di BEATRICE PICCHI
Gli amici erano stati i primi a metterlo in guardia: il tassista che bel lavoro, per carità, non è mica come stare dietro una scrivania, conosci un sacco di gente, bella, simpatica, ma anche quella balorda, quella che ti punta un coltello al collo mentre stai guidando. Lui li ascoltava, esagerano, pensava... Invece, sei mesi dopo aver preso la licenza da tassista e con la sua Alfasud nuova di zecca, sigla "Lucca 3", Luciano Tinaburri, 33 anni, ha provato sulla sua pelle i rischi del mestiere: in dieci anni di turni, in quartieri dove spesso fanno fatica a entrare anche le forze dell’ordine, Luciano è stato picchiato e rapinato due volte, una terza se l’è cavata
con l’aiuto dei colleghi. Se lo ricorda come fosse ieri il giorno in cui un giovane gli puntò la pistola alle costole, «la teneva nascosta sotto un giornale», dice. Il ragazzo sale davanti, spenge la radio e tira fuori la pistola: «Zitto, portami a Settebagni e dammi tutti i soldi». Luciano obbedisce, non può fare altro. Ma quando lo minaccia di lasciargli la macchina lui reagisce: «E lui comincia a picchiarmi sulla testa, sulla schiena. Apro la portiera e scappo, cado per terra e corro, corro, corro. Fermo una macchina di agenti di custodia che lanciano l’allarme, poi i vigili urbani».
Da quel giorno Luciano fece una promessa a se stesso e alla sua fidanzata, (diventata moglie quattro anni fa): «Giuro che se mi ricapita una cosa del genere mollo tutto e cambio mestiere». Se avesse mantenuto la promessa oggi Luciano non dovrebbe più guidare la sua Nissan Primera bianca, con la cooperativa 3570. Perché è stato picchiato e rapinato un’altra volta.
Ma lo sa che alcuni suoi colleghi hanno con un coltello, una pistola? «Mi sembrerebbe di andare in guerra...» E così due mesi fa Luciano Tinaburri è tornato in ospedale per una ferita sulla testa, tre punti. Stava finendo il turno di notte, quello che va dalle 22 alle sette di mattina. Lo chiamano per una corsa dalla Tuscolana. «Il regolamento ci vieta di rifiutare le corse - dice il tassista - ma chi l’ha scritto non è mai stato per la strada di notte. Perché quella mattina sul marciapiede mi aspettavano in due: uno ubriaco e l’altro che lo sorreggeva. Li porto in via Macerata, dove scende solo quello che si regge in piedi. Il mio amico portalo a via Fanfulla da
Lodi, mi dice, poi ti paga lui. Macchè, l’ubriaco esce dal taxi senza darmi una lira e il tassametro segnava trentamila lire. Quando gli chiedo i soldi lui mi tira un pugno sul naso. E poi calci, cazzotti sulla testa. Usciamo dall’auto e ci rotoliamo per terra, lui afferra un mattone e mi colpisce. Poi si scatena contro la mia macchina, rompe il parabrezza e un finestrino, chiedo aiuto e un passante chiama la polizia». Ma non aveva detto che cambiava mestiere? «Non ce la faccio. Eppoi spesso, nel momento del pericolo, arrivano i rinforzi». Come quella volta che via radio, usando frasi in codice, chiese aiuto ai colleghi che stavano dalle sue parti. Quando, a fine
corsa dalle parti della Portuense, all’una di notte, il cliente provò a scendere dall’auto senza pagare (erano circa quarantamila lire) si trovò accanto altri quattro tassisti. Eppure la corsa di "Lucca 3" continua, insieme al popolo della notte, colorato e trasgressivo, triste e dimenticato. E allora Luciano ti racconta di quei barboni che chiedono di essere accompagnati alla mensa più vicina: «Piove, ti prego ho le scarpe rotte, però non ho da pagarti». Della prostituta che si cambia d’abito sul sedile posteriore, entra in pantalone ed esce con l’impermeabile chiuso e basta e avverte il guidatore: «Però non guardare eh?!», del ragazzino che tenta di
scroccare una corsa, «poi salgo in casa e prendo i soldi».