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Cos'è il soul? Quando nacque? Come si sviluppò? Proveremo a rispondere a queste tre domande, ben sapendo che la prima è la più difficile ed impegnativa. Potremmo cavarcela facendo l'elenco di alcuni brani e di alcuni interpreti. Ascoltandoli, se non capisci cos'è il soul, non lo capirai nemmeno con mille esaurienti spiegazioni. Però così non va. Non esiste che un individuo non sappia dar conto delle sue esperienze, anche le più mistiche o confuse. Non esiste che un individuo non sappia spiegarsi, o comunque non ci provi. Bisogna sforzarsi di ordinare le idee, esternare le emozioni e raccontare il loro accadere con tranquilla e distante chiarezza. Ecco: il soul è un prodotto di transfughi dalle chiese nere americane. E' la stessa musica che semplicemente cambia le frasi dei suoi testi e gli oggetti della sua narrazione. Non più lodi a Dio ed invocazioni a Jesus, ma storie d'amore e di vita, storie profane, gioie e dolori dell'esistenza, spesso il gramo tirare a campà dei neri del ghetto.. Nel trapasso, qualcosa si perde e qualcosa si guadagna. Ed il pathos si mantiene. La forza del soul sta nel suo pathos intenso e del tutto particolare. L'interprete non si esibisce semplicemente in una canzone, ma recita una parte. Il soul richiede consumati attori, un po' come l'opera lirica, ma con effetti meno ridicoli e plateali, anche se di non minore intensità. Potremmo dire che il soul è la lirica del rock e del blues: in fondo non andremmo lontano dall'essenza della questione se pensate ad un capolavoro come Jesus Christ Superstar. Detto questo, abbiamo già fatto un bel pezzo di strada. Peter Guralnick, che sembra essere il massimo esperto di soul music (1), limita ulteriormente il campo della definizione, escludendo la musica della Motown, cioè l'etichetta discografica di Filadelfia e cita Jerry Wexler, vicepresidente dell'Atlantic: «La Motown ha compiuto "un'impresa che sulla carta pareva impossibile: hanno preso la musica nera e l'hanno diffusa direttamente presso i teenagers bianchi americani".» (1) Ma quello non era soul. «Mi riferisco - continua Guralnick in prima persona - a un genere di musica assai meno controllata, basata sul gospel e ricca di emozionalità, che si è sviluppata sulla scia del successo di Ray Charles dal 1954 circa in avanti ed è giunta alla massima fioritura, insieme alla Motown, nei primi anni '60. Per parecchio tempo tale musica si rivolse, quasi esclusivamente ad un pubblico nero cresciuto a contatto con l'emozionalità disinibita della chiesa e a una schiera clandestina, ma sempre numerosa, di giovani appassionati bianchi che ascoltavano il rhythm and blues alla radio, considerandolo la chiave di un mistero che essi avevano giurato di non rivelare.» (1) Col che avremmo davvero risposto sia alla prima che alla seconda domanda, se non fosse che le cose sono forse un pochino più complesse. Pur ponendo Ray Charles all'inizio della storia, ed ammettendo che non veniva dal nulla, bisogna allargare un attimo l'orizzonte, perchè la tradizione musicale delle chiese non toccò direttamente il nostro Ray: alle spalle aveva ben altro. Qualcosa si muoveva nel profondo tra jazz e musica leggera di intrattenimento alla fine degli anni '40 e all'inizio dei '50. Tramontata l'era delle grandi orchestre swing, i jazzmen facevano del bop negli afterhours, mentre quelli più motivati al successo commerciale cercano di battere nuove vie. Louis Jordan era diventata la stella di un jazz molto semplice e molto sincopato, popolare, commerciale, con lati istrionici e persino cialtroni. Il grande mercato bianco era dominato dall'emergente Frank Sinatra, ma certo non dispiaceva un nero come Nat King Cole autore ed interprete di musica piacevole ed accattivante (ma per nulla semplicistica) E, se mi date retta, non rinunciate né all'uno né all'altro. L'ascolto delle loro migliori interpretazioni vi farà capire cosa bolliva in pentola da un lato, e quali influenze esercitarono, visto che i compartimenti stagni non esistono. Una volta "esploso", le parti si rovesceranno: sarà Frank Sinatra a riconoscere che l'unico genio della scena americana era Ray Charles. Etichetta che Ray cercherà di scrollarsi di dosso, non senza un pizzico di modestia: "i geni sono Einstein e Leonardo, io sono un cantante." Un po' come Coltrane, anche Ray ci mise del tempo a trovare una propria identità. All'inizio era un ammiratore di Nat King Cole e proponeva un repertorio poco personale. Era