Il Conte Alchimista

Una particolare scultura rimane a testimoniare il connubio tra il sacro ed il profano dell'anima del Conte e, nuovamente, la sua fedeltà agli insegnamenti di Giambattista Della Porta. E' una insegna araldica voluta dal conte Giovanni Battista Negroni che racchiude tutto il suo Io e che nulla ha a che Simbolo alchemico della Pietra Filosofalevedere con quella della casata Negroni. La scultura rappresenta l'Agnus Dei con croce e gloria affiancato da due gigli dipinti in sezione sormontati ognuno dal loro fiore visto in pianta. Secondo le teorie di Giambattista Della Porta e del conte Giovanni Battista Negroni simboleggia la trasformazione del proprio nome nel simbolo dell'Agnus Dei (uomo-animale) ed ancora la trasformazione di questo nel giglio (animale-vegetale) che tuttora lo affianca nello stemma in pietra da lui fatto scolpire. Questa scultura è stata traslata dal castello e murata nel campanile della chiesa parrocchiale, da chi e quando non è dato sapere, forse come ex voto per la morte del Conte. La triade fisiognomica identifica in modo certo l'attività alchemica del conte Giovanni Battista Negroni. Questa arte misteriosa, così chiamata dall'arabo al kimiya, pietra filosofale o forse dal greco chiméia, mescolanza, che pure è stata di grande aiuto alla chimica, ha una storia che si perde nel tempo: gli Egiziani e poi i Greci si interessano della tecnica di trasmutare i colori dei metalli, dando loro delle patine. Gli Arabi apprendono queste nozioni insieme a quelle di astrologia e astronomia e, nel tentativo di mutare non solo il colore ma la sostanza, trasmettono ai ricercatori europei l'ansia di poter giungere ad appagare i due maggiori desideri degli uomini: la ricchezza e l'eterna giovinezza. L'alchimia, che permane fino al principio del XIX secolo, non è che un lungo studio per cercare di trovare la pietra filosofale che serve per convertire i metalli non nobili in oro, e l'elisir di lunga vita, una panacea che non soltanto guarisce ogni male, ma conserva al corpo umano, per secoli, l'elasticità e la vigoria della giovinezza. Dalle ricerche pazienti degli alchimisti sono scaturite preziose scoperte per la chimica moderna: oltre a varie tecniche e strumenti (alambicco, bagnomaria) si deve agli alchimisti la scoperta dell'acido nitrico, di quello solforico, di quello cloridrico, dell'etere, dell'ammoniaca e dell'alcool. A metà del XX secolo, sia pure in minima quantità, si è ottenuta con il bombardamento dei nuclei atomici, la trasmutazione degli elementi e si è così confermata la verità della materia unica intuita dagli alchimisti. La pratica di questa arte è istituita in Egitto da Ermete Trismegisto, poi dal biblico Enoch. Alchimisti di rilievo sono Zosimo di Panopoli nel V secolo, l'arabo Giabir ibn Hayyan nell'VIII secolo che riesce a separare vari metalli ed a preparare leghe, il bizantino Michele Costantino Pisello nell'XI secolo, autore della Chrysopoea, Arnaldo da Villanova nel XIII secolo, che scopre l'etere solforico ed il nitrato di argento, nonchè prepara l'alcool puro e se ne serve per uso terapeutico, anche se alcuni assegnano la scoperta a Girolamo Cardano insieme alla precipitazione del rame, Raimondo Lullo da Majorca nel XIV secolo, inventore di una panacea universale e scopritore del cloruro mercurioso o calomelano, il monaco bizantino Basilio Valentino nel XV seolo, che scopre per primo l'acido cloridrico con l'azione del vetriolo sul sale marino, che individua le caratteristiche e le proprietà dello stagno, del manganese, dell'antimonio e del bismuto, la disidratazione del carbonato di potassio, nonché sperimenta l'uso interno del tartaro emetico. Altri ancora sono il Libario che scopre il cloruro stannico ed il vetriolo, Nicolò Flamel che isola l'acido solforico dalle ossa e fabbrica l'arsenico e l'antimonio, lo Schwarz che inventa la polvere da sparo nel 1320, il Brand che scopre e produce il fosforo dalle urine nel 1669. Fra i più noti alchimisti in assoluto si ricordano Ruggero Bacone (1241-1285), Alberto Magno detto doctor universalis (1200-1280), santificato nel 1931 da Pio XI e nominato, nel 