Sabato 13 Dicembre 2003
Il delitto di Senigallia . Amici, colleghi e tantissima gente si sono stretti intorno alla famiglia Guazzarotti. Dura omelia del pastore emerito
Il vescovo sfida il killer: «Non ci fai paura»
Un mare di persone e di fiori al funerale del taxista. Monsignor Fusi Pecci: «Colpita al cuore la città»

di GIOVANNI SGARDI


struggente abbraccio alla moglie di Stefano, Daniela, alla madre, al padre, al fratello. Accolti, uno per uno, sotto le ali del suo mantello pastorale. Un momento privato in una chiesa gremita all’inverosimile, con tutti gli occhi puntati su quella famiglia straziata. Non per curiosità della loro desolata ribalta, ma perchè il dolore dei Guazzarotti è di quelli che colpiscono al cuore: gente che ha fatto della fatica di vivere virtù, che si è fatta amare per gentilezza, umiltà, onestà. Bastava vedere la fila infinita dei senigalliesi in attesa di porgere le condoglianze a quei poveracci. Nonostante lo strazio, anche per l’ultimo degli estranei ci sono stati un sorriso e una stretta di mano. Questione di umanità, di quelle che vengono dal profondo. E allora si può comprendere i volti in lacrime anche nelle ultime file, là dove non ci sono parenti, amici, colleghi. Ma solo persone portate lì dalla voglia di pregare per quel ragazzo sfortunato.
Chiesa piena, quella delle Grazie, nonostante l’accoglienza della navata. A differenza dei funerali per omicidi irrisolti, non ci sono troppi investigatori nascosti nella folla a riprendere i presenti con le micro-camere. Il killer non sembra affatto di quelli che tornano per dimostrare un finto dolore, appartiene alla stirpe dei senz’anima che ammazza per regolare un conto e cerca di sparire. Il nulla sentimentale sotto la fondina. No, non è tra i sentimenti dell’addio che bisogna scavare. Mai così intensi, mai così veri come quelli per Stefano.
Alle Grazie c’è ressa fin dalle 9,30, mezz’ora prima dell’inizio del congedo. Il grande piazzale della chiesa è una palude di fango, la gente non ci bada, il pensiero fisso alla fine incredibile del tassista che accompagnava le vecchiette a fare la spesa, sparato senza motivo come in un pessimo film. In un banchettino si fanno le offerte: per Stefano, da devolvere alla Lega del Filo d’oro, per Tommaso, il bimbetto che non ha più il suo papà. Arriva la vedova Daniela, in nero, lo sguardo azzurro che non si piega all’affronto del marito portato via. Arriva la mamma di Stefano, lei sì spezzata, sorretta dal figlio Roberto. Non c’è il piccolo Tommaso, 3 anni, lasciato a casa con una zia; e si capisce il perchè.
La bara è di legno chiaro, davanti all’altare l’accoglie un oceano di cuscini e mazzi di rose. L’hanno voluto dire anche con i fiori, un po’ tutti, l’affetto per Stefano, il rimpianto e lo struggimento per lui. Anche se è per caso, non si può non notare la Madonna che schiaccia la testa del serpente, svettante sopra il feretro. Simbolo ed auspicio di una giustizia, per ora solo morale in attesa che divenga legale e divina. Mani gentili si posano sul viso di Daniela, altre mani gentili sostengono il capo della madre. San Paolo, Giovanni: le letture riguardano la filosofia del dolore nella morte e nella fede. Poi la lucida invettiva di monsignor Odo Fusi Pecci: «Non ci piegheremo, non ci fai paura». Si respira un poco, il vecchio porporato regala un barlume di speranza, o comunque sa alleviare il grande peso. La parola ferma, la parola dura. Ma anche la parola che sa scendere nel cuore, come quella che affida solo all’orecchio di chi amava Stefano, in quell’infinito abbraccio con cui è terminata la cerimonia prima che il corte funebre prendesse la strada del cimitero, nell’aria di un dicembre cristallino.