nato ad Albany, in Georgia, nel 1930 e si chiamava Ray Charles Robinson. Ma visse la sua infanzia a Greenville, Florida. A sei anni cominciò a perdere la vista per un glaucoma, dopo aver vissuto il dramma dell'annegamento del fratello in una tinozza d'acqua! Aveva frequentato la scuola per sordi e ciechi, imparando a leggere e scrivere la musica in Braille. Suoi grandi amori di gioventù erano stati artisti classici come Chopin e Sibelius, e pianisti jazz come Art Tatum, Earl Hines e Teddy Wilson. Sua madre morì quando Charles era quindicenne. Ray rimase solo al mondo. Lasciata la scuola si trasferì a Jacksonville e qui cominciò a fare il professionista della musica. Suonò in una big band stile Count Basie, poi in una formazione più piccola alla Louis Jordan. A Tampa, Florida, si unì a ai Florida Playboys, un gruppo di hillbilly. Con loro mparò a fare gorgheggi yodel. Nel 1948 incise il suo primo disco: Confession Blues per la Down Beat, la casa di Jack Lauderdale. Nel corso di quattro anni incise per questa etichetta (che aveva cambiato il nome in Swing Time) oltre 40 pezzi. Un repertorio vario, che toccava anche il Rhythm and Blues, ma nulla di veramente originale. « Ogni disco - scrive Guralnick - mette in luce una dizione precisa, una presenza rilassata, alquanto fragile, una precoce sofisticazione che è praticamente indistinguibile da quella di un successo di quel periodo di Nat Cole o Charles Brown.» (1) Anche Charles Brown è una presenza importante, un precursore del soul forse più di Nat King Cole. Veniva dalla West Coast ed era un pianista di classe, consistente e dotato. La sua influenza su Ray Charles sarà forse più visibile col passare del tempo che non all'inizio, ma ascoltandolo non si possono che notare le affinità. Il suo compagno di etichetta era il bluesman Lowell Fulson. Ecco uno stile completamente diverso. Ray era lontano da Fulson quanto vicino a Charles Brown. Dopo aver suonato con Fulson, tra l'altro in un concerto all'Apollo di Harlem, Ray racconterà di che nessun aspetto della sua pur breve carriera sembrava soddisfarlo: «Ma se mi chiedete se c'era qualcosa che mi elettrizzava davvero, la risposta è no. Non voglio apparire egocentrico o immodesto, ma ho sempre vissuto la mia carriera come una scala. Pensate forse che reciti, che voglia fare lo sbruffone ma questa è la verità. Certo, non voglio negare che le cose mi andavano bene, che ero felice - ma non mi era mai capitato di esclamare "Wow, questo è il teatro Apollo, questa è New York! Niente del genere."» (1) La svolta si ebbe con l'incontro tra Ray Charles e l'Atlantic Records, che allora era una piccola etichetta. Nel '52 l'etichetta era nata da appena 5 anni. Fondata dal figlio dell'ambasciatore turco negli USA durante la guerra, Ahmet Ertegun, "l'Atlantic, come quasi tutte le etichette indipendenti, nacque da un entusiasmo, da un'autentica passione per la musica. Ma fatto più singolare che per quell'epoca, a fare la sua forza contribuì una miscela di creatività imprenditoriale, raffinatezza culturale, fiuto negli affari e buon gusto, tale miscela è rara in qualsiasi campo ma praticamente sconosciuta nell'industria discografica." (1) Il segreto della casa erano un tecnico del suono: il ventiduenne bianco Tom Dowd e l'esperto arrangiatore nero Jesse Stone. Dowd, definito da Guralnick "un musicista-fisico dall'educazione classica, era figlio di un primo violino e di una cantante lirica." Il primo successo dell'Atlantic fu Drinkin' Wine Spo-Dee-O-Dee eseguita da Stick Mc Ghee, fratello del bluesman Brownie Mc Ghee. Era il 1949. Nello stesso anno arrivò Ruth Brown, che fino ad allora non aveva saputo che imitare, anche se con gran classe, Billie Holiday e Sarah Vaughan. In casa Atlantic divenne "Miss Rhythm". Gli arrangiamenti di Jesse Stone illuminarono le produzioni di gruppi vocali come i Clovers, i Cardinals, i Drifters, che ebbero immediato successo, "ma il colpo grosso arrivò quando l'Atlantic scritturò uo dei suoi primi idoli, Big Joe Turner, e Jesse Stone scrisse una canzone che non solo rilanciò la carriera di Big Joe ma segnò una svolta nel rock 'n'roll." (1) Il titolo del brano era Shake, Rattle And Roll. Sulle ali di quel brano Bill Haley rischiò di stracciare Elvis Presley. E' in questo clima creativo ed insieme appagante che Ray Charles si trova improvvisamente inserito. (continua) (1) Peter Guralnick - Sweet Soul Music - Arcana guido marenco - 5 ottobre 2003 |
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