Egidio taumaturgo
Per gli strepitosi
prodigi che il nostro Santo operò durante la sua vita e dopo
la sua morte, divenne così famoso da emulare i grandi taumaturghi.
“Sono miracoli di ogni specie e così numerosi che narrarli
o semplicemente elencarli sarebbe una impresa”. Non li elenchiamo
tutti per non superare i limiti che ci siamo imposti, e poi perché
c’è stato qualche altro che più copiosamente e minutamente
li ha ricordati in un volume a parte. Mi riferisco alla “Vita
del B. Egidio” del P. Angelo Salvatore, il quale ha al suo attivo
già altre pregiatissime opere del genere.
Piace nondimeno accennare all’opera taumaturgica del nostro caro
Egidio a Napoli, dove trascorse 53 anni fecondissimi di bene per le
virtù esercitate e l’apostolato compiuto.
E perché il devoto lettore non ritenga fantasie o graziose leggende
i fatti eccezionali che sto per narrare, li piglio tali e quali sono
stati registrati nei Processi Canonici, citando testimoni oculari, circostanze
e pagina precisa.


Tabacchiera
per prugna
Il testimone oculare
Antonio Di Lorenzo a pag. 427 n: 18 dei Processi Canonici così
racconta:
“Mia madre era incinta quando venne a casa, secondo il solito,
per l’elemosina il Monaco Fra Egidio con la rituale panierina
del Servo di Dio, le parve di vedere una prugna con foglie verdi: Come
Fra Egidio, avete le prugne contro stagione? No, le rispose Sant’Egidio,
e per assicurarla della svista presa, le disse: “Vedi, non c’è
niente – e le mostrò la panierina vuota; difatti dentro
non c’era altro che la tabacchiera di colore giallognolo e un
fazzoletto verdastro. Eppure – continuò la donna –
ho avuto l’impressione che si fosse trattato di una prugna con
foglia verde”.
Allora Sant’Egidio, scongiurato da me a risparmiarci uno spiacevole
inconveniente, si raccole in preghiera, e poco dopo tirò fuori
dalla panierina una magnifica prugna con foglia e la diede a mia madre
obbligandola a mangiarla: “Toh, disse, piglia e mangia”.
Mia madre la mangiò, ma ne conservò l’osso e la
foglia che fece vedere anche alla Signora Ulloa.
Il fatto destò meraviglia per due ragioni: perché la panierina
era stata osservata vuota e poi perché si era fuori stagione,
nel tempo di Natale”.


Mela genovese
e…parto infelice
Nel gennaio del 1810,
così deposero al Processo del Beato i Signori Marcello di Troia
e Scipione Mirabella entrambi da Pozzuoli, pag. 246, n. 105-106:
“Il Santo Egidio venne prelevato al Convento di San Pasquale a
Chiaia e condotto a Pozzuoli presso la Signora Cecilia Capomazza che
si trovava in pericolo di vita per una cattiva gravidanza, aggravata
da un catarro al petto, già degenerato in polmonite: i medici
curanti, Ferrajuolo e Terzuolo, da Pozzuoli, l’avevano licenziata
e spacciata. Avviliti per tale verdetto i familiari ricorsero al “monaco
santo”, Fra Egidio, ed una sera il pio religioso fu prelevato
e portato dall’inferma. Entrato in casa, appena il Santo vide
l’ammalata, disse: “Non abbiate paura; starà bene.
Preparatele delle mele genovesi cotte e molto zuccherate, e dategliele”.
Allora si andò in cerca delle mele ma non si riuscì a
trovarne in tutta Pozzuoli; riferita la cosa a Fra Egidio, lo si assicurò
che si sarebbe senz’altro sceso a Napoli per comprarle, ma il
Santo soggiunse: “Volete andare fino a Napoli per una mela? E,
raccogliendosi in una breve preghiera: “Sia fatta la volontà
di Dio!” esclamò, e così dicendo cavò fuori
dal manicone una mela così fresca, che sembrava colta allora.
La cosa stupì tutti i presenti; poi nel licenziarsi soggiunse:
“Fatele mangiare la mela cotta e zuccherata, e nella nottata darà
alla luce un bel maschio”. E così avvenne: poco dopo di
aver mangiata la mela cotta e zuccherata incominciò subito l’inferma
ad espettorare; poi verso le quattro del mattino incominciarono i dolori
del parto e alle cinque aveva già dato felicemente alla luce
un bel maschietto.


