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IL
SERIAL KILLER DI PADOVA
Profeta
confessa: «Quando uccisi ero preda del diavolo»
PADOVA
- Michele Profeta,
contro il quale è in corso un processo in Corte d’Assise, per due delitti
commessi l’anno scorso, ha confessato le proprie responsabilità («Uccisi in
preda al demonio») allo psichiatra Vittorino Andreoli. E’ una ammissione da
prendere per le molle, avvertono sia lo stesso Andreoli sia il difensore, avv.
Elena Maltarello.
Ma nella perizia depositata ieri dal professor Andreoli, Profeta, per la prima
volta, ha parlato degli omicidi di cui è stato accusato, quelli del tassista
Pierpaolo Lissandron e dell’agente immobiliare Walter Boscolo. Andreoli scrive
che il «serial-killer» padovano, in uno dei colloqui psichiatrici con lui
avuti nel carcere di Voghera, «ha fornito l’ammissione di aver commesso i
fatti, sia pur con la meraviglia di come egli abbia potuto commetterli». Per il
perito, ha ucciso in preda a un delirio maniacale di onnipotenza. E spiega: «Il
denaro è una spinta, ma si perde all’interno di un delirio. Chiese 12
miliardi al questore di Milano. Sarebbe stata la catastrofe accumulata in pochi
giorni» (il licenziamento da una agenzia immobiliare, la necessità di denaro
per mantenere due famiglie, una ignara dell’esistenza dell’altra) a portare
Profeta al delirio, «che è una risposta sistematizzata e meccanica». Se non
fosse stato arrestato, Profeta «avrebbe certamente continuato» a uccidere.
Mette i brividi questa confessione. Soprattutto l’uccisione del taxista
Lissandron (di cui non spiega la scelta, anche se la categoria era da lui
odiata: nel ’79 una cooperativa, facendogli causa, gli procurò il primo
fallimento come immobiliarista). Profeta, quel giorno, lasciò «la macchina in
una zona lontana dal centro, dove era proibito entrare a causa del controllo
dello smog», salì «su un taxi e questi era noioso, continuava a parlare..era
insopportabile». Prese la pistola e lo ammazzò. Dodici giorni dopo uccide
anche l’agente immobiliare Boscolo, «una figura professionale che si situa in
quel campo che ha rappresentato il suo lavoro e anche il suo fallimento, come se
avesse un conto da saldare».
Re.Mi.