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di GIOVANNI SGARDI
SENIGALLIA «Chi voleva male a Stefano? Nessuno, non si poteva voler
male a mio marito. La persona migliore che abbia mai incontrato. Buona,
sensibile, generosa. Dolcissima. Quando lo troveranno, l’assassino,
vorrei averlo tra le mani, se non altro per chiedergli: perchè l’hai
fatto? perchè hai ammazzato una persona che viveva soltanto per il
lavoro e la famiglia?».
Daniela parla e piange nel mondo che le ha dato tanta felicità. Felicità
spazzata via ieri mattina, quando le hanno detto che il marito Stefano
Guazzarotti, 39 anni, era stato trucidato alla guida del taxi
su cui si guadagnava la vita. Daniela, 36 anni, un lavoro saltuario ma
soprattutto mamma di Tommaso, 3 anni, che gioca con le costruzioni tutto
serio senza chiedere nulla, è abbandonata tra le braccia di una
parente, stesa sul letto del bambino. Una casa piena di giocattoli e di
foto, istantanee d’amore: lui, lei e il piccolo. Daniela che guarda
ammirata Stefano, Stefano che l’accarezza, la bacia. Tommaso che
sorride della serenità del genitori.
Tutto finito, spazzato via da tre colpi di pistola. L’azzurro degli
occhi di Daniela non s’arrende nel mare delle lacrime, ha un bagliore,
un lampo di rivolta contro un destino che non può accettare. «Voglio
che si sappia chi era Stefano, perchè non ci siano dubbi, ombre su
questo caso. Perchè si capisca il pericolo che incombe su Senigallia,
perchè non ci vadano di mezzo altri innocenti. Mio marito era una
persona tranquilla, solare. Lui, che mi diceva sempre tutto, non aveva
nessuna preoccupazione, nessun motivo d’angoscia. Non temeva di
incontrare brutti clienti, non temeva di essere rapinato perchè,
diceva, a Senigallia certe cose non succedono . Forse per l’auto
qualche paura l’aveva, anni fa un suo collega era stato derubato del taxi,
ma da qui ad essere ammazzato...».
E’ davvero una persona senza ombre, nel ricordo della moglie, Stefano
Guazzarotti: «Martedì ci siamo visti per l’ultima volta a pranzo.
Era allegro, mi ha consegnato l’incasso della mattinata. Poi, verso le
19,30, l’ultima telefonata: guarda, sono il primo della fila;
accompagno il cliente e sono a casa a cena . Era sempre puntualissimo,
prima delle 21 ho iniziato ad agitarmi. Quel ritardo non era da lui,
intuivo che gli era accaduto qualcosa. So adesso che era già morto».
Chi era Stefano, fuori dal suo taxi? «Lo vede
quel giardino, davanti alla nostra casa? I fiori, gli ortaggi, gli
alberi da frutto erano il suo unico hobby, li faceva crescere lui. Non
era uno sportivo, non frequentava bar, altri locali. Il suo mondo
eravamo noi, i parenti, io e il bambino».
Già, il bambino. Quando il discorso arriva a Tommaso, Daniela stringe
gli occhi: «Adesso siamo davvero nella tragedia, non mi chieda di più...
Per ora gioca, non fa domande. Poi chissà cosa accadrà».
E’ un dolore composto, di gemiti silenziosi e tanta dignità, quello
che si tocca nella casa del tassista, sulla Corinaldese: a sinistra
l’abitazione dei genitori, a destra quella di Stefano e Daniela
ristrutturata con gusto e un mutuo pesante, e non sono bastati i soldi
per intonacare l’esterno ancora a cemento. Il cammino di chi lavora e
guarda avanti, bruciato dalla pistola del killer. L’ultima immagine è
l’altalena rossa abbandonata nel giardino d’inverno a cui Stefano
non è potuto tornare. Tommaso la guarda col naso schiacciato sui vetri
della finestra, lo sguardo ancor più lontano. Non gli hanno detto
nulla, ma forse lassù cerca il suo papà.
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