1941 da Pio XII patrono dei cultori di scienze naturali, poiché con un proprio forno a riverbero riesce ad estrarre l'argento dal piombo, Paracelso (1493-1541), che riesce a produrre l'idrogeno con aceto su limatura di ferro ed a fabbricare l'etere etilico, anestetico in uso per secoli, nonché autore di un Tractatus de Alchimia, van Helmont (1577-1644) Giambattista Della Porta (1535-1615) e Giuseppe Balsamo (1743-1795), conte di Cagliostro. Fra il 1400 ed il 1600 le esperienze alchimistiche nella preparazione di estratti e concentrati di erbe medicinali danno inizio alla iatrochimica, una prima forma empirica di quella che in seguito diviene la chimica biologica e farmaceutica. Nonostante la scientificità dell'alchimia, questa va d'un sol passo con la stregoneria e con l'occultismo, fosco alone di leggenda e di tregenda che la segue fino al principio di questo secolo, a torto o a ragione disprezzata e derisa, sebbene già dal '600-'700, per merito soprattutto dei vari Glauber, Palissy, Bringucci, Leonardi, Rossetti, Piccolpasso, Neri, fisica e chimica abbiano imboccato una via propriamente scientifica specie per l'aspetto industriale. Se pur mescolata alquanto con astrologia e magia, essa è già pervenuta a considerare i corpi come fenomeni commutabili di una medesima ed unica materia prima elementare. Gli alchimisti oggi sono scomparsi, o meglio si sono trasformati in ricercatori scientifici, ma la colonna magica dell'alchimia continua a sopravvivere, ad operare, a ricordare. Membri di questa colonna testimoniano che il conte Giovanni Battista Negroni è stato il primo a sperimentare con successo la pietrificazione dei tessuti umani. Durante gli studi per la ricerca dell'Elisir di lunga vita, una panacea che non soltanto guarisce ogni male, ma conserva al corpo umano, per secoli, l'elasticità e la vigoria della giovinezza, la sperimentazione su cadaveri umani e su loro parti ha portato il Conte ad ottenere almeno una mano, quella sinistra, pietrificata ma flessibile, non putrescente e con una certa articolazione dei nervi, dei muscoli e delle ossa. Nell'ambiente questa mano è stata definita la mano del diavolo e, sembra, che sia rimasta tale dopo oltre due secoli.

Sperimentazioni simili in epoche successive condotte da Raimondo de Sangro e da Girolamo Segato, supportate a tutt'oggi da prove tangibili, avvalorano questa tesi.Fino alla diffusione della televisione, a cavallo dell'anno 1960, quando i nuclei familiari e di amici si riuniscono per trascorrere insieme alcune ore dopo una giornata di lavoro, nel borgo di Monte Rubiaglio di discute spesso di questa mano staccata dal corpo che sembra viva a tutti gli effetti. Certamente qualcuno l'ha vista, forse un servo, forse il factotum del Conte. Sicuramente qualcuno ha divulgato la notizia nel borgo ed oltre. Chissà che non sia stata proprio la diffusione di questa notizia a gettare velocemente in disgrazia il conte Giovanni Battista Negroni. Oggi nessuna prova testimoniale o documentale emerge per far conoscere la verità. Gli anziani raccontano di aver udito dai loro vecchi di questa mano che, muovendosi autonomamente, batteva le nocche sui vetri della finestra dello studio del Conte, nella torre, sempre illuminato durante tutta la notte da un candeliere da tavolo: verosimilmente tutto ciò non può non essere impregnato dal terrore o dalla superstizione tanto da trascendere dai meri fatti obiettivi, peraltro già singolari. Questa mano, inoltre, batte colpi sui mobili, sui muri, solleva o tira le coperte del guardiano del castello, chiude le porte, esegue altri movimenti. Nel locale adiacente lo studio le formelle del soffitto alla ducale vengono dipinte con una quarantina di fiori e bacche in modo tale da far assumere a questo soffitto il ruolo di un trattato di botanica o di erboristeria. Purtroppo lo stato attuale di conservazione non consente l'identificazione certa dei soggetti dipinti. Il Conte esercita l'alchimia anche a scopi terapeutici. A lui viene attribuita la scoperta di un medicinale liquido disinfettante e cauterizzante per le ferite profonde da combattimento sia all'arma