Santa Zita Vergine

patrona universale delle collaboratrici domestiche


 

 

La famiglia di origine

Zita nasce nel 1218 a Monsagrati a 16km da Lucca in una  famiglia povera e di grandi virtù cristiane. I suoi  genitori si chiamavano Giovanni e Bonissima. A Monsagrati Giovanni si era recato fin da giovinetto dalla natia Soccisa, vicino a Pontremoli. Essendo di condizioni poverissime, si era fermato là facendo il pastore e il contadino.. Quand’ebbe vent’anni pensò a formarsi una famiglia. Era povero ma buono, e per questo nella sua patria adottiva tutti lo amavano e lo stimavano. Pensava a quale potesse essere la fanciulla del suo cuore; non la voleva ricca, non solo perché le sue condizioni non glielo consentivano, ma anche perché le ricchezze non bastavano a rendere felice un matrimonio: la voleva buona e trovò un tesoro. Il nome di Buonissima sembrava una predizione per la sua vita fatta nel giorno del Battesimo. La memoria non ha lasciato ne il nome ne il numero esatto dei loro figli ad eccezione di una figlia di nome Margherita e della nostra Santa. Margherita non fu seconda a Zita nella santificazione della sua anima e fu Zita stessa che si occupò di lei perché potesse seguire la sua vocazione; mirabile esempio  di come si debbano amare le sorelle e come debbano aiutarsi, non solo per la vita materiale, ma soprattutto per quella dello spirito. La Divina Provvidenza si servì della stessa Zita, andata a Lucca per servizio, per far trovare alla sorella un convento dove seguire la chiamata di Dio. Fu così che Margherita, divenuta monaca cistercense, visse anch’essa nelle più alte virtù e morì in concetto di santità.

 

 

L’infanzia

Al fonte battesimale fu imposto alla nostra il nome di Zita. Questo nome è pieno di significato perché nel linguaggio di allora significava “vergine”.

Zita, infatti, passerà i suoi anni nella più pura verginità servendo fedelmente Dio.

Seguendo l’esempio dei genitori, la piccola Zita inizia gli anni della sua vita in un aurea di santità. Le ristrettezze e la miseria renderanno la sua casa somigliante alla casa di Nazareth. Zita passa questi anni ora intenta ai lavori domestici con la più pronta obbedienza, ora assorta nella preghiera.

La casa  di Zita era come un tempio dove il lavoro e il dolore, dove le gioie e le amarezze erano offerte a Dio. La giornata cominciava e si chiudeva con la preghiera rivolta al Signore e alla Madonna.

Zita fu sempre molto devota alla Vergine e in suo onore fece anche pellegrinaggi, la invocherà nei momenti più difficili e sempre sperimenterà il suo amore materno e la sua protezione. L’assiduità della preghiera, tuttavia, non le impediva di compiere fedelmente gli altri doveri. Oltre le faccende domestiche Zita aiutava il padre nei lavori dei campi, secondo le forze della sua tenera età. Una tradizione locale la presenta con un piccolo gregge di pecore che accompagna al pascolo; e nel silenzio dei boschi tra il canto degli uccelli e l’incontro con la natura essa trova l’ambiente adatto per elevare il suo amore a Dio.

 

 

Nella nuova famiglia

A questa umile fanciulla Dio riservava una grande missione.

Ogni collaboratrice famigliare avrebbe avuto in lei un esempio e una patrona. Infatti essa ha saputo indicare come, pur svolgendo mansioni umili, si può salire in alto nella carità e nella contemplazione. Le circostanze avviarono Zita su questa strada provvidenziale. La povertà della casa richiedeva che essa non aggravasse con la sua presenza il misero bilancio famigliare. Fu così che ancora in tenera età (aveva appena dodici anni) Zita pensò di recarsi a servizio in qualche casa di signori. Suo padre, quand’ella gi espresse il desiderio, dapprima cercò e si consigliò. Quand’egli ebbe saputo che a Lucca la nobile famiglia Fatinelli cercava una ragazza che aiutasse per i lavori della casa, s’informò e dopo aver saputo che la famiglia era ottima, vi accompagnò Zita che così lasciò la nativa Monsagrati. Arrivata nella nuova famiglia, Zita ne diventò subito la beniamina; la sua tenera età, ma soprattutto la sua bontà la resero cara ai componenti della famiglia.

Mentre i ricchi mercanti di casa Fatinelli attendevano ai loro affari, Zita, nel disbrigo di tutte le faccende, sapeva attirare l’animo di quanti la avvicinavano. Fin dai primi giorni la sua vita fu divisa fra preghiera e lavoro: anzi, anche lo stesso lavoro era trasformato in continua preghiera.

Al mattino, per poter andare in chiesa, sapeva sacrificare il sonno, nonostante le giornate di intenso lavoro. La mattina era in piedi molto presto. Quando i padroni si alzavano, Zita aveva già compiuto le sue pratiche di pietà ed accudito a molte faccende.

