Lorenzo De Feo – meglio conosciuto col nomignolo di Laurenziellonacque a Santo Stefano del Sole, da Giuseppe De Feo e Maria Romano, il 25 giugno 1777. Figlio di pastori e lui stesso pastore, mentre era con le sue pecore al pascolo ingannava il tempo con il suono della zampogna. Per sua sfortuna, una malattia contagiosa attaccò le sue pecore che morirono tutte, e perciò con la sua famiglia fu lasciato sul lastrico. Per sbarcare il lunario s’inventò taglialegna, ma quando fu chiamato dal Marchese di Santa Lucia di Serino a servirlo come uno dei sgherani, detti volgarmente miliziotti, non si tirò indietro. Fece gavetta ed in breve divenne il Capo. La sua era un banda di oltre 60 briganti a cavallo, addestrati a saccheggi, imboscate, omicidi, stupri, violenze di ogni genere: spogliarono mercanti e semplici viandanti di ogni loro avere, a Piano di Montoro uccisero in pieno giorno il sacerdote Ippolisto Cocchia, ammazzarono tre ricchi carbonari di Mugnano nel bosco di Monteforte. Per conto del Barone di Marchiafava, sequestrò cinque soldati doganali, mozzò prima un dito a ciascuno di essi, e poi, dopo averli ben legati, li gettò su una catasta di legna, bruciandoli vivi!

Sazio di tante stragi in Campania, Laurenziello si recò in Puglia, sia per sfuggire alla caccia che gli davano le truppe di Re Gioacchino Murat, sia perché la supponeva un campo più proprizio per le sue gesta.

Ritornato a Santo Stefano, si presentò per le strade del paese con atteggiamneto spavaldo, per cui gli abitanti restarono ragionevolmente terrorizzati. Il 3 Agosto 1809 avvenne la strage di Santo Stefano. In quel giorno festivo, nelle ore pomeridiane, mentre il popolo si allietava ascoltando le soavi note della musica, improvvisamente si udirono dalle parti di Capocasale alcuni colpi di carabina. I primi a cadere sotto i colpi furono una mamma col suo bambino poppante, il sindaco Ciriaco De Feo ed  un sacerdote di Aiello del Sabato, che si trovava lì di passaggio. In tutto, solo in quel giorno, i morti furono più di 30, innumerevoli i feriti. Ogni famiglia di Santo Stefano contò le sue vittime. L’infausto giorno 3 agosto 1809 sarà ricordato come il più sanguinario della storia del paese.

Il sacerdote Pasquale Cocchia scrisse al riguardo la seguente poesia:

 

Un giorno ch’era festa al suo paese

con tripudio di suoni e lieti canti,

dalla montagna rapido discese

Laurenziello con tutti i suoi briganti,

e, pervenuto dentro al villaggio,

opera egli fece di barbaro selvaggio!

Dei cittadini la devota festa

in lutto convertì lo scellerato,

chè di colpi mortali una tempesta

incominciò per tutto l’abitato.

Ritrarre in carta ed adeguar parlando

chi può quello spettacolo nefando?

San Stefano di stragi era già pieno,

vedevansi in mucchi tanti corpi avvolti,

là feriti sui morti, e qui giaceano

sotto morti insepolti egri sepolti…

Cessato pascia il miserando scempio,

sazio sul monte ritornò quell’empio.

 

Ma la storia di Laurenziello in breve tempo, per circostanze avverse, iniziò ad avere una fase discendente. Alcuni dei suoi briganti furono uccisi nei conflitti con le regie truppe. Lo stesso Laurenziello fu costretto a rifugiarsi in un paesello di Terra di Lavoro, dove, di lì a poco, fu catturato e processato, insieme a suo fratello ed altri tre briganti. Il 10 febbraio 1813 avvenne l’esecuzione in Piazza Libertà ad Avellino. Laurenziello fu l’ultimo ad essere impiccato, chiese da bere ma non fu ascoltato. Il trapasso fu veloce, un grido acutissimo e selvaggio del capobrigante produsse nella folla immensa uno strano terrore. Tutti i presenti, come impazziti, si diedero alla fuga cercando salvezza.

Il suo corpo fu lasciato in piazza per dodici ore, quindi gli fu reciso il capo che fu poi chiuso in una gabbia ed esposto in cima ad un lungo palo a Porta di Puglia. Un mulattiere, più volte derubato, si trovò a passare di là e scuotendo il palo apostrofò il teschio: “Oh Laurenziello! Laurenziello! Quante me n’hai fatte passare?!“ La gabbia si staccò e piombò sulla testa del mulattiere, fracassandogli il cranio! L’infelice cadde a terra e spirò.

Questo fatto, sicuramente di natura fortuita, accrebbe la triste fama di Laurenziello, per cui è rimasto il detto: << Laurenziello pure ‘roppo muorto facivo ‘natu ‘micidio (anche dopo essere morto commise un altro omicidio) >>.

E così venne la fine di Laurenziello: morì a 36 anni, con centinaia di omicidi sulle spalle…