di GIACOMO A. DENTE
UNA SERA a cena, un po’ di amici. Uno dei riti più tranquilli e più diffusi,
che sia l’Italietta pop o quella dei vip a recitarlo. James Dean abita da
un’altra parte. E anche i rockettari estremi, quelli delle notti brave
romagnole e della disco sparata a mille, prima delle albe sconsiderate sulle
strade a cento all’ora. La scena è molto più casereccia. Zoomando su gli
amici a cena non si va al di là di uno spaghetto alle vongole, una grigliata di
pesce, un fritto di calamari e gamberi prima di finire col dolce e col caffè.
L’acqua minerale cammina veloce - col caldo, ci mancherebbe altro - e anche il
vino bianco, ma niente di trascendentale, giusto qualche bicchiere. Qualcuno
chiede anche una grappa, poi tutti in auto verso casa. Anzi, no. Contrordine.
Perché, con le norme del nuovo codice della strada, i limiti del bere sicuro
diventano rigorosissimi. Un nulla ed è cartellino rosso. Per chi vuole sgarrare
non resta che la misericordia dell’amico astemio, il taxi, il treno, la
corriera, tutto meno che mettersi alla guida col bicchiere di Chianti o di
Sauvignon di troppo.
Di fronte alle stragi del sabato sera come non essere d’accordo col nuovo
proibizionismo preventivo? Né si può pretendere che la legge si metta a far
sociologia andando a cercare il distinguo tra il forsennato con il Tequila bum
bum facile al rave party e il padre di famiglia che si è bevuto un quartino di
Cerasuolo d’Abruzzo. Tant’è bisogna misurarsi col nuovo e mettere in conto
alcuni mai più. Primo fra tutti quello del pranzo spensierato senza far troppo
caso al vino. Da ora in poi, a meno di essere soli e quindi condannati a un
regime di assoluta attenzione e rinuncia, il nuovo galateo suggerisce di munirsi
di uno stock di pagliuzze. Chi tira la più corta va ad acqua e così si
sobbarca l’onere di riaccompagnare in auto il resto della brigata, quasi si
trattasse di un reggimento di disertori cosacchi obnubilati dalla vodka. In
molti paesi stranieri funziona già così. Ma da noi la cosa ha ancora l’aria
di una bizzarria. Anche perché sembrava in parte scomparsa dalle nostre città
la figura dell’ubriaco. L’andatura caracollante, l’eloquio svampito
sembravano abitare più che altro nelle barzellette.
E invece i dati raccontano di un Paese reale che, nella risposta effimera e
dolorosa del bicchiere di troppo, cerca il rimedio al suo male di esistere, o la
panacea alle inquietudini della difficile condizione giovanile. La scienza
medica dà una misura precisa al legislatore: le colonne d’Ercole tra la
sobrietà virtuosa e il pericolo di nuocere a sé stessi e agli altri sono
chiare. Si potrà correre a 150 all’ora sulle autostrade, ma occhio a non
eccedere col Frascati, perché lì - secondo la stima di pericolosità stabilita
dal legislatore - abita la lusinga insidiosa di Bacco, che non a caso gli
antichi chiamavano anche Libero, un Dio che scioglie i freni e precipita nel
disordine della vita e dei sensi. Peccato. Anche perché la norma penalizza
involontariamente lo sviluppo di un fenomeno intelligente e poco pericoloso, ben
distante dalle frenesie discotecare. La crescita della gastronomia italiana ha
stimolato infatti tutto un turismo del vino che, insieme al museo, alla
cattedrale, alle meraviglie del paesaggio, aveva imparato ad appropriarsi della
cultura materiale di un borgo o di una regione anche attraverso il ristorante
dello chef creativo o la cantina intelligente. Pazienza. Crisi idrica
permettendo, ci consoleremo con l’acqua.