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di GIOVANNI SGARDI
struggente abbraccio alla moglie di Stefano, Daniela, alla madre, al
padre, al fratello. Accolti, uno per uno, sotto le ali del suo mantello
pastorale. Un momento privato in una chiesa gremita all’inverosimile,
con tutti gli occhi puntati su quella famiglia straziata. Non per
curiosità della loro desolata ribalta, ma perchè il dolore dei
Guazzarotti è di quelli che colpiscono al cuore: gente che ha fatto
della fatica di vivere virtù, che si è fatta amare per gentilezza,
umiltà, onestà. Bastava vedere la fila infinita dei senigalliesi in
attesa di porgere le condoglianze a quei poveracci. Nonostante lo
strazio, anche per l’ultimo degli estranei ci sono stati un sorriso e
una stretta di mano. Questione di umanità, di quelle che vengono dal
profondo. E allora si può comprendere i volti in lacrime anche nelle
ultime file, là dove non ci sono parenti, amici, colleghi. Ma solo
persone portate lì dalla voglia di pregare per quel ragazzo sfortunato.
Chiesa piena, quella delle Grazie, nonostante l’accoglienza della
navata. A differenza dei funerali per omicidi irrisolti, non ci sono
troppi investigatori nascosti nella folla a riprendere i presenti con le
micro-camere. Il killer non sembra affatto di quelli che tornano per
dimostrare un finto dolore, appartiene alla stirpe dei senz’anima che
ammazza per regolare un conto e cerca di sparire. Il nulla sentimentale
sotto la fondina. No, non è tra i sentimenti dell’addio che bisogna
scavare. Mai così intensi, mai così veri come quelli per Stefano.
Alle Grazie c’è ressa fin dalle 9,30, mezz’ora prima dell’inizio
del congedo. Il grande piazzale della chiesa è una palude di fango, la
gente non ci bada, il pensiero fisso alla fine incredibile del tassista
che accompagnava le vecchiette a fare la spesa, sparato senza motivo
come in un pessimo film. In un banchettino si fanno le offerte: per
Stefano, da devolvere alla Lega del Filo d’oro, per Tommaso, il
bimbetto che non ha più il suo papà. Arriva la vedova Daniela, in
nero, lo sguardo azzurro che non si piega all’affronto del marito
portato via. Arriva la mamma di Stefano, lei sì spezzata, sorretta dal
figlio Roberto. Non c’è il piccolo Tommaso, 3 anni, lasciato a casa
con una zia; e si capisce il perchè.
La bara è di legno chiaro, davanti all’altare l’accoglie un oceano
di cuscini e mazzi di rose. L’hanno voluto dire anche con i fiori, un
po’ tutti, l’affetto per Stefano, il rimpianto e lo struggimento per
lui. Anche se è per caso, non si può non notare la Madonna che
schiaccia la testa del serpente, svettante sopra il feretro. Simbolo ed
auspicio di una giustizia, per ora solo morale in attesa che divenga
legale e divina. Mani gentili si posano sul viso di Daniela, altre mani
gentili sostengono il capo della madre. San Paolo, Giovanni: le letture
riguardano la filosofia del dolore nella morte e nella fede. Poi la
lucida invettiva di monsignor Odo Fusi Pecci: «Non ci piegheremo, non
ci fai paura». Si respira un poco, il vecchio porporato regala un
barlume di speranza, o comunque sa alleviare il grande peso. La parola
ferma, la parola dura. Ma anche la parola che sa scendere nel cuore,
come quella che affida solo all’orecchio di chi amava Stefano, in
quell’infinito abbraccio con cui è terminata la cerimonia prima che
il corte funebre prendesse la strada del cimitero, nell’aria di un
dicembre cristallino.
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