Le mie origini sono marinare, ed il mare è sempre stato per me un punto di riferimento importantissimo, le sue ferite sono le mie; gli allarmi lanciati da varie parti sul suo stato di salute non sono abbastanza forti quanto vorrei che fossero: parlo della costa su cui si affaccia il mio paese e dove ho vissuto la mia giovinezza.
Era ricchissima di pesci e di molluschi di ogni varietà, nè mancavano granchi, granceole, arselle, patelle e ricci; vi erano colonie di "tremolina", che sembravano messe lì apposta per innescare la tua lenza.
Ancora non si conoscevano canne e mulinelli e noi ragazzi disponevamo di lenze di filo di canapa, (lenzino), avvolte su un pezzo di sughero opportunamente sagomato per avvolgervele.
Il massimo della raffinatezza era poter disporre di un terminale di filo ricavato dal baco da seta, e che per questa origine veniva chiamato anche "filo-verme" o filo di Spagna; il filo di nylon era ancora di là da venire.
Nè vi era necessità di attrezzi sofisticati, perchè bastava un pezzo di filo di cotone da reti con attaccato un amo innescato con qualsiasi materiale commestibile, come gli scarti della lavorazione delle acciughe, perchè non appena la lenza innescata toccava l'acqua venisse circondata da una miriade di pesci affamati, che abboccavano subito se la loro bocca era tale da superare la dimensione dell'amo.
La pesca dei polpi era a dir poco straordinaria, perchè tutte le mattine non vi era gozzo, ed erano in tanti, che tornasse a terra senza aver pescato niente.
La rivalità tra i partecipanti a questo genere di pesca era altissima ed ognuno cercava di sfruttare a proprio vantaggio la fortuna di essersi imbattuto in un maggior numero di polpi, senza che questo potesse attribuirsi ad un grado maggiore di abilità.
In genere era più una questione di acutezza visiva che di tecnica, perchè una volta individuato difficilmente il polpo poteva sfuggire alla cattura; inoltre è da dire che la pesca del polpo era considerata di bassa valenza ed un "vero" pescatore difficilmente vi si dedicava.
Tra i più accaniti aspiranti ad essere considerato e ad autodefinirsi il più esperto ve ne era uno che ricordo con affettuosa simpatia, perchè era una persona veramente squisita, se solo non avesse avuto il malvezzo di vantarsi della sua presunta bravura, il che lo rendeva inviso a molti.
Si chiamava Giuseppe, ma per tutti era don Peppino, ed abitando proprio davanti agli approdi delle barche, non gli sfuggiva niente di quello che accadeva sulla spiaggia.
La sua curiosità era diventata proverbiale quanto le sue spacconate.
All'epoca io ero poco pù che quindicenne e facevo coppia fissa per le nostre uscite in mare durante le vacanze scolastiche, con mio zio Pietrino, di molti mesi più giovane di me, nonostante il grado di parentela non lo facesse pensare, tanto che su questo era solito prenderci in giro don Peppino, perchè secondo lui io avrei dovuto dare del "voi" a mio zio e salutarlo con il "sabbenedica", come del resto era la prassi corrente di quel periodo.
Una bella mattina in cui avevamo pescato una discreta quantità di polpi ed una grossa murena di tre chili, evento molto raro quando si va per polpi, pensammo bene di fare uno scherzo a don Peppino, che quella mattina non era uscito a pescare.
Se ne stava tranquillo seduto davanti alla porta di casa, intento a fabbricare una nassa per le aricciole, sulla strada che noi dovevamo percorrere per andare al nostro magazzino, e da questa postazione non si lasciava sfuggire l'occasione per prenderci in giro, scherzando sia sulla nostra parentela che sulle nostre capacità marinare.
L'occasione era troppo bella per lasciarcela sfuggire, per cui pensammo di colpirlo proprio nella sua esagerata stima di sè.
Tirato a secco il nostro "gozzo" ci procurammo una cesta, di quelle che i pescatori usavano per metterci alici e sardine, e la riempimmo di cordami e sassi per più della metà; su questo sottofondo adagiammo i nostri polpi e la murena, e così conciata la prendemmo un manico per uno e ci avviammo verso il nostro magazzino.
Quando don Peppino ci vide passare affaticati davanti alla sua casa sotto il peso di quella cesta apparentemente piena di polpi, non riuscì a frenare la sua curiosità e venne a vedere da vicino la pesca...miracolosa.
Suo malgrado dovette ammettere che noi eravamo stati bravi con i nostri occhi di falco a scovare tanti polpi e non la finiva più di commentare anche la straordinaria cattura della murena e di come avevamo potuto issarla a bordo senza essere stati ...divorati da quel mostro!
Noi eravamo gongolanti per il successo del nostro stratagemma e non sentivamo più lo sforzo di aver dovuto trasportare quella cesta piena di sassi; ma ogni medaglia ha il suo rovescio, perchè i commenti urlati di don Peppino per l'evento eccezionale attirarono la curiosità di molti altri pescatori, che venuti a curiosare a loro volta, scoprirono la magagna e indirettamente furono cagione dei fulmini che ci piovvero addosso.
Don Peppino non ci volle perdonare malgrado le nostre scuse e contrizioni, mio padre mi spedì in campagna e per quella stagione ho dovuto dire addio al mio mare e ai suoi pesci.