San Pasquale
carcerato
Fra Mariano di S. Stefano,
compagno e contemporaneo di Sant’Egidio, nella sua deposizione
al processo – pag. 462 n. 85 – dopo aver narrato la guarigione
che egli ottenne miracolosamente da Fra Egidio, dice che ritiratosi
il Santo dalla questua, portò nella sportellina un po’
di pesce e consegnandoglielo disse: “Mettilo in acqua e sale e
fallo arrostito perché serve agli apparatori” (si era nella
festa di San Pasquale). Ma Fra Mariano che aveva appetito, assieme ad
altri Confratelli, pensarono bene di mangiarlo loro. Quando ritornò
in cucina, Fra Egidio chiese il pesce, fingendosi all’oscuro.
Ostentando ingenuità, il cuoco rispose: “Che devo arrostire
se nella sportellina non c’è più il pesce?”.
Allora Fra Egidio rivolto alla reliquia di S. Pasquale “Ah, -
disse – se l’hanno mangiato i fratelli tuoi? Ora lo voglio
da te il pesche che serve per gli apparatori; ti metto “carcerato”
finché non mi porti il pesce”.
Ciò detto, chiuse a chiave la reliquia del Santo nel tiratoio
del bancone della cucina. Fra Mariano osservava attentamente la sportellina
ed il Frate Egidio, allorché con grande stupore notò,
nella cesta, del pesce che constatò essere della stessa quantità
e qualità di prima; chiamò Fra Egidio, il quale, avvicinandosi
all’armadio, ripeteva queste parole: “Ah! Non vuoi stare
carcerato, mi hai portato il pesce?”. Riaprì il tiratoio
e scarcerò la reliquia di S. Pasquale, e servì il pesce
miracolosamente comparso nella sportellina agli apparatori.


2000 uova sanate
Fatti del genere operati
dal Santo nei Processi se ne leggono molti avvenuti in punti diversi
di Napoli, e per dichiarazione di testimoni oculari: uno avvenne a Toledo
e precisamente di fronte al Palazzo del Principe Stigliano come affermò
il negoziante Giuseppe Gagliotta; lo stesso prodigio l’operò
al pontone di S. Orsola a Chiaia per testimonianza di Maria Pignalosa,
ma riferisco solo quello che avvenne a via Porto ed è riportato
nei processi a pag. 444 n. 52 su dichiarazioni del giovinetto quattordicenne
Michele Fiorillo.
In via Porto, una mattina, mentre andava a scuola, vide un assembramento
di persone che compativano un povero uomo in lagrime; incuriosito il
ragazzo s’informò di che cosa si trattasse, così
seppe che quell’uomo era ovaiolo e che, essendo la strada bagnata,
era scivolato e di tutta la sporta di uova aveva fatto una solenne…frittata.
Di fatti il giovinetto afferma di aver visto per terra un vero macello
di scorze ed una lava di bianco e di torli; mentre da tutti si compiangeva
quel poveretto che, forse, vedeva così rovinato tutto il suo
capitale, ecco comparire sul solito calesse Fra Egidio. La gente lo
avvicinò, supplicandolo d’intervenire per aiutare quel
pover’uomo per l’infortunio capitatogli, e scongiurò
l’infortunato di rivolgersi con fiducia al “Monaco santo”
per essere soccorso. Fra Egidio allora scese dal calesse, si accostò
alla grossa frittata e ingiunse all’ovaiolo: “Raccogli le
uova e rimettile nella sporta”. Ma l’uomo non si mosse e
di nuovo il Santo ripeté l’ordine con più energia:
“Ti dico, raccogli le uova”. E quello allora si mise a radunarle
con ambo le mani pigliando alla rinfusa scorze e frutta delle uova;
ma come il tutto rimetteva nella sporta, con sua meraviglia e tra lo
stupore dei presenti; le uova diventavano sane. Le uova potevano essere
circa 200. Tutto questo avvenne sotto i miei occhi, conclude il ragazzo,
e innanzi a una folla di gente che poi fece a gara nel comprarsi per
devozione quelle uova miracolate.


