dal nostro inviato
CARLO SANTI
FIRENZE - Giorgio Calcaterra tira un pugno al cielo basso e pieno di nuvole. Se avesse una scala salirebbe sul tetto di questa città meravigliosa per gridare la sua gioia. Non ha vinto, il ventottenne tassista romano innamorato come pochi della corsa, ma il suo sesto posto con 2h18:34 nella maratona di Firenze è bello come un successo. E’ stata, quella di ieri, la sua diciottesima corsa sui 42 chilometri del 2000, la quattordicesima nella quale ha ottenuto una prestazione inferiore alle 2h20. E non è finita. «Domenica vado a Milano - ha spiegato Calcaterra - il 10 dicembre sarò a Latina e l’ultimo giorno dell’anno ad Assisi».
Calcaterra in festa mentre Angelo Carosi ha trovato il sorriso dei giusti a Firenze, ha attaccato il keniano Philip Malakwen proprio nel finale, subito dopo Ponte Vecchio, splendido e splendente in una giornata d’autunno sotto la pioggia (fastidiosa per chi corre), e ha coronato con la vittoria in 2h14:11 la sua prima maratona. «Non credevo più di poter vincere - ha osservato l’atleta allenato da Massimo Magnani in forza alla Forestale - perché avevo uno svantaggio considerevole. Quando nel tratto conclusivo ho visto il keniano vicino, ci ho dato dentro». In volata (5’’ lo hanno diviso da Malakwen) Carosi ha trovato la sua gioia. «La crisi del maratoneta? La aspettavo,
ma non è arrivata. Ho corso tranquillo». Addio siepi per Angelo: a 36 anni si apre una nuova fase della sua carriera. «La prestazione di ieri poteva essere inferiore se non ci fosse stato un tempo così brutto: il prossimo aprile vedrò di fare meglio». In realtà, all’interno delle Cascine, tra le foglie secche in terra, il fango e le pozzanghere, sembrava un cross e non una maratona. Italiano il vincitore, italiana la prima ragazza, Tiziana Alagia, torinese allenata dal professor Renato Canova, che ha tagliato il traguardo in 2h32:18, primato della gara.
Dicevamo di Calcaterra, dell’instancabile tassista che corre divertendosi, senza impressionarsi per le tante maratone fatte. Dicono troppe, e lui non ci sta, scherza su questo appunto. «Dipende da come la prendi. Fatica? No no, se fosse così avrei già lasciato. Per me, maratona è sinonimo di divertimento. Corro e giro il mondo, e questo è già importante». Ne ha fatte, nel 2000, già diciotto di corse lunghe 42 chilometri e 195 metri: sarebbero 19 se si tenesse conto di quella dello scorso 31 dicembre ad Assisi con la replica, la mattina dopo, a Roma, alla Maratona del Millennio. Per quattordici volte Giorgio ha corso in meno di 2h20, ma questo dato statistico non lo
scuote. «Ieri non sapevo neppure i tempi di passaggio: mi si è fermato il cronometro e allora mi sono rilassato. Piuttosto, il problema è stato il freddo, che all’inizio ho patito». Lo segue sempre la fidanzata, Carla Villani, maratoneta anche lei, che ieri a Firenze ha corso per trenta chilometri preferendo poi fermarsi.
Era marzo quando a Vigarano Mainarda, provincia di Ferrara, Calcaterra ha fissato il suo primato personale a 2h13:15, ottavo tempo di un italiano in questa stagione. Altri, al posto suo, avrebbero pensato a finalizzare allenamenti e gare per raggiungere altre e più importanti vette. Lui no, lui ha preferito continuare a cercare le sue sensazioni, a divertirsi portando in giro la maglietta dell’Atletica Villa Aurelia, il suo club. Se avesse fatto il contrario, sarebbe diventato un corridore infelice. «E’ tanto bello così... Magari tra un paio d’anni farò certi discorsi, penserò al cronometro. Adesso, lasciatemi divertire. E poi due stagioni fa avevo 2h17 e adesso sono
sceso a 2h13. Chissà cosa accadrà nel 2001».
Una passione nata una ventina d’anni fa, a Roma, proprio nel giorno della prima Romaratona, il 14 marzo 1982, quella vinta da Emiel Puttemans in 2h09:53 e più corta di un centinaio di metri. «C’era una garetta di 14 chilometri - ricorda Giorgio - e la feci. Poi mio padre mi iscriveva a tutte le corse e a scuola c’erano i cross». L’amore per la maratona è nato più avanti, nel 1998. «Un amico mi ha detto provaci. Avevo paura, ho cominciato e ho visto che non era poi così stressante come mi dicevano». Gli è piaciuta subito la gara della fatica e subito Giorgio è diventato uno stakanovista. «Negli ultimi quattro mesi del ’98 ne ho corse quattro mentre l’anno
scorso sono arrivato a diciassette».
Il lavoro non turba questo ragazzo romano che vive al Gianicolense, a due passi da villa Pamphili, il suo quartier generale per gli allenamenti (per la pista c’è lo stadio delle Terme), prigioniero del divertimento atletico in contrapposizione agli allenatori fanatici delle tabelle. Guida il suo taxi sette ore al giorno, nel traffico non scorrevole di Roma. «Ma neppure questo è un lavoro faticoso - dice Giorgio - Stressante? Solo mentalmente. Devi stare attento, ma sono abituato. E calmo». Corre dieci volte la settimana, lo fa prima di timbrare il cartellino e subito dopo. «Il tempo non mi manca». Corre e non si ispira a nessuno. «Scelgo tutto da me e non penso mai ai
grandi campioni, a imitarli. Lo sport? Preferisco farlo io, non guardarlo, neppure il calcio che tutti osannano».