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"La figura del Sensei" di Carlo Sappino
categoria: dojo




LA FIGURA DEL SENSEI




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l'autore:
Carlo Sappino,
6o dan di iaido,
4o dan di kendo




Tradotto letteralmente il termine Sensei significa "persona nata prima", non quindi un semplice insegnante di una disciplina, ma anche un individuo dotato di autorevolezza ed esperienza, un vero e proprio Maestro di vita.

Nella pratica delle discipline giapponesi, dalle arti marziali alla cerimonia del tè, dall'ikebana al gioco del go, l'insegnamento e l'apprendimento delle forme tradizionali si basano sul rapporto Maestro-allievo. Rapporto che affonda le sue radici nelle più profonde tradizioni culturali, in quell'amalgama di dottrine filosofiche e sociali che nella società nipponica scaturirono principalmente dal buddhismo, dal taoismo e dal confucianesimo.

Il Maestro, o meglio il Sensei, ha sempre avuto un ruolo di estremo rilievo nella società giapponese, soprattutto se Maestro di arti marziali ed, in particolare, se Maestro di spada. La qual cosa non dovrebbe suscitare stupore se si pensasse al ruolo vitale che il Sensei, quale maestro d'armi, ebbe nella preparazione ed addestramento dei samurai alla battaglia ed alla protezione del proprio signore. Non a caso, come noto, il termine stesso samurai ha il significato di "colui che serve".

I Daimyo, vassalli dello Shogun, in proporzione alla grandezza e ricchezza del proprio feudo, armavano e mantenevano un certo numero di samurai il cui addestramento si rivelava spesso vitale sul campo di battaglia e quindi fondamentale per le sorti dello stesso Daimyo. Non è un caso che proprio nel periodo Sengoku Jidai (periodo degli stati belligeranti, 1467-1603) si assisté ad una proliferazione di scuole di spada, ciascuna riconducibile ad una particolare nobile famiglia. I Daimyo cercavano di avere al proprio servizio i migliori e più quotati maestri del momento stipulando con loro contratti vincolanti, esclusivi e molto remunerativi.

Questi maestri spesso non si limitavano ad insegnare e magari a migliorare lo stile nel quale si erano formati, ma sovente ne derivavano uno nuovo che ritenevano, ovviamente, più efficace. Si assistette così al fiorire di centinaia di scuole che spesso, allo studio della spada, abbinavano anche la pratica di altre armi e lo studio di tecniche di lotta.

Con la presa del potere shogunale da parte del clan Tokugawa, il Paese conobbe due secoli e mezzo di pace, ma ciò nonostante l'addestramento dei samurai rimase un punto fermo nella vita dei clan. Inoltre, fiorì una letteratura mirata proprio alla casta militare nella quale la vita del samurai veniva regolamentata da stringenti regole etico-morali.

Nonostante le sue origini risalgano al periodo Kamakura (1185-1333) è in era Tokugawa (1603-1867) che le regole dettate dal Bushido, la Via del guerriero, assunsero una forma definitiva tanto da venire citate per la prima volta nel Koyo Gunkan (1616), il libro delle gesta militari del clan Takeda. Successivamente le regole del Bushido vennero riportate, con poche variazioni, nei codici delle singole famiglie samurai. La più nota raccolta di regole fu quella dettata dal monaco samurai Yamamoto Tsunetomo (1659-1719) pubblicate successivamente in epoca Meiji nell'Hagakure (1906).

Con la restaurazione Meiji, il potere passò dallo Shogun all'Imperatore con un forte ridimensionamento delle prerogative della casta dei samurai, basti pensare all'emanazione di leggi che vietavano loro l'esercizio della giustizia sommaria e conseguentemente di portare le spade. In questo quadro di modernizzazione sia economico-industriale che sociale, in molte scuole di spada persero via via importanza e preminenza gli aspetti più utilitaristici, esplicati in tecniche volte all'eliminazione dell'avversario, in favore di una diversa visione della disciplina marziale da interpretare come un mezzo per il miglioramento del sé, come Via per una personale evoluzione: un modo per auto-disciplinare se stessi, il proprio corpo e la propria mente, e percorrere appunto "la Via" per migliorarsi e crescere come persone insieme agli altri praticanti con i quali si studia l'Arte. Sotto la guida dei maestri più illuminati, kenjutsu e iaijutsu pian piano assunsero connotati diversi trasformandosi in kendo e iaido.

In un paese radicalmente rinnovato, dove, almeno sulla carta, le caste perdevano i loro confini invalicabili, dove molte famiglie samurai riversavano in ambito produttivo i loro ideali, lo studio della spada continuò ad essere tenuto nella massima considerazione e le porte dei dojo furono aperte a tutte le classi sociali.

Non era raro che un genitore affidasse un proprio figlio, anche molto giovane, ad un Maestro affinché lo istruisse e lo formasse nell'arte della spada, o che giovani anche in età preadolescenziale venissero ammessi in una scuola come allievi di un Maestro - vedi articolo: Muso Shinden - Nakayama Hakudo.

Spesso il Maestro si faceva carico dell'allievo sostituendosi addirittura alla figura del padre, e non sono stati neanche rari i casi di adozione di un allievo da parte del Maestro. Occorre quindi capire che il Sensei non era semplicemente colui che ti insegnava una determinata disciplina, ma che con l'insegnamento e l'esempio formava, sul piano etico-morale e sul piano culturale, indirizzando gli allievi negli studi. La devozione dell'allievo era quindi totale ed incrollabile.

Nel Giappone contemporaneo molti di questi aspetti di reciproco impegno tra Maestro e allievo hanno ancora un riscontro soprattutto in quelle discipline più tradizionali come quelle della spada. Forse, ha maggiore rilevanza l'aspetto dalla libera scelta reciproca: l'allievo sceglie il Maestro, il Maestro sceglie l'allievo, senza più vincoli di clan o famiglia. Resta forte la consapevolezza dei doveri del Maestro nei confronti dell'allievo; egli si assume anche la responsabilità dei suoi eventuali fallimenti e da essi cerca di proteggerlo, e dei doveri che l'allievo si assume nei confronti del Maestro, garantendo il proprio impegno nel totale rispetto degli insegnamenti ricevuti in un rapporto fiduciario che non ammette eccezioni.

Resta fermo il principio che si tratti di un legame che dura tutta la vita e che si perpetua anche quando l'allievo, magari superando il proprio Maestro, venga indirizzato verso altri Sensei per proseguire il suo cammino.

Purtroppo, in occidente pochi conoscono ed hanno compreso la complessità di questo rapporto, e pochi usano a proposito la parola Maestro o Sensei. Troppi ritengono che indossare una cintura nera, anche di alto grado, o guidare la pratica in un dojo, valga il titolo di Sensei, ma non è così, c'è molto ma molto di più.



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