Melloni secchi
A via Toledo, nelle
vicinanze del palazzo Stigliano, Fra Egidio, una mattina, aveva preso,
come era solito fare con tutti i venditori, dal “posto”
(catasta) un mellone di pane; il venditore borbottò dicendo:
“Non mi ha fatta fare neppure la croce”. A queste parole
il Frate, mortificato, rimise il mellone dove l’aveva preso e
si allontanò. Poi incominciò la vendita, ma i compratori
nell’aprire i meloni li trovarono tutti secchi. Allora il padrone
capì che ciò gli era capitato perché aveva negato
il mellone a Fra Egidio. Immediatamente rincorse il Frate e lo raggiunse
al largo della Carità, supplicandolo di perdonargli l’indiscreto
rifiuto; e Fra Egidio senza tornare indietro, dal luogo stesso dove
era stato raggiunto, cioè dal largo della Carità, benedisse
col cordone i melloni che riacquistarono la primiera freschezza e furono
tutti smaltiti in brevissimo tempo. Così depose al processo il
signor Palma con la padrona di bottega Cagarella presente al prodigio.
(Vedi processi Canonici pag. 432, n. 26).


Il vino ritorna
nelle botti
Pietro Ciotola, possidente
e colone del Barone Callotta di Soccavo, che conobbe il Santo Egidio
e alui ricorse in un incidente che stava per mandare in fumo tutto il
raccolto di vino, così depose nei Processi Canonici a pag. 457,
n. 72. Di quasi tutti i fusti e le botti che aveva nel cellaio a Soccavo
– non si sa perché – si erano allentate tutte le
doghe, ed il vino ne usciva in grande quantità da allagarne il
suolo. Fu chiamato naturalmente prima il maestro bottaio; il quale con
tutta la sua arte ed abilità – era il più rinomato
della zona, Salvatore Cervolio – non riuscì a tamponare
le falle e le perdite; nella desolazione si ricorse al Frate Egidio.
Fu rilevato al Convento di Chiaia e, giunto nel cellaio, da mezzo alla
scala del cellaio stesso il “Monaco santo” diede la benedizione
con la reliquia di San Pasquale dicendo: “Abbiate fiducia in S.
Pasquale e non temete, il vino non uscirà più”.
E così avvenne; ma la cosa sorprendente fu questa che non solo
il vino come d’incanto non ne uscì più, ma i fusti
e le botti che per le perdite precedenti erano state osservate quasi
dimezzate, furono ritrovati pieni fino all’orlo ed il suolo del
cellaio asciutto.


Due spade spezzate
Il Padre Francesco
Maria del SS. Salvatore, Custode della Provincia e presidente del Convento
di San Pasquale a Chiaia, attesta che nel medesimo giorno in cui il
cadavere di Fra Egidio era esposto in chiesa, nell’attiguo chiostro
sorprendeva in lagrime un soldato, e interrogatolo perché piangesse,
gli rispondeva: “Padre, il frate morto è un gran Santo
ed io ne ho una prova; trovandomi un giorno presso Capodimonte a duellarmi
con un mio rivale, vidi Fra Egidio su di un calesse dirigersi verso
di noi e gridare: “Smettetela, in nome di Dio e di San Pasquale,
di battervi”. E poiché non volemmo ubbidirgli, egli uscì
in queste parole: “Non volete ubbidire voi, mi ubbidiranno le
sciabole che si romperanno”. Difatti si era appena allontanato
il Frate che al primo nuovo colpo ambedue le spade ci si spezzarono
fra le mani. (Processi canonici pag. 466, n. 90)
E non solo Fra Egidio
comandava gli elementi inanimati e senza ragione, come le uova sanate,
i meloni rivenduti freschi, il vino ritornato nei fusti, le spade che
si spezzano, piegandoli docili alla sua volontà per la infinita
liberalità di Dio
…che volle in lui
del Creator suo spirto
più vasta orma stampar;
ma nella sua preghiera, al tocco del suo cordone, le malattie scomparivano;
febbri, tumori, cancrene e la stessa morte.


