Marted 2 Aprile 2002

«Dopo l’alt non ho capito più nulla»
Lamberto Crescentini vuole dimenticare il terribile agguato

di ALDO MENCARELLI

FOLIGNO
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Sorride e abbraccia tutti quelli che vanno a salutarlo, a stringergli la mano. Come quando usciva in bicicletta sulle strade del suo quartiere. Lamberto Crescentini, il poliziotto preso di mira dai quattro malviventi del taxi sul raccordo di Bettole, porta il segno della sua terribile avventura nella fasciatura della parte sinistra del collo e in quel filo di voce che gli è rimasto. «Ha piccole ferite sulle corde vocali -spiega sua moglie- non dovrebbe parlare, dovrebbe aspettare che si rimarginano». Lamberto è felice, felice d’averla scampata. Ma non ama parlare di quei momenti: «Voglio dimenticare tutto, non voglio più ricordare nulla di quel giorno», dice con il suo filo di voce. Chiedergli qualcosa è persino imbarazzante. Ma lui continua: «Ero su quella scarpata in un lago di sangue, annaspavo, credevo di essere già morto...».
Davanti a lui, sul tavolo della sala da pranzo, c’è un grosso blocco per appunti e una bic. Lamberto lo sfoglia fino ad una pagina bianca. E scrive: «Ringraziate tutti quelli che mi hanno aiutato». E il pensiero va ai medici del Silvestrini, ai suoi compagni di lavoro, a tutti gli sconosciuti colleghi che da ogni parte d’Italia gli hanno spedito un telegramma, a tutta la gente comune che gli è stata vicina. «Non me lo aspettavo», dice. «Ringraziate tutti, fatelo a nome mio».
Ma è inevitabile tornare a quella mattina. Era un giorno normale, come tanti altri. Anche quel taxi a folle velocità su quella strada pericolosa e molto trafficata era normale. Il gesto dell’alt è stato automatico, scontato, normale. Ma da lì in avanti è stata tutta una follia. Una incredibile follia. «Non ho nemmeno capito che stavano sparando, non me ne sono reso conto ma è stata una vera e propria pioggia di proiettili. Un attimo e l’auto che è finita nella scarpata e io che sono rotolato fuori. Credevo di essere morto... E poi tutto quel sangue sparso a terra...». Poi il pensiero va a Luca, il suo compagno di pattuglia, e gli occhi si abbassano su quel blocco per appunti, la mano prende la penna e su quel foglio bianco scrive: era come un figlio per me...
Sua moglie racconta che Lamberto ha saputo della morte di quel ragazzo soltanto dopo qualche giorno. «Erano molto legati -dice- dirglielo subito gli avrebbe fatto troppo male». Non gli hanno nemmeno fatto vedere i giornali e la televisione. Soltanto adesso Lamberto sa esattamente quello che è successo. E il dolore per Luca che non c’è più è mitigato soltanto un po’ dal fatto che tre dei quattro che erano in quel taxi sono stati presi.
Adesso? «Non ho progetti, non penso che a guarire definitivamente». Ma poi si lascia scappare che il pensiero di chiudere con questa vita lo ha avuto. Il pericolo non è un mestiere.

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