di PAOLA VUOLO
Ed eccola l’altra famiglia di Alberto Sordi, grande quanto piazza San
Giovanni. Eccola, la gente che lui tanto amava e che ora gli dice addio con le
sue stesse battute, «America’, faje tarzan», «Tu sei tu, e noi nun semo un
c... dedicato al leghista Speroni», «Marché, e mò c’hai stufato co’ sti
scherzi. Alzati», «Perché la tua stella non sarà mai polvere». Frasi che
vogliono dire tutte la stessa cosa: che Albertone non morirà mai, perché
restano i suoi film, i suoi personaggi e le risate che ha fatto fare. E lo dice
anche il regista Ettore Scola, durante la cerimonia laica «...il miglior modo
di ringraziarlo, mentre lo salutiamo, è di non essere tristi. Di essere allegri
anche noi». Ma sullo striscione attaccato alla coda dell’aereo che volteggia
sulla piazza si legge un rimprovero «Stavolta c’hai fatto piagne». Lacrime e
sorrisi, sono qui in centomila per dire addio ad Alberto Sordi «Sindaco per un
giorno, imperatore per sempre».
«Ci sono artisti verso i quali si prova ammirazione e altri, verso i quali si
prova gratitudine. Grazie Alberto». C’è scritto questo, dietro le foto
dell’attore sistemate sulle sedie all’interno della Basilica. Da uno schermo
Giada, Erika e Valentina, studentesse liceali, tengono d’occhio il sagrato «il
preside non ci ha dato l’autorizzazione per venire al funerale di Sordi, e noi
ci siamo autorizzate da sole». Poi parte l’applauso, il feretro dell’attore
preceduto dai vigili urbani in motocicletta è inquadrato nello schermo, Giada,
Erika e Valentina battono le mani, per dieci minuti. Hanno gli occhi velati
dalle lacrime «ci mancherai» dicono.
Fuori la folla segue muta la cerimonia religiosa. Un ragazzo vende per un euro i
poster dei film più famosi di Albertone, ma non fa niente per richiamare
l’attenzione della gente. Se ne sta lì, con la schiena appoggiata alle
transenne e aspetta, pure lui in silenzio che qualcuno si avvicini per comprare.
Un altro lungo applauso sale dalla piazza. Sul maxischermo scorrono le immagini
di Sordi davanti al Papa, il giorno del Giubileo degli artisti «grazie Santità»
dice Albertone. Una signora singhiozza e alza il cartellone bianco che ha tra le
mani «Siamo testimoni di un fatto doloroso» si legge. Sono in centomila, in
piedi da ore, e nessuno fiata. «Sò sicuro che nun sarai arrivato da San Pietro
in ginocchioni» recita tra le lacrime Gigi Proietti «a metà strada te sarai
fermato, a guardà sta fiumana de persone: te rendi conto c'hai combinato?».
Una bandiera giallorossa sventola tra la folla, sopra c’è scritto «Ti amo».
E ci sono fiori ovunque. I cuscini degli «Amici attori del teatro Prati» di «Zara
87 colleghi radio taxi» di «Lorella Cuccarini» e le corone della «famiglia
De Laurentiis» e della Camera dei Deputati e del Consiglio dei ministri. Fiori
ovunque, rose rosse, come quelle della sorella Aurelia che ricoprono la bara di
legno chiaro e intarsiato.
Ancora striscioni: «L’Italia ha perso un attore, Roma il suo imperatore» «Caro
Alberto, per quanti siamo è un vero sconcerto. Ti onoriamo, piangiamo e
sorridiamo, perché non muore mai chi adoriamo» «Ieri americano a Roma, oggi
romano in cielo».
«Tu hai sposato questa città», dice dal palco il sindaco Walter Veltroni «E
come è bella Roma, Alberto. Tu l’hai descritta così, io continuo ad
amarla, questa città. E’ qui che ho la mia casa, gli amici. E’ a Roma che
ho legato il mio lavoro, i miei personaggi». E sui muri di Roma, ieri
mattina, c’erano mille manifesti che dicevano «Grazie Albè, roma tua ti
saluta».