“La morte
mia…la salute tua”
Il Sig. Antonio Chirico,
abitante nelle vicinanze del Convento e precisamente sotto il palazzo
Marotta, aveva una figlia, Carolina, nata così storpia da non
reggersi sulle gambe ed era costretta a trascinarsi per terra. Più
volte il povero padre e l’infelice madre ne avevano interessato
per la guarigione Fra Egidio e lui aveva sempre risposto: “Raccomandiamola
alla Madonna del Pozzo”. Ma qualche anno prima della sua beata
morte, il Santo Religioso cambiò linguaggio e disse rivolto alla
ragazza: “La morte mia, la salute tua”. In un primo momento
non si comprese cosa volesse significare il Frate con quelle parole;
ma quando Fra Egidio morì, allora si comprese che la sua morte
avrebbe giovato alla infelice ragazza; e così senza esitare più
oltre, con l’aiuto di un certo Fra Michele, fu possibile avvicinare
la bambina al cadavere del Santo Frate. A quel contatto la ragazza incominciò
prima ad agitarsi e poi, rimessa a terra, camminò da sola speditamente:
era guarita. Il medico curante, Dott. Panza, non poté fare a
meno di chiamare miracolosa la guarigione. (Processi Canonici pag. 35,
n. 22).


Và a buscarti
il pane
Parimenti Gennaro de
Crescendo era nato così rattrappito che non camminava se non
trascinandosi per terra; ma un giorno, vedendolo Fra Egidio sulla porta,
per terra gli porge il bastone e con autorità dice: “Alzati,
vai a buscarti il pane”. Ed il bambino si attacca al bastone ed
è guarito all’istante. (Processi Canonici pag. 217, n.
52).


Cancro guarito
(Compare mio, mo vedo
se sei santo)
La signora Carmela Bagnacani era stata colpita da tumore al petto, e
la mammella sinistra si era così spaventosamente gonfiata che
si fu costretti a ricorrere ad un sostegno. Soffriva spasimi atrocissimi,
e tutti i rimedi della scienza medica erano riusciti vani; per cui i
medici, nel consulto, decisero l’asportazione totale della parte
malata.
L’inferma pur essendo rassegnata a tale sorte, prima volle l’immagine
del Frate Egidio e, applicandosela sulla parte malata, così pregò:
“Compare mio, mo vedo se sei santo, se mi ottieni la grazia di
non farmi avere il taglio”. Il chirurgo designato per l’operazione,
trovò invece la parte già aperta e colante materia in
abbondanza, ma chissà perché, la ferita si rinchiuse e
ricomparve il gonfiore ed il dolore di prima. Allora l’inferma
si rivolse al Frate Santo così confidenzialmente, lamentandosi:
“Bella grazia che mi hai fatta, sono ritornata allo stato ed allo
spasimo di prima!” E, sempre stringendo sulla parte della malata
l’effige del Servo di Dio, continuava a sperare, a piangere e
a pregare, così per tutto il giorno e buona parte della notte.
A notte avanzata s’accorge di essere tutta bagnata e imbrattata
dal lato malato: camicia e letto. Aiutata dalla madre si cambiò
e si poté così costatare che al petto s’erano aperti
due fori, dai quali era uscito tutto quel liquido purulento; la parte
era ritornata normale: niente gonfiori, niente spasimi. Dopo tre o quattro
giorni era perfettamente guarita e del male non rimase cicatrice alcuna.
Tutti: inferma, parenti e chirurgo ascrissero ad una particolare intercessione
di Frate Egidio tale prodigiosa e repentina guarigione. (Processi Canonici
pag. 366, n. 33)


