Ad accusarlo è un testimone. Uno che abita dalle sue parti ed è sicuro che la sera del 14 ottobre Stefano Pazienza, l’operaio arrestato con l’accusa di aver commesso due delle sei rapine a tassisti di mezza Italia, lo superò guidando proprio il taxi rapinato a S.Elia dopo essere partito da Firenze.
Lui nega tutto e ha fornito un alibi che però, secondo i carabinieri, presenta vistosi buchi. Pazienza, interrogato ieri dal giudice delle indagini preliminari, avrebbe detto che quel giorno terminò di lavorare a Roma intorno alle due e poi salì su un pullman del Cotral partito dalla capitale scendendo alla fermata davanti alla Standa di Rieti. Qui la moglie lo prelevò per riportarlo nella casa di S.Elia.
Per i carabinieri invece, Pazienza sarebbe partito con un treno dalla stazione Termini per arrivare a quella di S.Maria Novella poco dopo le quattro.
Quindi, sempre secondo la ricostruzione, sarebbe salito sul taxi che avrebbe impiegato nemmeno tre ore a raggiungere la zona di S.Elia dove il tassista fu rapinato. Successivamente il presunto rapinatore si sarebbe diretto alla guida della vettura verso Ponte Buita, sulla Salaria, seguendo un percorso interno. Lì avrebbe lasciato l’auto poi ritrovata dai carabinieri e sarebbe salito sul mezzo per tornare a Rieti.
Gli investigatori, sommando il riconoscimento fotografico da parte del tassista nonchè le testimonianze dell’autista del pullman e dell’uomo che afferma di averlo incontrato proprio a bordo del taxi rapinato, ritengono di non avere dubbi. Pazienza invece nega e il suo avvocato, Michele Balacco, ha chiesto di spostare la data dell’incidente probatorio per poter presentare una memoria difensiva. L’atto istruttorio è stato chiesto dal pm Ferrante che vuole acquisire subito una prova processuale attraverso le deposizioni dei testi, un atto non più ripetibile. L’inchiesta vede anche un’altra persona indagata per le rapine. Per i carabinieri ad agire non era uno solo, ma
più persone.
M.Cav.