Ella faceva tesoro del tempo, svolgendo diversi lavori: dalla pulizia della casa alla preparazione delle vivande, alla cura dei mobili, dei vestiti, della biancheria, fino al bucato e alla preparazione del pane. Detestava l’ozio e nei ritagli di tempo si dedicava agli utili lavori femminili del cucito, della maglia e del fuso. Sceglieva i lavori più umili e faticosi: i documenti ci informano infatti che lavorava tanto da ridursi esile “come un fuscello”. La sua giornate, passata così in unione con Dio, era ricca di tutte le virtù a cominciare da quelle che di tutte è fondamento: l’umiltà. In quanto umile amava venire umiliata. Quando i suoi padroni, benché contenti di lei, trovavano motivo per rimproverarla, essa non si risentiva, quantunque quei rimproveri fossero ingiusti, ma si inginocchiava a chiedere perdono. La sua umiltà era un ammaestramento ad imitarla in tanta virtù. Alla povertà nel vestire aggiungeva un vitto esiguo; spesso le cose che le venivano offerte, le metteva da parte per i suoi poveri e si nutriva solo del necessario per avere le  forze sufficienti ad eseguire bene i lavori che il dovere le imponeva. La sua persona era ridotta a carne e ossa. Questo continuo digiuno era la vita ordinaria. Nei digiuni straordinari si privava di ogni cosa. Limitava le ore di sonno e nel pieno della notte, mentre tutti riposavano, supplicava Dio per la salvezza delle anime. Le virtù di Zita erano rafforzate da ferventi comunioni. Quando Lucca fu colpita dall’interdetto pontificio, per cui le chiese erano chiuse e non si amministravano i sacramenti, Zita si recò con lunghissimi viaggi nella confinante diocesi di Pisa per poter accostarsi alla Comunione.

 

Miracoli

Per le sue capacità e virtù Zita fu preposta dai suoi padroni alla cura di tutta la famiglia. Per le sue responsabilità, Zita, non poteva trattenersi lungamente in Chiesa, ma doveva per tempo tornare in famiglia. Una mattina era andata a fare la Santa Comunione nella vicina chiesa di San Frediano e nel ringraziamento era stata così fervida che aveva perso la nozione del tempo. Era quello il giorno in cui doveva fare il pane. Corre a casa tutta preoccupata per recuperare il tempo perduto, apre la madia… la farinata è già stata impastata e si deve solo metterla in forno a cuocere. Cerca, interroga, vuol sapere chi è stata fra le compagne di servizio. Nessuna è stata, le compagne che conoscono le virtù di Zita dicono: quel pane lo hanno impostato gli angeli.

Se Zita ebbe in grado eroico tutte le virtù, una è però la caratteristica della sua vita: la carità verso i poveri. Zita intende la carità non solo come aiuto materiale, ma ancora e prima di tutto come aiuto spirituale. Ai poveri non solo dava il pane della carità, ma li aiutava a diventare migliori. Dio si degnò molte volte di completare l’opera con prodigi.

Narra un antico manoscritto che un anno la carestia colpì duramente la città di Lucca, per cui il grano costava moltissimo a causa dei profittatori.

Zita, una mattina, dopo aver dato ai poveri tutto il pane che poteva, non sapendo come fare per sfamare altri poveri che si presentavano a casa Fatinelli, attinse a più riprese da una madia del suo padrone che conteneva fave, allora cibo utile per sfamarsi. Zita aveva gran paura dei rimproveri e dei castighi del suo padrone, avendo distribuito, sotto l’urgenza del bisogno, beni di lui ai poveri senza averne avuto prima il consenso. Pensava di essere punita ma si affidava alla Provvidenza. Quando il padrone, avendo venduto quelle fave, ordinò di misurare il contenuto della madia, questa fu trovata piena e Zita ringraziò il Signore per averla protetta.

Ancora Zita valendosi della stima di cui godeva presso i nobili Fatinelli non tralasciava niente per venire in aiuto ai poveri. Ogni giorno partiva per portare soccorso a domicilio a delle povere vedove e ai poveri del vicinato. Un giorno scende le scale con il grembiule pieno di pezzi di pane, avanzati alla tavola dei padroni: incontra il suo padrone che, quel giorno, è di pessimo umore e le chiede cosa c’è nel suo grembiule. Zita arrossì, non per la paura dei rimproveri, ma perché amava tenere nascosta la sua carità, tuttavia aprì subito il grembiule. Tutti e due lo trovarono, con grande meraviglia, ripieno di rose e giunchiglie. Quei fiori, subito dopo, tornarono pane per i poveri che aspetavano fiduciosi alla porta di casa l’arrivo di Zita.