“Io non sono Fra Egidio…”
Speciale protezione
Fra Egidio esercitò pure nei parti, per cui furono tali e tanti
i suoi miracolosi interventi che non ci fu, possiamo affermare senza
timore di esagerare, parto difficile (se ne contano a decine nei Processi)
per il quale il “Monaco santo” di S. Pasquale a Chiaia non
avesse portato la luce del conforto, il sorriso di una provvida speranza.
Cito per brevità solo il seguente:
La Signora Maria Giovanna De Sanctis aveva malamente dato alla luce
due gemelli; in seguito a tale parto l’addome della puerpera si
gonfiò in modo impressionante tanto che l’ostetrica si
allarmò e volle l’aiuto del Chirurgo Dott.Bruno Amantea,
il quale, osservata l’inferma, sentenziò: “nulla
da fare, fra breve morirà; piuttosto, disse rivolto ai presenti,
pensate alla sua anima”. Difatti la donna aveva già assunto
un aspetto cadaverico e quasi più non dava segni di vita. Spacciata
così dai medici e senza alcuna speranza nei rimedi umani, dietro
suggerimento della moglie del Mastro di Casa del Marchese del Vasto,
Vincenzo Mugnano, si ricorse al Monaco di S. Pasquale, fra Egidio, il
quale si portò subito al letto dell’inferma moribonda;
ma prima di vedere l’inferma si accostò ai gemelli e disse
indicandoli con la mano: “Questi è Ciccio (Francesco) e
questi è Pasquale”. (I bambini non erano stati ancora battezzati
per il trambusto della madre, e poi furono battezzati proprio con quei
nomi). Dopo si rivolse all’inferma: “Cammina, poltrona che
sei! Fatela camminare perché s’è impoltronita”.
E così dicendo le lasciò il bastone sul letto e la benedisse
con la reliquia di S. Pasquale.
Erano già 8 giorni che la donna stava in quelle condizioni. Verso
un’ora di notte, al suono della campana di S. Pasquale, la donna
s’incominciò a ripigliare, la notte si riposò e
l’indomani poteva dare anche il primo latte ai suoi gemelli. Quando
ritornò il medico, Dott. Amantea, per assicurarsi della fine
della donna e seppe invece dell’intervento di Fra Egidio, non
poté trattenersi dal fare le sue meraviglie e non esitò
ad esprimersi così: “Per me doveva morire, certo io non
sono Fra Egidio”. (Processi Canonici pag. 431, n. 24).


Cieca guarita
La piccola Annarella
di Domenico Russo e di Nicoletta Olivieri – abitanti alla Conceria
e con negozio a S. Anna di Palazzo – era stata colpita da Vaiuolo
che aveva causato alla piccola completa cecità. I medici specialisti
più rinomati avevano dato il loro verdetto: “Niente da
fare; le pupille erano distrutte perciò ogni rimedio umano e
della scienza sarebbe stato incapace di ravvivare quelle pupille spente”.
Allora i genitori, desolati, si rivolsero al medico celeste, ricorsero
a Fra Egidio, di cui erano benefattori, con queste parole: “O
la ragazza colla vista, come era nata, o che Dio se l’avesse chiamata;
o se riavuta la vista avesse dovuto offendere Dio, anche se l’avesse
chiamata”. Il discorso piacque molto al Frate, il quale, avendo
compassione dei genitori e la piccola, disse: “Stasera lo dirò
a Mamma, e la Madonna farà la grazia”. E se ne andò.
Nella notte la bambina rivide fra la gioia e la commozione del papà
e della mamma. Il Frate l’aveva guarita. (Processi Canonici pag.
431, n. 24)
Ma non solo il Santo
restituiva la salute agli infermi, raddrizzava gli storpi, dava la vista
ai ciechi e strappava prede alla morte, ma chiamava in vita i morti:
animali e uomini.


Gli animali:
le anguille
Gaetano De Grazia,
padrone di barche, narra il seguente miracolo, di cui fu testimone oculare;
lo riferirò con le sue stesse parole e com’è riportato
a pag. 425, n. 15 dei Processi Canonici: “Contavo 17 anni –
dice il teste – quando mio padre Antonio, in società col
pescivendolo Pasquale Rogiero soprannominato Zuccariello, avevano comprato
sulla spiaggia di Terracina 14 cantari di anguille per rivenderle a
Napoli. Attraccammo a Napoli col nostro “Paranzello” alla
spiaggia di Santa Lucia con il carico in un tardo pomeriggio. L’indomani
si ritornò sul “Paranzello” e, con amara sorpresa,
ci accorgemmo che tutte le anguille erano morte. È facile immaginare
l’esasperazione del nostro animo! Con la morte nel cuore per la
perdita subita, corremmo da Fra Egidio con fiducia e lo supplicammo
di venire sul “Paranzello”; dove, appena arrivato, così
disse a mio padre: “Antonio, Antonio non ti spaventare; dormono,
dormono”. E poi benedicendole con la reliquia di S. Pasquale soggiunse,
rivolgendosi alle anguille morte: “Scematevi, animaluzze di Dio,
non facite spaventare la creatura”. A queste parole tutte le anguille
risuscitarono sotto i nostri occhi: ne piangemmo di commozione.


