UNO
stadio di calcio in Afghanistan. Gente sulle gradinate, una folla che
grida e inneggia. A chi, verso cosa? Non c'è una partita in programma, non
ce ne sono mai qui. Non si vede bene: le immagini oscillano, tremano, si
offuscano e a tratti si ciecano. Eppure d'improvviso si fa chiaro, troppo
chiaro quello che sta per accadere: tre donne col burqa, la veste che
copre e nasconde interamente le afghane, entrano sul campo a bordo di un
camioncino. Un uomo armato, col turbante, ne strattona una giù, la fa
inginocchiare al limite dell'area di rigore. Si vede di nuovo pochissimo,
forse la donna gira il busto, come a guardare cos'è quella cosa fredda
puntata alla nuca. Nessuna cerimonia, parte un colpo. Davanti a lei, sulla
traiettoria di tiro, si alza una nuvoletta di polvere provocata dal
proiettile che le ha attraversato la testa. La donna muore e si accascia.
La folla esulta, si piega e si arcua per catturare una migliore visione
della scena: il corpo della donna è in terra, il burqa azzurro si tinge
velocemente di rosso sangue.
È questo uno dei più scioccanti filmati di una esecuzione pubblica che
l'Occidente abbia mai visto in tv. Forse il migliore, se così si può dire,
documento delle atrocità perpetrate dai Taliban. È solo una piccola parte
di uno sconcertante documentario che dura un'ora e che va sotto il nome di
"Dietro il velo" e che la Cnn sta trasmettendo in queste ore. Girato dalla
giornalista di origine afgana della Bbc, Saira Shah, che lo scorso anno ha
viaggiato clandestinamente in Afghanistan.
"Dietro il velo" svela l'orrore della vita sotto il regime dei Taliban,
dalle pubbliche esecuzioni per reati come prostituzione e adulterio, alla
brutalità della polizia fondamentalista e alla carneficina dei civili che
vivono al confine tra la guerra civile con la Northern Alliance,
l'Alleanza del Nord.
Ma
alcune delle più agghiaccianti scene del documentario, compresa quella
dell'esecuzione della donna nello stadio, non le ha girate la Shah ma
un'organizzazione di donne afgane che ha collaborato con la giornalista
della Bbc: si tratta della Revolutionary Association of the Women of
Afghanistan (Rawa), che opera clandestinamente e le cui associate
rischiano ogni giorno la vita nel tentativo di combattere il regime
talibano attraverso la documentazione e pubblicità della loro brutalità.
La Rawa è stata fondata nel 1977 da un gruppo di femministe afgane con
l'obiettivo di promuovere e tutelare i diritti delle donne ma ha dovuto
allargare la propria misura d'intervento quando i fondamentalisti hanno
preso il potere nel Paese. Determinate a far conoscere al mondo di quali
terrori fossero capaci i Taliban, le donne della Rawa hanno cominciato a
filmare tutto ciò che potevano nascondendo sotto il burqa piccole
telecamere. È questa la ragione per cui le immagini sono spesso di cattiva
qualità, tremanti, buie. Ed è grazie alle donne della Rawa che giornaliste
come Shaila Shah e Eve Ensler, l'autrice dei "Vagina Dialogues", hanno
potuto metter piede clandestinamente in Afghanistan e portare in Occidente
le prove dell'orrore.
E contro la legge dei Taliban che vieta alle donne di avere un'istruzione,
la Rawa tiene in segreto, in case private, corsi di persiano e matematica
per donne e bambini, cambiando di volta in volta casa e orario delle
lezioni per evitare di essere scoperte e uccise. E sempre alle donne, cui
è vietato dal regime lavorare, la Rawa insegna a costruire manufatti di
piccolo artigianato e a venderlo online.
Nei campi profughi in Pakistan, si cura dell'assistenza medica,
dell'alloggio e dell'educazione degli afghani fuggiti dai fondamentalisti.
"Non abbiamo mai conosciuto felicità né democrazia", riassume
dolorosamente Fatima, nome in codice per una giovane attivista
dell'organizzazione (vedi intervista). È per tutto questo che oggi la Rawa
è diventata un'acerrima nemica dei Taliban, infuriati di dover avere a che
fare con circa 2000 donne operanti tra Afghanistan e Pakistan che minano
il loro potere scoprendo ciò che loro coprono: simbolico e paradossale il
caso del burqa, imposto alle donne perché rimangano nascoste, dalle donne
della Rawa capovolto di significato e usato come strumento di svelamento
della verità.
Dopo l'attacco dell'11 settembre le cose sono peggiorate, dicono le donne
della Rawa. I confini chiusi tra Pakistan e Afghanistan impediscono di
conoscere che cosa stia accadendo dall'altra parte. Ai rifugiati ammassati
alle frontiere l'organizzazione non è più in grado di fornire sufficiente
assistenza. Dell'ennesima atrocità, dopo oltre un ventennio di guerra e
sangue, non vorrebbero le donne della Rawa essere spettatrici. L'orrore
che provocherebbe un attacco Usa non colpirebbe i Taliban, dicono, ma la
gente che dei Taliban è vittima da anni. Non potrebbe entrarci tutto il
dolore che ne verrebbe, neanche nel foro coraggioso del loro burqa.
(3 ottobre 2001) |