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dal nostro inviato
SANDRO VACCHI
MILANO - La coda di duecento metri davanti alla s tazione Termini verso
mezzogiorno sembrava l’inferno, ma era il paradiso, rispetto a quella
che all’aeroporto di Linate tre ore più tardi si massacrava per
trovare un taxi libero. «E quando abbiamo
scioperato noi, in gennaio, ci hanno trascinati in Procura» inveisce il
taxista contro i rivali tranvieri. Lavorerà di
più? «No, soltanto peggio, perché ci metto il triplo a fare un
percorso. Vuole vedere?» E si infila nella bolgia. Parla di colleghi
che dopo due ore così hanno girato il taxi e
sono rientrati a casa disperati, di una Milano che vive di movimento, ma
che muore di traffico, di ”quei delinquenti” dell’Atm che almeno
potevano avvertire. Sì, perché lo sciopero che doveva cominciare alle
8,45 è iniziato in piena notte, alle 4, quando il primo autobus che
doveva uscire dal deposito di via Rogoredo è invece rimasto fermo.
Nessuno lo sapeva.
Il prefetto di Milano, Bruno Ferrante, ha precettato i dipendenti
dell’Atm per la giornata di oggi, dopo aver parlato in mattinata di
comportamenti che violano le leggi. La replica dei sindacati di base -
che hanno di fatto rotto il fronte - non s’è fatta aspettare: «La
precettazione potrebbe inasprire lo scontro. Perché, poi, il prefetto
non ha convocato una nostra delegazione?»
I mattinieri milanesi s’erano organizzati per tempo: uscire di casa un
po’ prima e arrivare in ufficio o in fabbrica evitando il blocco dei
mezzi pubblici, che sarebbe dovuto terminare alle tre del pomeriggio,
abbondantemente in tempo per rientrare tranquilli. Niente di tutto
questo. Chi si è piazzato alle fermate dell’autobus ha aspettato la
chimera, chi doveva prendere la metropolitana ha trovato addirittura i
cancelli chiusi: tutto fermo, una città a piedi. O in macchina. A
decine di migliaia si sono scaraventati in garage a tirare fuori
l’auto, altrettanti sui taxi, e così per
percorrere trenta metri si impiegavano letteralmente altrettanti minuti.
Tutto bloccato.
Scuole praticamente vuote all’orario di apertura, e alle 10 aule
ancora semideserte. «Fantastico! La prof di latino è arrivata con due
ore di ritardo» scherza uno studente del Parini. Un macello anche nelle
banche, dove pochi sportellisti si sono presentati. La parola che si
sente con maggior frequenza è ”Vergogna!”, ma c’è chi trova una
goccia di solidarietà con gli scioperanti. «Hanno ragione loro. Ormai
funzionano solamente i ricatti. E sarà sempre peggio» dice un signore
in corso Magenta. Redazione del ”Messaggero”, vicino a piazza
Cordusio. Sono senza chiave, cerco il portiere: non è arrivato, prende
la metro ed è dovuto rimanere a casa.
«Ci rendiamo conto del disastro che abbiamo provocato, ma la gente si
rende conto di come viviamo noi?» si domanda Claudio R., uno dei
monatti dell’Atm, autista di autobus che oggi verrà insultato - come
ieri - da tutta Milano. «Le aziende non rispettano il contratto. Io
campo con due milioni e mezzo al mese, e il sindaco Albertini dice che
abbiamo stipendi principeschi.» Parla di sette scioperi inutili, di
governo che non muove un dito, come la Regione, e il Comune. «No, non
abbiamo fatto lo sciopero selvaggio perché questa è la città di
Berlusconi, ma per dimostrare che siamo vivi.»
Per il sindacato sembra però una Caporetto. La spaccatura è netta,
forse insanabile, fra organizzazioni e base. «Qualcuno dovrà spiegarci
perché gli orari dello sciopero non sono stati rispettati» scuote la
testa Nino Cortorillo, segretario della Filt-Cgil provinciale. E’
imbufalito non tanto perché anche sua madre è rimasta intrappolata
nello sciopero a oltranza, ma perché vede che gli ottomila dell’Atm
vanno ormai per conto loro, al punto che prima della precettazione
prefettizia si temeva una giornata di scioperi anche per oggi. Frange
estremiste? Probabile, ma al deposito di via Rogorego non ci stanno a
essere dipinti come brigatisti, e quella parola - sabotaggio -
pronunciata dal sindaco non la mandano giù, come la minaccia di
ricorrere alla Procura contro l’interruzione di un servizio pubblico.
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