Piccirilli, scetatevi!
Una vigilia di Natale
Fra Egidio era uscito secondo il suo solito per la questua e si era
portato a S. Brigida, dove per l’occasione si teneva una specie
di fiera natalizia con un po’ di tutto, in particolare pesci e
capitoni. Il Frate si accostò ad un venditore di capitoni, e
ne chiese qualcuno in elemosina per i Frati, ma quello lo licenziò
con bruschi modi. Il Frate si allontanò mortificato; ma i capitoni
morirono tutti all’istante, con grande rammarico del pescivendolo,
il quale, capito l’ammonimento e pentito del rifiuto, lo scongiurò
di aiutarlo. Avvicinatosi alla pila dove erano i capitoni, li benedisse
col cordone dicendo: “In nome di Dio, scétatevi, piccirilli”.
E là-là i capitoni ripresero vita intrecciando sotto gli
occhi meravigliati di tutti, mille giri tortuosi.
Il fatto si legge a pag. 421, n. 11 dei Processi Canonici sulla testimonianza
della Signora Maria Giuseppa Orsino presente al miracolo.


Catarinella resuscitata
Ed eccoci all’episodio
più noto e caratteristico del nostro Sant’Egidio. I Frati
di San Pasquale avevano una vitellina che, da sola, girava per le vie
di Napoli. Tutti la conoscevano perché portava sulla fronte una
targhetta di metallo su cui era inciso il nome di S. Pasquale, e tutti
la chiamavano Catarinella. La bestiola usciva di mattina e all’imbrunire
si ritirava da sola in Convento. Ora avvenne che una sera Cararinella
non si ritirò; i Frati ne sono addolorati e come fare per ritrovarla?
Si capisce; ci penserà Fra Egidio! Ed infatti l’indomani,
Fra Egidio si presenta difilato ad un macellaio della Pignasecca e,
senza preamboli o complimenti, gli dice in tono severo; “Prendi
la chiave e la lanterna e seguimi nella grotta; Catarinella dove l’hai
messa?”.
Il furfante, a quell’ordine così perentorio e a quella
rivelazione così chiara, fu preso da tale tremarella che non
gli permise di eludere o contrastare l’ordine. Ma che sarebbe
accaduto se la vitella ormai era già stata fatta a pezzi?
Discesi nella grotta o sotterraneo (a quell’epoca non esistevano
i frigoriferi e per conservare fresca la carne si ricorreva ai sotterranei
o alle grotte) il Frate fece distendere la pelle della giovenca con
dentro tutti i pezzi, ciascuno al suo posto naturale, si piegò
a terra, congiunse le estremità della pelle fra loro e, tracciato
il segno della croce col cordone, a voce alta disse: “In nome
di Dio e di S. Pasquale, alzati Catarinella e al…Convento!”.
Un grande muggito, uno scotimento di tutte le membra e Catarinella balzò
su viva e vegeta come prima.
La notizia del miracolo si sparse in un baleno per Napoli, e ci volle
del bello e del buono per contenere l’entusiasmo, il delirio della
folla che si stringeva attorno per baciargli le mani, per tagliuzzarne
l’abito, mentre la vitella fu accompagnata processionalmente dalla
Pignasecca al Convento di S. Pasquale a Chiaia.
Il fatto è narrato dal possidente Luigi Monopoli, presente allo
strepitoso avvenimento che diceva avvenuto tra il 1788 o 1789; è
riportato nei Processi Canonici a pag. 448 n. 60.


Signora state
allegra, farete un maschio
Spesso Fra Egidio si
recava per la questua e per l’acquisto di pasta per la Comunità
a Torre Annunziata. Qui avvenne un fatto straordinario anche se un altro
se ne verificava ogni volta che Fra Egidio toccava il territorio di
Torre Annunziata: infatti i campanelli delle case dei suoi devoti benefattori
suonavano da soli quasi a salutare il suo arrivo.
Il miracolo poi è il seguente: Gesualda Galviria, moglie di Andrea
Scafa, essendo in stato interessante spesso si raccomandava al Frate
per un parto felice. E fra Egidio: “Donna Gesualda, non aver paura
– le rispondeva – statti allegramente, non dubitare”.
Intanto scaduto il tempo, il parto si presentò male e laboriosissimo,
per cui il marito ricorse subito a Napoli da Fra Egidio, e, previa la
licenza del Superiore, condusse con sé a Torre il Servo di Dio,
il quale recò alla partoriente la reliquia di S. Pasquale, dicendole,
“Signora, state allegra che farete un maschio e lo chiamerete
Pasquale”.
E così fu: la donna partorì un maschio ma…morto
e tutto livido. L’infelice puerpera ne fu desolatissima. Riferita
la cosa a Fra Egidio, questi subito si portò dalla donna e, applicata
la reliquia di S. Pasquale al corpicino del neonato, disse: “Pasquale,
allegramente, S. Pasquale ci ha fatto la grazia”. Ed ecco il bambino
dare uno starnuto e ritornare in vita fra lo stupore di tutti i presenti.
Il Servo di Dio la sera stessa volle ritornare a Napoli per evitare
forse l’entusiasmo che gli sarebbe venuto pubblicandosi l’indomani
il miracolo. (Processi Canonici pag. 248, n. 108)


