Martedi 7 Dicembre 1999

Al Noir in festival ”Al di là della vita”
Cage sull’ambulanza
per Scorsese, viaggio
al termine della notte

dal nostro inviato

FABIO FERZETTI

COURMAYEUR - Taxi Driver sale sul Golgota. Solo che non guida più un taxi, guida un'ambulanza. E non è mosso dall'odio, bensì da una cristianissima pietà. Ma cosa se ne fa della pietà un paramedico che ogni notte raccatta casi disperati sui marciapiedi della famigerata "Hell's Kitchen", una delle zone peggiori di New York?
Il nuovo film di Martin Scorsese, Al di là della vita, in originale Bringing Out the Dead, sembra nato per suscitare malintesi. Scorsese e Paul Schrader, che lo ha scritto, lo accostano al loro film più famoso, appunto Taxi Driver. Ma è un paragone fuorviante, che forse serve solo a tenere lontano il fantasma de L'ultima tentazione di Cristo, loro ultima collaborazione. Perché il viaggio al termine della notte del paramedico Nicolas Cage nasconde una parabola cristologica, con le sue allusioni ben in vista per chi sa vederle: ma guai a dirlo. E fortuna che a fare un po' di chiarezza qui al Noir in Festival c'era Joe Connelly, l'autore del romanzo da cui è tratto il film (Pronto soccorso, Marco Tropea editore).
Trentasei anni, di ceppo irlandese, dieci anni sulle ambulanze (e da ragazzo voleva farsi prete), Connelly non nasconde il sottotesto religioso del suo lavoro. Scorsese invece preme sul pedale della "black comedy". Ma strozza la risata in gola allo spettatore zigzagando fra il brivido e l'assurdo mentre l'ambulanza di Nicolas Cage corre nella notte a velocità demente. Scorrono le strade di New York con le puttane incinte, i drogati, gli spacciatori feriti a morte, gli ubriachi così abituali che fanno solo perder tempo. Ma sarà l'inferno o la sua parodia?
Sull'asfalto come al pronto soccorso, il raccapriccio sfuma in ridicolo, l'atroce si fa surreale. Intanto Cage lavora, beve, non dorme, delira. Il ricordo di una vagabonda che non riuscì a salvare lo perseguita e gli dà le visioni. I suoi compagni di lavoro (John Goodman, Tom Sizemore e un grandissimo Ving Rhames) sembrano anche più schizzati di lui. Unica speranza, la figlia di un infartuato sospeso tra la vita e la morte, un'ex-drogata di nome Maria (Patricia Arquette, incolore, anello debole del film). Qui il disegno si fa esplicito, e quando un pusher in fuga resta trapassato dalla lancia di una ringhiera, sequenza peraltro bellissima e visionaria, ci si scopre perplessi. Ammirati per lo stile, il coraggio, la frenesia. Ma anche sconcertati da questa doccia scozzese di emozioni. Alla fine Cage sceglie la pietà - una pietà che farà discutere - dando la morte all'infartuato tenuto in vita a forza. Chissà, forse il sole sorgerà ancora su New York: città-simbolo, città "invisibile" per dirla con Italo Calvino, un cui libro appare a casa di Cage. Come voleva Scorsese, racconta il suo fedele scenografo Dante Ferretti.