Marted 2 Dicembre 2003
Sciopero selvaggio, Milano piomba nel dramma
Bus e metrò paralizzati tutto il giorno. I lavoratori: «Protesta a oltranza». Ma oggi scatta la precettazione

dal nostro inviato

SANDRO VACCHI


MILANO - La coda di duecento metri davanti alla s tazione Termini verso mezzogiorno sembrava l’inferno, ma era il paradiso, rispetto a quella che all’aeroporto di Linate tre ore più tardi si massacrava per trovare un taxi libero. «E quando abbiamo scioperato noi, in gennaio, ci hanno trascinati in Procura» inveisce il taxista contro i rivali tranvieri. Lavorerà di più? «No, soltanto peggio, perché ci metto il triplo a fare un percorso. Vuole vedere?» E si infila nella bolgia. Parla di colleghi che dopo due ore così hanno girato il taxi e sono rientrati a casa disperati, di una Milano che vive di movimento, ma che muore di traffico, di ”quei delinquenti” dell’Atm che almeno potevano avvertire. Sì, perché lo sciopero che doveva cominciare alle 8,45 è iniziato in piena notte, alle 4, quando il primo autobus che doveva uscire dal deposito di via Rogoredo è invece rimasto fermo. Nessuno lo sapeva.
Il prefetto di Milano, Bruno Ferrante, ha precettato i dipendenti dell’Atm per la giornata di oggi, dopo aver parlato in mattinata di comportamenti che violano le leggi. La replica dei sindacati di base - che hanno di fatto rotto il fronte - non s’è fatta aspettare: «La precettazione potrebbe inasprire lo scontro. Perché, poi, il prefetto non ha convocato una nostra delegazione?»
I mattinieri milanesi s’erano organizzati per tempo: uscire di casa un po’ prima e arrivare in ufficio o in fabbrica evitando il blocco dei mezzi pubblici, che sarebbe dovuto terminare alle tre del pomeriggio, abbondantemente in tempo per rientrare tranquilli. Niente di tutto questo. Chi si è piazzato alle fermate dell’autobus ha aspettato la chimera, chi doveva prendere la metropolitana ha trovato addirittura i cancelli chiusi: tutto fermo, una città a piedi. O in macchina. A decine di migliaia si sono scaraventati in garage a tirare fuori l’auto, altrettanti sui taxi, e così per percorrere trenta metri si impiegavano letteralmente altrettanti minuti. Tutto bloccato.
Scuole praticamente vuote all’orario di apertura, e alle 10 aule ancora semideserte. «Fantastico! La prof di latino è arrivata con due ore di ritardo» scherza uno studente del Parini. Un macello anche nelle banche, dove pochi sportellisti si sono presentati. La parola che si sente con maggior frequenza è ”Vergogna!”, ma c’è chi trova una goccia di solidarietà con gli scioperanti. «Hanno ragione loro. Ormai funzionano solamente i ricatti. E sarà sempre peggio» dice un signore in corso Magenta. Redazione del ”Messaggero”, vicino a piazza Cordusio. Sono senza chiave, cerco il portiere: non è arrivato, prende la metro ed è dovuto rimanere a casa.
«Ci rendiamo conto del disastro che abbiamo provocato, ma la gente si rende conto di come viviamo noi?» si domanda Claudio R., uno dei monatti dell’Atm, autista di autobus che oggi verrà insultato - come ieri - da tutta Milano. «Le aziende non rispettano il contratto. Io campo con due milioni e mezzo al mese, e il sindaco Albertini dice che abbiamo stipendi principeschi.» Parla di sette scioperi inutili, di governo che non muove un dito, come la Regione, e il Comune. «No, non abbiamo fatto lo sciopero selvaggio perché questa è la città di Berlusconi, ma per dimostrare che siamo vivi.»
Per il sindacato sembra però una Caporetto. La spaccatura è netta, forse insanabile, fra organizzazioni e base. «Qualcuno dovrà spiegarci perché gli orari dello sciopero non sono stati rispettati» scuote la testa Nino Cortorillo, segretario della Filt-Cgil provinciale. E’ imbufalito non tanto perché anche sua madre è rimasta intrappolata nello sciopero a oltranza, ma perché vede che gli ottomila dell’Atm vanno ormai per conto loro, al punto che prima della precettazione prefettizia si temeva una giornata di scioperi anche per oggi. Frange estremiste? Probabile, ma al deposito di via Rogorego non ci stanno a essere dipinti come brigatisti, e quella parola - sabotaggio - pronunciata dal sindaco non la mandano giù, come la minaccia di ricorrere alla Procura contro l’interruzione di un servizio pubblico.