Il Conte Negromante
Quando nel 1698 il conte Giovanni Battista Negroni acquista il feudo ed il Castello di Monte Rubiaglio certamente ritiene di effettuare un doppio investimento: in primis un investimento finanziario poiché, essendo già in possesso della metà del castello portatogli in dote dalla consorte Ludovisi, giudica remunerativo acquistare l'altra metà da Maria Paola erede dei Monaldeschi della Cervara per avere la proprietà dell'intero complesso, anche se isolato e distaccato dalla sede degli altri suoi interessi economici; in secundis, ma non per importanza, un investimento professionale perché il castello gli offre, pronto e disponibile, quanto a lui necessita per la pratica delle sue arti e lo svolgimento delle sue ricerche. L'isolamento del borgo dai centri vicini e l'isolamento del castello dal borgo gli consentono una autonomia operativa di tutto rispetto. La chiesa nei sotterranei, i sotterranei, l'incrocio magico esattamente sotto la torre nord ovest, la presunta presenza di fantasmi, l'ottima visibilità della luna, la presenza di animali notturni tanto cari alle scienze occulte, l'ingresso segreto al castello lo convincono della peculiarità del sito ad essere la sede ideale per lo studio delle sue arti. Dà inizio immediato all'adattamento dei due ambienti di suo interesse: lo studio ed il laboratorio. Lo studio viene ricavato al quarto piano della torre nord ovest: originariamente ad "L" viene suddiviso in due locali di diversa grandezza. Nel maggiore, orientato lungo l'asse nord sud e munito di una finestra ad ovest elegge, infine, il proprio studio privato. La descrizione dei dipinti dello studio è già avvenuta. Il laboratorio lo ricava, invece, dall'esistente chiesa della Madonna della rosa nei sotterranei del castello. La chiesa, di circa 150 metri quadrati di superficie, ha pianta a croce latina e conserva le spoglie mortali dei Monaldeschi della Cervara. L'ultima salma tumulata è, infatti, quella di Lucantonio II Monaldeschi della Cervara, morto sabato 15 maggio 1674 e sepolto il giorno successivo nella cappella Monaldeschi di questa chiesa. Si può dire che il Conte acquisti con il castello, anche il cimitero della famiglia Monaldeschi in quanto, salvo rarissime eccezioni, certamente dal 1262 al 1674 ovvero per 17 generazioni, i Monaldeschi della Cervara di Monte Rubiaglio vengono sepolti nella loro cappella nei sotterranei del castello. Non è noto che fine abbiano fatto questi corpi in quanto nessuna dichiarazione di rilocazione è giunta fino ad oggi. Nell'inventario dei beni stabili e mobili del 1748, redatto dal curato priore Tommaso Taschini, questa chiesa è già leggenda a meno di vent'anni dalla morte del Conte. Molto probabilmente i suoi successori od i suoi discepoli si sono affrettati ad occultarla a terzi. Uno stralcio dell'inventario tramanda: "Nell'ingresso di questo castello a mano manca vi era anticamente una chiesola rinomata, la Madonna della rosa, nella quale per ordine del rev. vicario generale, e per adempiere il desiderio del popolo di questo Castello nell'anno 1585 a dì 20 gennaio venne ad erigervi e fondarvi la compagnia del ss. rosario il rev. predicatore Ambrogio Giustini dell'ordine dei predicatori da Torre Alfina, lasciando che nel quadro vi si dipingessero i misteri del SS. rosario con San Domenico e Santa Caterina". Il quadro descritto nell'inventario è commissionato da Luca Gentile Monaldeschi della Cervara, signore del Castello di Monte Rubiaglio, al grande pittore orvietano Cesare Nebbia (1536-1614), il quale lo termina solo nel 1586 durante una pausa della sua trasferta romana alla corte del Pontefice Sisto V. Oggi questo quadro che dimostra, insieme all'inventario, l'esistenza della chiesa della Madonna della rosa nei sotterranei del castello, si trova nella chiesa parrocchiale di Monte Rubiaglio, ivi collocato durante i lavori di occultamento, appunto, della chiesa della Madonna della rosa nei sotterranei del castello nel 1698. Avendo questo dipinto subito pesantemente gli affronti del tempo, è utile darne una sommaria descrizione. Sullo sfondo nella penombra di una cripta, quale deve essere la chiesa della Madonna della rosa nei sotterranei del castello, appena illuminato dalla luce filtrante da una piccola finestra sulla sinistra, si erge su un podio la Vergine con manto verde sopra la tunica bianca. Ha il busto scoperto, il capo coronato dall'aureola, è seduta, mentre tiene il Bambino, completamente nudo, con la destra, a braccia aperte, la cui mano sinistra porge la corona del rosario a San Domenico, ritratto di profilo in cappa nera e tunica bianca, stempiato e con capelli e