Le Virtù

 

Il miracolo maggiore

Se volessi riportare tutti gli episodi attraverso i quali si rileva la potenza taumaturgica del nostro Santo e che sono registrati nei Processi Canonici, ne verrebbe fuori un grosso volume ma fermiamoci qui, e pensiamo piuttosto che il miracolo maggiore è lui!
Si, il miracolo più grande, il prodigio più strepitoso rimane sempre lui, l’umile cercatore, Fra Egidio, con la sua lunga vita di operosità e di virtù.
E miracolo grande è la sua

Umiltà

Acclamato per le strade e le piazze come Santo, egli che si riteneva l’ultimo dei viventi, andava ripetendo al alta voce e infastidito: “Che Santo e Santo! I Santi sono in Chiesa: io sono peggiore di voi, sono un miserabile peccatore. Andate in Chiesa a raccomandarvi a Gesù Cristo e a Maria Santissima.
Così testualmente deponeva nei Processi Fra Michele di S. Vincenzo, confratello e contemporaneo del Beato a pag. 128, par. 23. E a chi gli chiedeva miracoli rispondeva: “Come siete voi, sono io. Pregate Gesù Cristo”.
Quando, per la strada la folla gli correva dietro e gli tagliuzzava l’abito per devozione, soleva spesso dire così agli esuberanti devoti: “Di questa pezza che hai tagliato, che ne fai? Ti serve per pulizzare le scarpe!”.
E poiché la Comunità era costretta a rifargli spesso e a rammendargli quasi tutti i giorno l’abito e il mantello, ebbe a buscarsi anche dei rimproveri da parte dei Frati e dei Superiori, a cui l’umile Fra Egidio, a sua discolpa e quasi piangendo, rispondeva: “Ma io che ci ho da fare con quelli screanzati? Io non so che ne vogliono da questo povero vecchio”.
Di qui si deduce il basso concetto che di se aveva il Frate e l’alta stima e considerazione che riscuoteva nel pubblico per le sue virtù ed i suoi prodigi.

Semplicità

Con l’umiltà eccelleva nel nostro Santo la santa semplicità che potremmo definire la sua virtù caratteristica. Con essa Fra Egidio si rese amabile a Dio e agli uomini. Nata con lui, lo accompagnò nella fanciullezza – si ricordi la prove che ne fece il maestro felpaiolo quando gli comandò di rimanere in ginocchio sulla vicina riva del mare fino a quando non fosse uscito e non gli si fosse fermato davanti un pesce – nella giovinezza e fino alla tarda età. Alle volte qualche Frate abusando della sua innocente semplicità, per ridere, inventava qualche storiella, ne diceva delle grosse…e fra Egidio, convinto che non si potesse mentire, vi prestava fede.
Amabile davvero la semplicità dei Santi, che non conosce astuzie e inganni, né sa far uso di quei raggiri subdoli di cui si gloriano i mondani come se in ciò fosse riposta la vera sapienza che deve reggere la vita e il mondo!
Chi non è imbevuto dello spirito di Dio e non conosce le bellezze della virtù, potrebbe ritenere effetto di scarsa intelligenza o di scempiaggine la condotta degli eroi della Santità. Ma non così appare agli occhi di Dio, il quale elegge ciµo che è stolto secondo il mondo per confondere la sapienza dei superbi.

Mortificazione

Discepolo e imitatore di quel portento di penitenza che fu S. Pietro d’Alcantara, Fra Egidio in questo ha del sublime. Basta rileggere quanto è stato registrato nei Processi a pag. 122, par. 45: il suo letto era composto di una tavola, una pelle di pecora ed una pietra per guanciale. Al lato del letto aveva due discipline, una di cordelle e l’altra di maglia di ferro. Questi cari strumenti di penitenza sono tuttora esposti tra i cimeli più venerati nella sua cella. Richiesto il Frate perché tenesse quelle due discipline, rispose: “Le armi devono essere proporzionate ai nemici che tentano di assalirci: quando il nemico si presenta con deboli forze, lo metto in fuga con la disciplina di cordelle; quando invece si presenta con violenza e forza, allora per lui è pronta l’armatura di ferro”. Singolare fu la mortificazione della gola. “L’amore di Dio – ha detto un Santo – non entra nelle anime se il “cannarone” (esofago) è pieno”.
Perciò il Sant’Egidio mangiava pochissimo. Di quello che gli passava la Comunità ne faceva due parti: una per sé ed era la più scadente, e l’altra la riservava ai poveri. Riposava pochissimo perché passava la maggior parte della notte in Chiesa, a vegliare con Gesù in Sacramento, a parlare in intimo filiale trasporto con la Madonna del Pozzo la nel coretto che dá nella Cappella della SS. Vergine. E fu tale quello spirito di mortificazione e di penitenza che gli fece rifiutare anche i temperamenti suggeriti dal medico nella sua ultima infermità.

