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di GIOVANNI SGARDI
SENIGALLIA - Stefano Guazzarotti non è morto sul colpo. I tre colpi di
pistola al viso, alla spalla e al torace lo hanno fatto piombare
immediatamente in coma ma la fine è arrivata parecchio tempo dopo,
forse addirittura due ore. Un responso agghiacciante, quello del medico
legale a corollario dei risultati dell’autopsia. Il tassista
senigalliese, 39 anni, ucciso in circostanze misteriose martedì sera,
ha agonizzato davanti al night-club mentre i clienti uscivano ed
entravano dallo ”Snoopy”, sfiorando il suo taxi,
senza accorgersi di nulla. Le lesioni al cuore e ai polmoni,
probabilmente, non avrebbero risparmiato Stefano anche in caso di
soccorsi tempestivi. Resta l’amarezza perchè non c’è stato nemmeno
un tentato di salvare quel poveraccio, esanime al suo posto di guida,
nel piazzale affollato di un locale pubblico, mentre la gente lo credeva
addormentato. Sul fronte delle indagini le novità rafforzano
l’ipotesi dell’esecuzione a sangue freddo ad opera di un sicario,
dell’est europeo o appartenente alla malavita. I carabinieri avrebbero
identificato ed interrogato l’ultimo cliente, quello salito a bordo
del taxi alle 19.30 di martedì, risultato
estraneo all’omicidio. Estraneo ma testimone di qualcosa, se è vero
che l’uomo è ora protetto dall’Arma. Rilevante anche l’arma
(scomparsa) con cui è stato commesso il delitto. Gli esperti balistici
sono convinti che a sparare sia stata una Tokarev calibro 762 parabellum
di fabbricazione russa, modello 1962. Si tratta di una pistola molto
potente in uso alle forze armate dell’ex Urss, poi declassificata. Ma
che c’entra il buon Stefano Guazzarotti, che il papà Mario definisce
un pacioccone, che la moglie Daniela ricorda come papà affettuoso e
marito appassionato, con la malavita? Assolutamente nulla, e non solo in
virtù dei racconti che arrivano dall’interno della sua famiglia. «Dopo
la rapina, tendiamo ad escludere un movente legato in qualche modo alla
sua famiglia» dicono gli investigatori.
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