Mercoled 6 Marzo 2002

«Amava il suo lavoro
e lo hanno ucciso»

di MARIA LOMBARDI

Achille è morto a pochi metri dalla Marea station wagon che era un po’ tutta la sua vita. Ventitré anni di taxi e chissà quante volte se l’era vista brutta, la notte che non finisce mai e non sai mai come va a finire. Ma Achille tornava a casa col sorriso, mai una parola su quant’è rischioso guidare un taxi, su quel cliente attaccabrighe o sulle minacce di quel tipo poco di buono. Tornava a casa sorridente e così lo ricorda la figlia. «Era un uomo solare, un amicone, entusiasta del suo lavoro», si commuove Raffaella, che ha 26 anni. «No, non si lamentava nemmeno dei soldi. Diceva che era bello il suo lavoro perché stava sempre a contatto con la gente». Ma è andata com’è andata, un cliente disonesto e il cuore l’hanno tradito. E adesso Raffaella accusa: «Lo hanno ucciso, è stato un assassinio». E questo, in fondo, pensano un po’ tutti i tassisti: è capitato a lui, poteva capitare a ciascuno di noi di morire nella notte inseguendo pochi euro.
Nella casa di via Coriolano, all’Appio, c’è un viavai di colleghi. Salgono su ad abbracciare le due figlie, Raffaella e Sabrina, di 29 anni, e la moglie Rossella. Il papà non voleva che seguissero la sua strada. «Mi aveva detto: se vuoi prendi la patente, ma non fare questo lavoro - continua Raffaella - E’ già rischioso per un uomo, figuriamoci per una donna. Sapeva i rischi che correva, anche se non ce ne parlava, e non si sentiva tutelato».
Achille, 57 anni, originario di Montefalco, in provincia di Perugia, lavorava per la cooperativa 3570 dal 10 dicembre del 1979. «Era un mio stretto collaboratore - ricorda il presidente Loreno Bittarelli - s’occupava tra l’altro della promozione delle nostre attività nella zona dell’Appio Tuscolano. Ci univa il lavoro e anche la stessa origine, era del mio paese». Bittarelli non riesce a farsene una ragione. «Mi sembra strano: Achille era un uomo tranquillo, non era un tipo da mettersi a correre dietro un cliente che non paga». Ma questo è quel che raccontano i testimoni. «La verità è che il nostro è un mestieraccio poco considerato: chi si lamenta perché la corsa è troppo cara o perché c’è da pagare il supplemento notturno non considera che noi, al volante, mettiamo a repentaglio la nostra esistenza. Non voglio dire che siamo degli eroi della strada, ma perlomeno meritiamo rispetto».
Bittarelli calcola che durante ogni turno di notte di 7 giorni capitano in media due, tre rogne: il cliente che non paga, e questo è niente, quello che sale con l’intenzione di derubare il tassista, quello che minaccia con la pistola e si porta via la macchina. «Episodi che non vengono quasi mai denunciati - aggiunge il presidente del 3570 - non serve a niente ed è solo tempo che si perde. Aggredirci è un gioco da ragazzi». E poi, per cosa? Centoventicinque, centocinquanta euro, quando va bene.
Le aggressioni? «Sono ordinaria amministrazione - dice Davide Bologna della cooperativa Pronto taxi 6645 - qualche settimana fa, un cliente mi ha puntato una pistola: sono rimasto immobile e gli ho dato ragione, non ho avuto nemmeno il coraggio di alzare gli occhi. Ma mica possiamo fare la lastra alle persone che salgono, dobbiamo prendere tutti e che Dio ce la mandi buona».
Carlo Bologna, fratello di Davide e presidente dell'Ait, l'organizzazione sindacale autonoma dei tassisti, dice che se Achille avesse raggiunto il guadagno della giornata di certo non sarebbe corso dietro a un cliente per avere 5 o 10 euro. «Questa morte è la conseguenza di un lavoro usurante fatto in una città caotica, senza alcuna certezrza».

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