Carità

Non si spiega la Santità, non si compiono meraviglie né si progredisce nella perfezione senza la Carità, che in Fra Egidio ha un duplice soggetto: in alto Dio, Gesù in Sacramento e, tra uno stuolo di santi prediletti, la Regina di tutti i santi: Maria. In terra i suoi amori erano: i poveri, soprattutto i vergognosi, gli afflitti e gli ammalati.

In Alto

Amò Dio con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze; per questo amore egli lasciò il mondo e abbracciò la tremenda Regola Francescana con tutti i rigori aggiunti dall’austera Riforma Alcantarina; Regola che egli osservò con una fedeltà e perseveranza non da altro superate che dalla volontà di rendere i digiuni più duri, i sonni più brevi, i lavori più pesanti, le preghiere e le veglie più prolungate, e nei suoi 58 anni di vita religiosa non diede mai segno di stanchezza. E quando le infermità e gli acciacchi della vecchiaia lo fiaccarono fisicamente, egli ebbe ancora tanta forza da rifiutare i temperamenti delle medicine ed il sollievo di un cibo più ricercato.
Le sue ore più belle erano quelle che poteva passare, specie di notte, nell’adorazione di Gesù in Sacramento; ai piedi dell’Altare si riforniva di quelle luci di conforto e di speranza che così largamente effondeva sulle anime che a lui ricorrevano. Emulo di quel serafino dell’Eucarestia che fu S. Pasquale Baylon – in nome del quale tante meraviglie compiva – trovava il suo paradiso nell’adorazione dell’Ostia.
Fin da giovinetto tutte le volte che udiva per via il tintinnio del campanello annunziante il passaggio di Gesù in Sacramento recato come Viatico agli infermi, era il primo ad accorrere per accompagnarlo con la più calda pietà lasciando il giorno, col permesso del padrone, lo stesso lavoro, e spessissimo di notte il proprio lettuccio. E Gesù, con le mistiche effusioni del suo amore, lo legava sempre più a sé. Ed i Misteri più cari della vita di Gesù divennero gli oggetti delle sue quotidiane pie elevazioni: Betlem, il Calvario, il Cenacolo.
Ebbe tenerissima devozione per Gesù Bambino: nella sua cella, nello stipo a muro, aveva installato e costruito con le sue mani un grazioso presepe, e nel primo dell’anno – come depose al processo (pag. 33) il Padre Francesco Maria del SS. Salvatore – invitava tutta la Comunità nella sua cella per cantare le sacre canzoncine, tra le quali il testimone ricorda quelle di S. Alfonso: “Tu scendi dalle stelle” e poi: “Ti voglio tanto bene, Gesù mio”; in quella circostanza il Frate era preso da tanto fervore che cantava egli pure e dolci lagrime gli cadevano dagli occhi.
Era poi devotissimo della Passione di Gesù Cristo; ne meditava con lagrime i dolori, ed ogni giorno faceva il pio esercizio della Via Crucis con grande fervore, come lo dimostravano esteriormente il raccoglimento e la commozione.
Per tutto ciò che riguardava la Chiesa, il culto divino, era impegnatissimo, per tali sante cose lasciava tutto. Per le feste che dovevano farsi nella chiesa, si adoperava in tutti i modi affinché riuscissero solenni senza risparmiarsi fatiche e sacrifici, specie le Quarantore. A tutto provvedeva lui, cera, addobbi, musica, fuochi, ricorrendo perfino ai miracoli come avvenne una volta, nella festa di S. Pasquale.

Moltiplica le pietanze

Per il numero eccessivo e non previsto degli invitati (l’episodio lo racconta il maestro di Cappella Parisi presente perché direttore di musica), erano presenti ben duecento musicisti per la solenne orchestra, oltre la Comunità e gli altri benefattori invitati, la pietanza di carne lessa non bastò. Allora il cuoco desolato ne vece consapevole Fra Egidio mostrandogli un rimprovero per tanta gente e la difficoltà di rimediare su due piedi a quella deficienza. Fra Egidio senza scomporsi ed invitando a fidare nella Provvidenza, esortò il cuoco a pescare un po’ meglio nella brodaglia della pentola; ed il cuoco agitando ben bene il forchettone dimostrò ancora una volta che la cena era finita.
Allora il Frate, togliendo dalle mani del cuoco il forchettone: “Adesso ti faccio vedere se c’è o no la carne!”, si mette a tirare su tante pietanze, quante ne occorrevano a tavola.