bianca che da fuoco. Il liquido è composto da urina di cinghiale contenuta nella propria vescica: in fermentazione sviluppa fosforo, similmente alla scoperta di Brand. Si riportano altre due ricette attribuite al Conte, ma l'idioma usato appare, a chi scrive, antecedente all'epoca del conte Giovanni Battista Negroni: "Per non ingravidare. Recipe rugine di ferro e dalla a bere alla donna che non potrà concepire", "Per le moroide. Recipe herba centonodi e portala addosso che tocchi la carne che conforme si secca l'erba, si seccano le moroide": ovvero, procurati l'erba Centinodia e portala addosso, in modo che aderisca alle emorroidi. Quando si seccherà l'erba si essiccheranno le emorroidi. Il primo vocabolario d'italiano per Italiani, edito nel 1870, alla voce Centimorbia recita: "Pianta comune nei campi che gli antichi usavano contro le emorragie e da lungo tempo abbandonata all'empirismo de' contadini". In un trattato di erbe medicinali del 1981 questa pianta ritorna alla ribalta della cultura ufficiale e corrente che riscopre i benefici delle erbe officinali. La Coreggiola appartiene alla famiglia delle Poligonacee ed è denominata Polygonum aviculare, Poligono degli uccelli, Erba dei cento nodi, Lingua di Passera, Centinodia, Centimorbia, caratterizzata da steli molto nodosi, di cui fanno parte anche il pepe d'acqua, la bistorta, l'acetosa ed il romice. Infatti un nome volgare, erba dei cento nodi, conferma il particolare morfologico della pianta che è molto resistente. La Coreggiola si sviluppa rapidamente infestando grandi aree, è resistente al calpestìo e crea non pochi problemi di diserbo quando si sviluppa nei prati e negli acciottolati. E' molto gradita al bestiame, soprattutto ai maiali; gli uccelli si cibano dei suoi semi bruni. Si utilizza la pianta intera e l'epoca migliore per raccoglierla è il periodo della fioritura da giugno a novembre. Conosciuta da sempre, è un antico medicinale emostatico; i Latini la chiamavano Sanguinaria. Viene utilizzata, per molto tempo, contro l'emottisi e la tubercolosi polmonare, creando uno scandaloso commercio, in quanto si abusa della credulità dei pazienti. Oggigiorno la Coreggiola è usata per la cura del diabete in quanto fa diminuire la sete, sintomo di questa malattia. Comune in tutta Italia fino a 2.300 m s.l.m., alta da 10 a 50 centimetri, annuale, con fusti numerosi, prostrati, gracili, striati, verdi fino alla sommità dei rametti; foglie alterne, sessili, piccole, lanceolate, con nervature sulla pagina inferiore, circondate, alla base, da una guaina argentata con nervature; fiori bianchi o rosa, piccoli, quasi sessili, riuniti da 1 a 4 all'ascella delle foglie, lungo il fusto, 5 sepali, senza corolla, 8 stami, 3 stimmi; achenio bruno, piccolo, trigono, con 1 seme. Sapore astringente. Costituenti: tannino, resina, olio essenziale, silice, mucillagine, pigmenti flavonici. Proprietà: astringente, diuretico, emostatico, lassativo, vulnerario. E' impiegabile per: cellulite, diabete, diarrea, diuresi, epistassi, gotta, leucorrea, litiasi, piaga. E' possibile, data la labilità del confine tra l'alchimia e le pratiche rosacrociane, che il Conte sia stato un membro della setta dei Rosa Croce. Questa associazione è sorta in Europa nel XVII secolo con finalità politiche, mascherate con l'esercizio di pratiche alchimistiche, cabalistiche e teosofiche. E' ben rappresentata dal teologo luterano Giovanni Valentino d'Andrea nella sua opera Fama fraternitatis Rosæ Crucis (1614). Combattuta dai Gesuiti e bersagliata dalla caricatura, ha breve durata. Tuttavia la massoneria s'impossessa di molti dei suoi motivi e simboli. L'ordine dei Rosa Croce, il cui nome ufficiale è "Antico ordine mistico di Rosæ Crucis", ha per proprio emblema una croce d'oro con una rosa rossa al centro. L'ordine sorge in Europa nel medioevo richiamandosi ad una scuola mistica dell'antico Egitto esistita dal 1500 a.C. ed il cui primo grande maestro sarebbe stato il Faraone Amenhotep IV. Nel 1620 circa il filosofo Francis Bacon ne definisce gli scopi fondamentali riportandola in auge

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