Rai. Certo, a volte si vince, altre si perde ma l’orgoglio romano c’è tutto».
Nella Capitale la coalizione di centrosinistra sta dando vita a una vero e
proprio laboratorio nazionale. Anche il Polo è così compatto nella Città
Eterna?
«Credo di sì. La storia degli ultimi anni di An e della Cdl parte proprio da
qui, attraverso la riscossa del candidato incolore. Riscossa che
bisseremo a maggio. Ed è sempre a Roma che abbiamo consolidato la vittoria
delle regionali, che fu decisiva anche a livello nazionale. Per noi Roma e il
Lazio rimangono un modello di sperimentazione straordinario. Tanto che nel resto
del partito ci accusano proprio di essere romanocentrici».
A proposito dei rapporti tra Forza Italia e Alleanza nazionale, Tajani
rivendica la leadership della coalizione per gli Azzurri. Le come la vede?
«Per ora l’abbiamo noi. Ma la nostra è una competizione bonaria: la crescita
di Fi non ci preoccupa ma ci rende felice perché così si rafforza la
coalizione».
Anche in An però i problemi non mancano: la destra sociale si contrappone a
quella protagonista, mentre i consiglieri capitolini vanno per conto loro.
«Nel partito ci sono indubbiamente delle anime diverse: non correnti ma gruppi
ben definiti, che su alcune questioni non la pensano allo stesso modo. Ma è
meglio così: esternare le proprie perplessità senza paure e senza pudori, come
fa Storace, è un bene non un limite. Quanto ai consiglieri comunali, nel caso
del Bilancio e del Prg l’intransigenza del gruppo è stata determinata anche
che Veltroni, che ha lasciato uno spazio esiguo per l’opposizione, calpestando
regolamento e dibattito in Aula.