Giovdi 11 Dicembre 2003
«Se hanno ucciso lui può toccare a chiunque»
La moglie di Stefano Guazzarotti vive un incubo: «Chi poteva voler male a uno come lui?»

di GIOVANNI SGARDI


SENIGALLIA «Chi voleva male a Stefano? Nessuno, non si poteva voler male a mio marito. La persona migliore che abbia mai incontrato. Buona, sensibile, generosa. Dolcissima. Quando lo troveranno, l’assassino, vorrei averlo tra le mani, se non altro per chiedergli: perchè l’hai fatto? perchè hai ammazzato una persona che viveva soltanto per il lavoro e la famiglia?».
Daniela parla e piange nel mondo che le ha dato tanta felicità. Felicità spazzata via ieri mattina, quando le hanno detto che il marito Stefano Guazzarotti, 39 anni, era stato trucidato alla guida del taxi su cui si guadagnava la vita. Daniela, 36 anni, un lavoro saltuario ma soprattutto mamma di Tommaso, 3 anni, che gioca con le costruzioni tutto serio senza chiedere nulla, è abbandonata tra le braccia di una parente, stesa sul letto del bambino. Una casa piena di giocattoli e di foto, istantanee d’amore: lui, lei e il piccolo. Daniela che guarda ammirata Stefano, Stefano che l’accarezza, la bacia. Tommaso che sorride della serenità del genitori.
Tutto finito, spazzato via da tre colpi di pistola. L’azzurro degli occhi di Daniela non s’arrende nel mare delle lacrime, ha un bagliore, un lampo di rivolta contro un destino che non può accettare. «Voglio che si sappia chi era Stefano, perchè non ci siano dubbi, ombre su questo caso. Perchè si capisca il pericolo che incombe su Senigallia, perchè non ci vadano di mezzo altri innocenti. Mio marito era una persona tranquilla, solare. Lui, che mi diceva sempre tutto, non aveva nessuna preoccupazione, nessun motivo d’angoscia. Non temeva di incontrare brutti clienti, non temeva di essere rapinato perchè, diceva, a Senigallia certe cose non succedono . Forse per l’auto qualche paura l’aveva, anni fa un suo collega era stato derubato del taxi, ma da qui ad essere ammazzato...».
E’ davvero una persona senza ombre, nel ricordo della moglie, Stefano Guazzarotti: «Martedì ci siamo visti per l’ultima volta a pranzo. Era allegro, mi ha consegnato l’incasso della mattinata. Poi, verso le 19,30, l’ultima telefonata: guarda, sono il primo della fila; accompagno il cliente e sono a casa a cena . Era sempre puntualissimo, prima delle 21 ho iniziato ad agitarmi. Quel ritardo non era da lui, intuivo che gli era accaduto qualcosa. So adesso che era già morto».
Chi era Stefano, fuori dal suo taxi? «Lo vede quel giardino, davanti alla nostra casa? I fiori, gli ortaggi, gli alberi da frutto erano il suo unico hobby, li faceva crescere lui. Non era uno sportivo, non frequentava bar, altri locali. Il suo mondo eravamo noi, i parenti, io e il bambino».
Già, il bambino. Quando il discorso arriva a Tommaso, Daniela stringe gli occhi: «Adesso siamo davvero nella tragedia, non mi chieda di più... Per ora gioca, non fa domande. Poi chissà cosa accadrà».
E’ un dolore composto, di gemiti silenziosi e tanta dignità, quello che si tocca nella casa del tassista, sulla Corinaldese: a sinistra l’abitazione dei genitori, a destra quella di Stefano e Daniela ristrutturata con gusto e un mutuo pesante, e non sono bastati i soldi per intonacare l’esterno ancora a cemento. Il cammino di chi lavora e guarda avanti, bruciato dalla pistola del killer. L’ultima immagine è l’altalena rossa abbandonata nel giardino d’inverno a cui Stefano non è potuto tornare. Tommaso la guarda col naso schiacciato sui vetri della finestra, lo sguardo ancor più lontano. Non gli hanno detto nulla, ma forse lassù cerca il suo papà.