IN
CENTRO
E
il Comune promette una strada e un busto
di BEATRICE PICCHI
Che traffico quel giorno. Con Alberto Sordi sulla pedana di piazza Venezia che
alza le braccia, manda le macchine a destra e a sinistra, e gli automobilisti
che gridano Ahò c’è Celletti e lui che fischia, gesticola, fa
le manovre. Che giornata per Mario, con Albertone a dirigere il traffico dalla
sua pedana. Fu così, tre anni fa, che il maresciallo della municipale Mario
Buffone conobbe il suo collega Sordi-Celletti, l’incorruttibile, l’ingenuo,
l’instancabile pizzardone... E da allora, ogni giorno che Alberto passava
dalla piazza per andare a prendere il caffé a piazza del Popolo, una stretta di
mano, la testa fuori dal finestrino per un saluto, Mario me fai passa’.
Tutto bene oggi? Adesso Mario, 53 anni di cui 27 passati sulla pedana di
piazza Venezia, un figlio grande al quale ha sconsigliato di fare il vigile e
una valvola nuova di zecca al cuore, vorrebbe avergli detto un sacco di cose «perché
con i suoi film ci ha aiutato: quante cose ha potuto dire. Ci ha fatto ridere,
è vero, ma quanta verità quando ci raccontava dell’Italietta dei medici e
dei vigili, dei tassinari e degli ambulanti». Personaggi impietosi, a volte
orribili perché veri, più deboli che ipocriti. «E’ stato proprio un mito, e
che amico, che tipo». Perché è proprio ispirandosi alle tante facce di Roma
che Alberto Sordi inventava i protagonisti dei suoi film. Ma lei, Mario ha mai
multato il sindaco? «No, per adesso no. Però, se c’è da fa’ una multa non
guardo in faccia a nessuno: calciatori, attori, cantanti, qualcuno ci prova, mi
racconta storie strampalate, ma quando torno a casa dormo sempre sonni
tranquilli».
«Sordi si sentiva uno di noi», racconta Sandro Renzi, comandante dei vigili
urbani fino a due anni fa, romano da due generazioni, che al grande attore
sindaco per un giorno, era l’anno duemila, regalò una copia del libro
fotografico "Quo vadis vigile" di un altro vigile, Venanzio Lucernoni.
Sulla copertina la foto di Otello Celletti, la mano a sfiorare la visiera, e
quella faccia divertita, irriverente, a mostrare ...
«Sordi di Roma era tutto: la voce, il cuore, la risata, il piatto di
maccheroni. E che romano che era», Carlo Bologna, protagonista di tante
battaglie, gagliardo come il Pietro che guidava Zara 87 e chiedeva un aiuto per
il figlio appena laureato, si ricorda ancora quando lo accompagnò a casa sul
suo taxi, «e sbagliai strada, non l’avessi mai fatto... Sordi mi disse vabbé
dai, lasciami qui che mi farò una passeggiata a piedi». «E’ stato un
grande, con Alberto è morta una parte di noi tassisti romani», ripete chi lo
ha conosciuto per una corsa veloce a Cinecittà, all’aeroporto, al ristorante.
«Una battuta, una risata, ma anche la fatica di un lavoro in mezzo al traffico,
di chi deve lavorare per portare qualcosa a casa», ecco il tassista che ha
raccontato Alberto, «e per questo noi tassisti regolari, attenti alle regole e
alle persone che accompagnamo, gli diremo sempre grazie».
«Sì, lo so che è morto Sordi: l’ho sentito alla radio, stavo per portare il
mio cavallo in centro», racconta Marco Calò, 33 anni, una botticella e i
ricordi di Nestore, lui quando uscì il film di Sordi aveva 24 anni e nella sua
casa, come in quelle di tutti i botticellari di Roma, entrò una leggenda, un
mito, «perché nessuno prima di allora aveva raccontato la tristezza e il
dolore di chi lavora con un animale, che non è un motore, fatto di bulloni e
lamiere». Nel ’95 il grande narratore intervenne a piazza di Siena per dire
che il Comune aveva trovato un’area per realizzare un ricovero per duecento
cavalli, per non farli finire al mattatoio. Monica Cirinnà, ancora oggi
delegata del sindaco per i diritti degli animali, ha assicurato che «i cavalli
sono salvi, come voleva lui, ma il progetto Nestore non è stato attuato nella
sua interezza, per mancanza di fondi». Nestore, Pasquale e tanti altri giovani
trottatori e ronzini che calpestano asfalto e sampietrini, che respirano smog e
polveri, che accompagnano turisti pigri e sonnacchiosi, ringraziano Alberto che
ha dedicato loro un film e regalato la speranza di non essere fatti a pezzi.