I signori Fatinelli dovevano continuamente dare consigli di prudenza a Zita che si privava del necessario per darlo ai poveri. Così fu la sera di Natale. Zita si stava preparando per la Messa della Natività. Era un inverno molto rigido, era caduta abbondantemente la neve e Zita non era abbastanza riparata dal freddo, essendole rimasto solo il necessario per essere coperta. Il signor Pagano Fatinelli le presta allora il suo mantello foderato di pelliccia, ma le ricorda di riportarglielo, non di regalarlo. Zita, entrando nella chiesa di San Frediano, vede un poverello che muore dal freddo, gli da la pelliccia pregandolo di restituirgliela finita la Messa, perché non è sua; gli promette anche di portarlo a casa per scaldarsi. Poi Zita si immerge nella preghiera. Quando esce dalla chiesa è ormai l’alba: il poverello non c’è più e con lui è sparita la pelliccia. Zita non pensa ai rimproveri del padrone, ma prova un senso di colpa per aver fatto attendere troppo il poverello; torna a casa e viene inevitabilmente rimproverata. Di primo mattino, si ode bussare alla porta: era il poverello che portava il manto impellicciato. Egli non disse nulla mentre Zita e il suo padrone stavano per cominciare a parlargli, sparì dai loro occhi come una folgore scintillante.. Una gioia mai provata pervade i loro cuori. Se non era Gesù, era certamente un suo angelo.

C’è un pozzo dove nel giorno della Festa della Santa i fedeli vanno a bere per devozione. Questo pozzo, situato accanto alla porta d’ingresso dell’antico palazzo Fatinelli è celebre non solo perché ad esso attingeva acqua Santa Zita, ma per un fatto miracoloso che si è compiuto.

Un giorno d’estate si presenta là un poverello. È stanco e assetato. Zita, che non aveva nulla da dargli, va al pozzo per porgergli da bere e fa un segno di croce sull’acqua. Quell’acqua diventa un gustosissimo vino che corrobora il povero viandante, il quale prosegue il suo cammino raccontando a tutti il prodigio con cui il Signore ha premiato la carità della sua serva.

Anche al tempo di Zita erano molto in uso i pellegrinaggi nei luoghi Santi della Fede. La nostra Santa seguiva in quest’opera buona l’usanza dei tempi. Dai suoi padroni aveva libertà in certi giorni e usava questi giorni liberi per dedicarsi intensamente alla preghiera e per fare pellegrinaggi. Fra questi ve n’è uno rimasto famoso, perché Zita fu accompagnata da una prodigiosa pellegrina. Zita era partita insieme a una compagna verso S. Giacomo del Poggio, poco distante da Pisa, per continuare fino a San Pietro a Grado, nella stessa diocesi ma molto distante dalla città. Giunte le due amiche al paese di San Giacomo (erano ancora digiune) la compagna invita Zita a tornarsene indietro. La Santa rispose che non poteva lasciare a metà un opera intrapresa, ma l’altra, decisa, tornò indietro lasciando Zita da sola. Ella continuò il suo cammino e giunse nella chiesa di San Pietro a Grado e s’immerse nella preghiera. Era ormai il tardo pomeriggio e Zita si accingeva a riprendere il suo cammino per tornare alla sua città e alle sue occupazioni. Chi la vede le consiglia, data l’ora tarda, di non viaggiare di notte. Ma Zita vuole essere a casa il giorno dopo per riprendere i suoi impegni all’ora stabilita. Ella quindi si mette in viaggio lungo le vie malsicure e infide. Al paese di S. Lorenzo a Vaccoli si vede ancora la fontana alla quale bevve la Santa in questo viaggio. Quando era ormai vicina allo Stato di Lucca più che la volontà potè il digiuno. Con tutta quella fatica erano quasi trentasei ore che non mangiava. Zita si siede presso una fonte stremata, allunga il braccio per bagnare la mano quando si sente posare una mano sulla spalla e sente dire: “Vuoi venire a Lucca con me?” La stanca pellegrina sente rinvigorirsi le forze. Una robustezza nuova la spinge, si alza e riprende il viaggio insieme con la sconosciuta. Quando arriva al confine dello Stato di Lucca, le porte chiuse a chiave si aprono all’avvicinarsi della Signora. Giunta a casa Fatinelli può riprendere il lavoro. Chiama le compagne che dormono. Prima però non dimentica di ringraziare la misteriosa e buona accompagnatrice. Fa per porgerle la mano: non c’è più. La pia credenza giunta fino a noi è che quella Signora non era altri che la Vergine che aveva protetto e accompagnato la sua fervente devota.

 

La morte

La vita di Zita trascorre quindi nella più profonda umiltà e carità; le preghiere e la penitenza erano state la pratica costante di tutti i suoi giorni. Per nulla attaccata alla vita, la sua unica aspirazione era il cielo e suo diventa il grido di San Paolo: “Desidero essere disciolto da questo corpo di morte ed essere con Cristo”.

Il Signore ascolta l’invocazione. Zita si ammala di una leggera febbre e si pone in un letto. Tutti pensano che sarà certamente qualcosa di grave perché Zita non si metteva a letto per un male leggero. Viene chiamato il sacerdote. Zita fa la confessione della sua vita e riceve ancora una volta la Santa Eucaristia. Ella muore alle nove del mattino del 27 aprile 1278.

 

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