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IN QUESTI giorni torridi, sono arrivato ad una conclusione, forse
banale, ma sulla veridicità della quale non ho ombra di dubbio: il
tasso di civiltà di un popolo si stabilisce "anche"
parametrando l'uso sociale dell'aria condizionata. Più un popolo usa
l'aria condizionata, più è civile.
So che sostenendo questa tesi rischio di passare per fesso. Per molti
anni sono stato un fiero nemico di quei getti di aria fredda che, quando
sei sudato, ti beccano alla schiena, o alla pancia, e ti rovinano. Per
colpa dell'aria condizionata ho avuto delle tremende periartriti. Delle
tremendissime coliche. Dei micidiali mal d'orecchio. Ma oggi, dopo un
profondo esame di coscienza, ho capito che questi disagi sono il prezzo
che si deve pagare ad una forma più alta di benessere: quello della
vita al fresco. Già, perchè la vita a ventitrè gradi, mentre
all'esterno ci sono quaranta gradi, è un salto di qualità di
proporzioni cosmiche. Nel mio ufficio, per esempio, dove c'è l'aria
condizionata, in questi giorni di afa molti impiegati arrivano
prestissimo la mattina e la sera sembra quasi che non vogliano
andarsene. La ragione è semplicissima. Siccome a casa loro non hanno
l'aria condizionata, preferiscono lavorare di più, ma stare al fresco.
Mi ha raccontato mia moglie, che frequenta il Roman Sport Center, la
palestra più moderna di Roma, dove la temperatura è sempre a ventidue
gradi tutto l'anno, che in estate le varie sale sono come via del Corso
il sabato: straboccano di gente. Molti soci nemmeno fanno ginnastica. Ma
fanno ora, fino a tarda sera, per godersi la frescura. Altro esempio
significativo è quello dei cinema. In America, in Francia, addirittura
in Spagna, il clou della stagione è proprio l'estate. Per una ragione
semplicissima: al cinema si sta da Dio perchè fa fresco. In questo, noi
italiani siamo ancora incivili visto che al cinema d'estate non ci
andiamo. Oggi, infatti, negarsi il diritto del fresco rasenta il
masochismo. Esistono ancora tassisti, vecchio stile, che si ostinano a
non usare i climatizzatori. Entri in quei taxi
e ti senti male. L'autista guida con un asciugamano intorno al collo. Ha
i finestrini aperti che sembrano dei phon. Tu sei entrato, tutto
preciso, tutto caruccio, tutto pettinato. Ma quando scendi sei come una
pizza margherita: sciolto, bollente, uno straccio d'uomo. La riprova di
tutto ciò la possiamo avere in aereo, quando l'apparecchio è ancora
fermo in pista e l'aria condizionata non è ancora in funzione.
Avvengono scene bibliche. C'è gente, disperata, che si sventola. Altri
che si tolgono anche la camicia. E se il comandante annuncia «abbiamo
qualche minuto di ritardo prima della messa in moto...» i passeggeri
insorgono e vogliono linciarlo.
Ci sono anche risvolti da commedia. Mi ha raccontato un mio amico che ha
incontrato una bella ragazza in discoteca. Lei ci stava. Il mio amico se
l’è portata a casa dove però non c’era l’aria condizionata:
sembrava una sauna di Bangkok. Lui ha fatto l'errore di offrirle un
whisky, per scioglierla un po’. Ma a sciogliersi è stato lui, perchè
l'alcol gli ha aperto delle cascate del Niagara sotto alle ascelle. Per
fortuna lei si è spogliata. Lui l’ha condotta a letto. Ma quella che
doveva essere "un'avventura" si è trasformata in “una
tortura”. Lei sudava. Lui di più. In teoria ci sarebbe stato anche da
fare del movimento. Impossibile. La pratica nun se poteva proprio fà!
È finita che sono andati in terrazza a farsi una doccia. Ironia della
sorte, c’era un vicino affacciato in finestra perché col caldo non
riusciva a dormire, il quale, vedendolo con quella bella fanciulla, gli
ha mostrato il pollice come per dire “beato te”. Invece il tapino
era andato in bianco che più in bianco non si può. Poi dice che l'aria
condizionata non serve!
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