Venerdi 28 Febbraio 2003

E un altro ancora
recitava:“Ieri un americano
a Roma, oggi un
romano in cielo”

di PAOLA VUOLO
Ed eccola l’altra famiglia di Alberto Sordi, grande quanto piazza San Giovanni. Eccola, la gente che lui tanto amava e che ora gli dice addio con le sue stesse battute, «America’, faje tarzan», «Tu sei tu, e noi nun semo un c... dedicato al leghista Speroni», «Marché, e mò c’hai stufato co’ sti scherzi. Alzati», «Perché la tua stella non sarà mai polvere». Frasi che vogliono dire tutte la stessa cosa: che Albertone non morirà mai, perché restano i suoi film, i suoi personaggi e le risate che ha fatto fare. E lo dice anche il regista Ettore Scola, durante la cerimonia laica «...il miglior modo di ringraziarlo, mentre lo salutiamo, è di non essere tristi. Di essere allegri anche noi». Ma sullo striscione attaccato alla coda dell’aereo che volteggia sulla piazza si legge un rimprovero «Stavolta c’hai fatto piagne». Lacrime e sorrisi, sono qui in centomila per dire addio ad Alberto Sordi «Sindaco per un giorno, imperatore per sempre».
«Ci sono artisti verso i quali si prova ammirazione e altri, verso i quali si prova gratitudine. Grazie Alberto». C’è scritto questo, dietro le foto dell’attore sistemate sulle sedie all’interno della Basilica. Da uno schermo Giada, Erika e Valentina, studentesse liceali, tengono d’occhio il sagrato «il preside non ci ha dato l’autorizzazione per venire al funerale di Sordi, e noi ci siamo autorizzate da sole». Poi parte l’applauso, il feretro dell’attore preceduto dai vigili urbani in motocicletta è inquadrato nello schermo, Giada, Erika e Valentina battono le mani, per dieci minuti. Hanno gli occhi velati dalle lacrime «ci mancherai» dicono.
Fuori la folla segue muta la cerimonia religiosa. Un ragazzo vende per un euro i poster dei film più famosi di Albertone, ma non fa niente per richiamare l’attenzione della gente. Se ne sta lì, con la schiena appoggiata alle transenne e aspetta, pure lui in silenzio che qualcuno si avvicini per comprare.
Un altro lungo applauso sale dalla piazza. Sul maxischermo scorrono le immagini di Sordi davanti al Papa, il giorno del Giubileo degli artisti «grazie Santità» dice Albertone. Una signora singhiozza e alza il cartellone bianco che ha tra le mani «Siamo testimoni di un fatto doloroso» si legge. Sono in centomila, in piedi da ore, e nessuno fiata. «Sò sicuro che nun sarai arrivato da San Pietro in ginocchioni» recita tra le lacrime Gigi Proietti «a metà strada te sarai fermato, a guardà sta fiumana de persone: te rendi conto c'hai combinato?». Una bandiera giallorossa sventola tra la folla, sopra c’è scritto «Ti amo».
E ci sono fiori ovunque. I cuscini degli «Amici attori del teatro Prati» di «Zara 87 colleghi radio taxi» di «Lorella Cuccarini» e le corone della «famiglia De Laurentiis» e della Camera dei Deputati e del Consiglio dei ministri. Fiori ovunque, rose rosse, come quelle della sorella Aurelia che ricoprono la bara di legno chiaro e intarsiato.
Ancora striscioni: «L’Italia ha perso un attore, Roma il suo imperatore» «Caro Alberto, per quanti siamo è un vero sconcerto. Ti onoriamo, piangiamo e sorridiamo, perché non muore mai chi adoriamo» «Ieri americano a Roma, oggi romano in cielo».
«Tu hai sposato questa città», dice dal palco il sindaco Walter Veltroni «E come è bella Roma, Alberto. Tu l’hai descritta così, io continuo ad amarla, questa città. E’ qui che ho la mia casa, gli amici. E’ a Roma che ho legato il mio lavoro, i miei personaggi». E sui muri di Roma, ieri mattina, c’erano mille manifesti che dicevano «Grazie Albè, roma tua ti saluta».