Pancotto…miracoloso
Cadde gravemente malato
Luca Parrella, amico e benefattore dei Frati e in particolare di Fra
Egidio. Ora avvenne che per ragioni di mestiere – il Parrella
commerciava in vaccine – si era portato nei “mazzoni”
di Capua e lì contrasse una grave infezione di malaria. In poso
tempo il male si aggravò al punto che il povero colpito fu licenziato
dai medici; confortato dagli ultimi Sacramenti che gli furono amministrati
dall’Assistente della Parrocchia di S. Giacomo degli Italiani.
Il Sig. Parrella abitava in via Porto – l’infermo ormai
è cadavere, pianto e calde lagrime dalla moglie e dai figli.
Il Sacerdote – esalato l’ultimo respiro il moribondo –
se ne è andato e già sono pronti gli addobbatori per l’apparato
funebre. Ma mentre si disponeva per la camera ardente, il figlio del
morto, Gaetano, si affaccia al balcone e vede passare di là per
la Strada del Porto, il Santo Religioso; immediatamente il giovane si
precipita nella strada, raggiunge il Frate e lo informa fra le lagrime,
dell’avvenuta morte del padre. E Fra Egidio: “No, no, tuo
padre dorme, non è morto”. “Dorme? Dorme? Volesse
il cielo! – soggiunse il giovane - Fra Egidio, papà è
morto davvero, e poco fa se ne è andato anche il prete che lo
ha assistito nel trapasso!”
“Eppure, replica il Frate, ti assicuro che tuo padre dorme, dorme!”
Vieni con me, saliamo in casa e vedrai. Così dicendo afferra
il giovane per il braccio ed entrano in casa; tutti gli vanno incontro
piangendo. E Fra Egidio assicura tutti ripetendo: “Dorme, dorme”.
E avvicinatosi al cadavere, chiama ripetutamente ad alta voce: “Luca,
Luca!”. Nessuna risposta: il defunto rimane là freddo,
rigido. “Ah, non vuoi rispondere? – esclama sorridendo il
Frate – e così dicendo tira fuori dal manicone tre tozzi
di pane duro e secco, e orina alla vedova che faccia il pancotto. Intanto
Fra Egidio distende sul cadavere il suo mantello e comincia a pregare;
poi, avuto il pancotto richiesto, ne prende una chucchiaiata e l’avvicina
alle labbra del defunto per imboccarlo, dicendo: “Luca, in nome
di Dio e di San Pasquale, svegliati!”.
Ma i denti erano così incassati che solo un po’ d’acqua
del pancotto riuscì, forse, a bagnare le gengive. Gli astanti,
stupiti, si chiedono ammiccandosi a vicenda, se si sia mai verificato
che un morto risponda o mangi del…pancotto!...Ma dopo pochi istanti,
Luca apre gli occhi, si guarda smarrito attorno, proprio come chi si
desti di soprassalto. Sbalordimento generale e grande emozione e confusione
in quella casa: chi piange, chi urla, chi grida al miracolo e chi…scappa
per lo spavento: un morto resuscitato! Impossibile descrivere la scena.
E Fra Egidio rivolgendosi ai presenti, come se avesse fatto la cosa
più semplice e facile di questo mondo, disse: “Non ve lo
avevo detto io che Luca dormiva e non era morto? Vedete che bella grazia
avete avuto da Dio e da San Pasquale?”. Ripresosi il mantello
se ne ritornò al Convento. Il morto risuscitato visse per circa
altri trent’anni; riprese il suo mestiere e soleva definirsi,
ricordando il miracolo: Io sono un morto vivo.
Così è deposto nei processi dalla moglie, dai figli e
da lui stesso a pag. 470, n. 105.