barba bianchi, le mani aperte all'altezza del petto, mentre la testa coronata di triara di Papa Sisto V e quella di Luca Gentile si scorgono dietro quella del santo; la sinistra invece compie lo stesso gesto verso Santa Caterina, con cappa nera e tunica bianca, che prega a mani giunte; e qui si intravedono tre teste di donne, forse quelle di casa Monaldeschi, dietro la sua. Quale cornice del dipinto, ad eccezione della base, vi sono in tutto 15 formelle circolari, inserite in una fascia rossa bordata d'oro, con i misteri del rosario. In basso, sulla base del dipinto, vi è poi un ampio spazio, largo quanto la sacra scena, con una finta cornice contenente una iscrizione solo parzialmente leggibile: gravi lacune impediscono di chiarire a fondo il senso della dedica. Quando, nel 1698, il conte Giovanni Battista Negroni acquista il castello, cede alla chiesa parrocchiale gli arredi sacri ed i dipinti presenti nella chiesa della Madonna della rosa, ubicata nei sotterranei del castello stesso, riservandosi per sé l'area e le tombe con le spoglie mortali dei Monaldeschi della Cervara. Il famoso dipinto di Cesare Nebbia La Madonna del SS. rosario, viene anch'esso traslato dalla chiesa castellana e restaurato. Durante questo, unico, restauro sono aggiunte, con discutibile gusto artistico, la collana di sfere di corallo rosso che orna il collo del Bambino ed una finestra, sulla destra dello sfondo, che mostra un cielo azzurro con grandi nuvole candide in stridente contrasto con la fioca luce penetrante dalla piccola apertura dipinta sulla sinistra dello stesso sfondo. Il dipinto, probabilmente per essere inserito in una nicchia, ha tre lati rettilinei, mentre la sommità è ad arco a tutto sesto: le dimensioni sono 1,80 metri di larghezza e 2,80 metri di altezza massima. Cesare de Tommaso Nebula, discepolo del Muziano, pittore manierista della controriforma, prima Braghettone, poi pittore ufficiale di Papa Sisto V dal 1585 al 1590 e successivamente dei cardinali Carlo e Federigo Borromeo, esegue in questo tempo quattro opere col soggetto della Madonna del rosario: la prima, rubata nel 1982, è per la chiesa parrocchiale di Torre Alfina, la seconda, l'unica non su tela, ma su tavola, per una cappella della chiesa del Castello di Trivinano nel 1584, la terza per la chiesa di San Domenico in Orvieto, la quarta per la chiesa della Madonna della rosa nel Castello di Monte Rubiaglio nel 1586. Negromanzia, in generale, è sinonimo dell'arte del divinare, dal greco nekròs, morto e mantéia, predizione. In particolare, indica l'evocazione dei morti per interrogarli sul futuro e in questo senso ha non pochi punti di contatto con il moderno spiritismo. Questa pratica è antichissima, e già la legge di Mosè la condanna. Al tempo dell'imperatore Costantino i negromanti incorrono nella pena di morte con il supplizio del fuoco. Il cattolicesimo, infine, impiega notevoli risorse per la distruzione della negromanzia e dei negromanti, tuttavia la pratica sopravvive all'azione distruttiva. Nei suoi Dialoghi dei morti lo scrittore greco Luciano di Samosata fornisce ampia descrizione della negromanzia, esaminando ben trentadue riti diversi per conversare con i morti ed ottenere da essi le notizie che si desiderano. Al suo tempo il Conte la pratica seguendo tre riti: o bagnando con del sangue umano alla temperatura corporea di 37 gradi centigradi il cadavere di un essere umano morto, mentre contemporaneamente gli chiede di dare risposte sicure sul futuro; o per incubazione, cioè ponendosi direttamente sulla, o nella, tomba. In genere vengono attribuite superiori conoscenze a quei morti che in vita hanno dimostrato particolari capacità ed il conte Giovanni Battista, disponendo di cadaveri di grandi uomini della famiglia Monaldeschi può ben esercitare quest'arte. Verosimilmente il Conte predilige la tecnica dell'incubazione in quanto, non disponendo di cadaveri recenti, ma quasi completamente di scheletri, si adagia sulle o nelle loro tombe di cui copiosamente ha il possesso. L'incubazione avviene nella chiesa sconsacrata della Madonna della rosa, nelle segrete del Castello di Monte Rubiaglio, fuori dagli sguardi curiosi ed estranei. L'ultimo rito negromantico che il Conte esegue è quello di bruciare l'intero cadavere, fino a ridurlo in cenere, e di unirvi altre sostanze in modo da ottenere un leggero ammasso informe, per trasportarlo in altri luoghi ed in ogni momento. Questa tecnica è ben descritta nel libro secondo, capitolo sesto dell'opera Magiæ naturalis, sive de miraculis rerum naturalium, di Giambattista Della Porta
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