Pazzo d’amore per la Madre di Dio

Non vi è santità né progresso nel bene e nella virtù senza la devozione a Maria. È legge di mistica e di ascetica che nessuno può salire il monte della perfezione senza l’amore alla Madonna. E Fra Egidio lo sapeva perché egli fu figlio devotissimo della Vergine, la invocava “Mamma mia” con tutto l’ardore confidente di un figlio amatissimo. Potremmo dire che questa devozione l’avesse succhiata col latte materno, tanto era radicata nel suo cuore.
Fin da giovane si era iscritto alla Confraternita del Rosario e non dimenticava mai di offrire a tanta Celeste Madre, ogni giorno, quale dolce tributo di ossequio e di amore, la recita della mistica Corona. Devozione che aumentò quando si consacrò a Dio, nell’Ordine Francescano.
Tutte le volte che usciva di Convento o vi rientrava, a Lei indirizzava il primo saluto e una pia giaculatoria. Volle una sua immagine in cella per averla continuamente sotto gli occhi, e si procurò un quadro della Madonna del Pozzo, di cui era devotissimo e del cui culto fu il principale propagatore a Napoli; ne introdusse la festa in Chiesa e si celebrava nell’ultima Domenica di Agosto con grande pompa e solennità. Era così devoto alla Madonna che sembrava impazzito d’amore per Maria Santissima; ne diffondeva la devozione e ne dispensava le immagini. Aveva cura di tenere continuamente 4 candele accese davanti l’immagine benedetta. E quanto queste venivano a mancare, ricorreva alla stessa Vergine e, con infantile semplicità e confidenza Le diceva: “Adesso vi manca la cera, pensateci Voi; altrimenti resterete all’oscuro”. E le candele non mancarono mai.
Era devotissimo anche di S. Giuseppe e ne celebrava la festa con Messa cantata invitando tutti a ricorrere al Santo Patriarca perché avvocato della buona morte; l’onorava con atti di pietà, con giaculatorie e preghiere particolari. Fu appunto per questa sua particolare devozione che nella professione aggiunse al nome di Egidio Maria quello del Padre putativo di Gesù: Giuseppe. Era pure molto devoto del Padre S. Francesco, di S. Pietro d’Alcantara e di S. Pasquale.
Sicuro pertanto dell’amore materno della Vergine, del patrocinio di S. Giuseppe e della celeste protezione dei Santi Avvocati, egli percorse il lungo cammino con la mente ed il cuore rivolti al Sommo Bene, come il navigante alla stella quando scende la notte e urla la tempesta.

In terra

Accenno soltanto alle effusioni del suo cuore verso il prossimo. Di carità impegnò la sua vita e allargò le ali benefiche della sua carità a tutti, specie se infelici e bisognosi.
Di carità erano nutriti i suoi pensieri, abbellite le sue parole, profumati i suoi aggetti, impreziosite le sue opere, divinizzate le sua fatiche; di carità, della sua carità erano cosparse le strade, le piazze, le case dalle più umili alle più signorili di Napoli; e Toledo, Capodimonte, S. Lucia, Via Porto, Mergellina, S. Brigida, Rua Catalana, Largo della Carità, Gradoni di Chiaia, Via Bisognano, Vico Freddo, Riviera di Chiaia ecc., sembrano ripetere ancora il sorriso della carità di Fra Egidio, carità fondata sull’amore di Dio senza limiti di età, di condizioni e di spazio.
Carità donò agli stessi Confratelli che riempì di benefici, di provvidenze e di prodigi.
Carità ai sacerdoti che venerò e amò. Carità offrì ai buoni che incoraggiò e spinse verso l’alto, verso mete più alte con parole, esempi e prodigi.
Carità verso gli ammalati che restituì alla salute ed alla vita, carità verso i bisognosi, i poveri, i senza pane, dei quali fu chiamato padre, conforto, Angelo consolatore. Per tutti aveva una parola amica, confortante, santa e per tutti un sorriso, un dono, un favore, un miracolo – “Omnibus omnia cactus”. Tutto a tutti. Così nell’esercizio di ogni virtù eroica, nel quotidiano lavoro, nell’adempimento dei divini voleri e nella vita di bontà, di sacrifici e di dedizione raggiunse l’eroismo delle virtù, consumò, nei lunghi anni passati a Napoli, la sua santità, toccò i vertici di una perfezione sublime.

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