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di RAFFAELLA TROILI
Che spettacolo, i fuochi d’artificio «anche se erano du’ schioppi»,
visti per caso da una finestra dei Musei capitolini. Era passata la
mezzanotte e l’idea della festa globale, dello stiamo tutti insieme e
volemose bene anche se è tutta una ressa, stava trionfando. Ai romani
piace stare in giro, è gioco facile farli uscire, e certe sere si
divertono anche nel traffico bloccato. Il carosello è compreso nella
festa, e quella dell’altra sera nessuno se l’è voluta perdere. Alle
due ci si è messa la pioggia, prima poche gocce poi fitta fitta. E loro
niente, ancora a zonzo, a guardare le vetrine dei negozi chiusi, a far
la fila per entrare alle manifestazioni culturali (tutto esaurito) o per
avvicinarsi a un buffet. Un milione e mezzo, orgogliosi di questa città
quasi fosse casa loro. Hanno resistito, non hanno perso il buonumore, la
voglia di andare a spasso e di godersi la città eterna e viva. Almeno
fino alle tre e mezzo. Quando la notte bianca è diventata nera che più
nera non si può.
Su Roma è sceso il buio, quello che nessuno aveva mai visto. Un ohhh
prolungato l’ha accolto. La magia si è rotta. Si è infranta negli
occhi spaventati di chi era accalcato nei vagoni della metro, fino a
quel momento senza fare tante storie anche se le corse erano le stesse
di una normale altra serata. Si è spezzato l’incanto in quei
cuorcontenti che aspettavano da un’ora e mezza, sotto le stelle, che
passasse uno straccio di ”55” su viale Manzoni. E hanno avuto paura
quanti erano nei cinema, nei teatri, per strada e dovevano tornare a
casa. Almeno si fosse fermata la pioggia. Almeno fossero passati autobus
e taxi. Se la ricorderanno, questa seconda parte
della notte, quanti a centinaia si sono rifugiati nelle stazioni della
metropolitana bloccata. Quanti alla fine, alle 5,30, sono arrivati,
fradici, a piedi fino a casa.
Più di mille le chiamate al 118, centinaia gli interventi di vigili del
fuoco, polizia, carabinieri, protezione civile. Dal caos allegro della
Notte bianca all’emergenza-black-out. Tenebre indimenticabili, quasi
quanto i quadri ammirati poco prima alle Scuderie del Quirinale. «Un
buio che non ti rendi conto di dove stai andando - bisbigliavano
composti, vicini vicini, i reduci della Notte bianca - e la sensazione
che non hai via d’uscita».
Un popolo invisibile si è messo in fila indiana, spalmato sotto le
pensiline e i cornicioni dei palazzi. Ogni tanto un faro della macchina
illuminava il viso di qualcuno, così chi era a fianco scopriva di non
essere solo. Le pirotecnie di Valerio Festi ammirate all’Eur erano un
ricordo lontano. Solo un barbone, vero però, sembrava abituato a questo
incubo.
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