Mystery Jazz: l'ultimo decennio  

Questa musica che non smette di incantare e stupire
di Gualtiero Lucarelli

Tutte le storie del jazz finiscono sempre troppo presto. Anche le più recenti mancano del capitolo finale: gli ultimi dieci o ventanni non ci sono mai. E' inevitabile, visto che gli autori scrivono inseriti in un tempo che scorre più veloce dei loro pensieri e delle loro pubblicazioni.
E così, chi si trova a cercare qualcosa che sia rappresentativo dell'ultimo periodo, spesso brancola nel buio, schiacciato tra la storia con la S maiuscola dei libri e l'Attualità, altrettanto maiuscola delle riviste.
Volevo provare a riempire questo buco, ben sapendo di correre il rischio di qualche criticabile omissione.

Ero partito con l'idea di scrivere un articolo centrato su dieci cd. Poi discutendo con Guido, mi sono convinto che, una tantum, aveva ragione lui.
Perchè limitarsi? Facciamo una rubrica, la intitoliamo Gli ultimi dieci anni, cominciamo a scrivere da dove ci sembra più importante, e via via aggiungiamo...
E così faremo.

Con la scomparsa delle figure carismatiche, da Mingus a Coltrane, da Miles a Eric Dolphy, in parte allo stesso Lester Bowie, il jazz manca da tempo di precisi punti di riferimento, di apripista e guide a cui guardare nel presente.
A mio avviso un grande maestro ci sarebbe, visto che esiste un artista del valore di Keith Jarrett. Ma, non tutti sono d'accordo.
Tanto più che ci troviamo di fronte ad un fatto singolare.
Nessuno, tra i musicisti attuali più in vista si è mai realmente misurato con la musica di Keith Jarrett.
Come ne avessero timore (uscire gnomizzati dal confronto?).
Nemmeno i pianisti di più diretta derivazione, quali Brad Meldhau od il nostro, bravissimo; Enrico Pieranunzi hanno osato tanto.
Jarrett è uno dei musicisti meno "tributati". Nel 2000 uscì una compilation mediocre; As Long As You're Living Yours per la BMG: conteneva anche versioni pop delle sue composizioni. Forse, unico episodio di rilievo, la rilettura di Somewhere Before attuata dal clarinettista Don Byron, che non a caso è stato messo in evidenza nel logo di questa sezione speciale.

Non è solo l'amico Guido a nutrire qualche riserva su Jarrett. Anche se la critica italiana al termine del 2002 ha votato ex-aequo il suo Always Let Me Go come miglior disco insieme a Footprints Live di Shorter, conosco molti appassionati di jazz in Lombardia che non ritengono Jarrett particolarmente significativo, mentre altri lo sopportano appena.
Tra i musicisti che conosco le cose non vanno meglio, anche se, in genere, tra questi ultimi c'è più rispetto e meno prevenzione nei confronti di ciò che suona "diverso" e "totale".
Ho ritenuto comunque di inserire diversi dischi di Jarrett in questa panoramica per ragioni oggettive, oltre che soggettive. Largo successo di pubblico, grandi consensi dalla critica più aperta alle novità, i suoi dischi volano in cima alle classifiche, raccogliendo ammiratori anche estranei al solito circuito dei jazz-fans. I suoi concerti sono comunque e sempre degli eventi.
Per molti giovani, oggi, il jazz è soprattutto la musica di Jarrett.

Tuttavia, la realtà della musica improvvisata degli ultimi anni è quella di una democrazia diretta, responsabile e matura, nella quale più voci e più tendenze, ed anche più talenti, si confrontano, dialogano, collaborano, interagiscono, si separano senza rancore, od anche non si incontrano mai.
In questo quadro è ulteriormente maturato il contributo dei musicisti europei, africani, asiatici e sudamericani. Il loro peso si è fatto notevole, mentre l'Europa ha assunto, per la rilevanza dei suoi festival, il peso della sua produzione discografica, l'importante ruolo giocato dalle istituzioni culturali, una funzione di traino e di avanguardia.
Certo, New York ed i suoi loft, Chicago e Los Angeles hanno ancora il loro fascino, ma le capitali riconosciute del jazz, ormai, sono Perugia e Parigi, Berlino, Londra, Amsterdam e Copenhagen. Umbria Jazz è il festival più importante della scena mondiale, e probabilmente ha superato lo storico Montreaux.
Ma anche il campo degli artisti, vinto un certo complesso di inferiorità nei confronti dei più accreditati musicisti neri "col jazz nel sangue" da parte di quelli europei ed italiani, è in gran parte occupato da figure del tutto nuove, giovani talenti emergenti, tecnicamente preparatissimi, se non mostruosi.
Non c'è mai stata tanta ricchezza, insomma, e sarebbe disdicevole ignorarla tutta, o in parte.

Il fatto notevole, appunto, è che, oltre ai grandi lavori di Jarrett, la musica di questo ultimo decennio non è solo buona, ma spesso risulta bellissima, se non migliore di quella dei periodi precedenti.

Certo, la mia posizione è d'avanguardia. Io sono un progressista convinto: ritengo che il futuro ( e quindi il presente) sia sempre un pochino migliore del passato, se non altro perchè molti suonano con la consapevolezza di essere eredi e sviluppatori di un grande patrimonio. Lo hanno studiato perfino maniacalmente nei conservatori, nelle scuole di jazz, nei clinics estivi, sotto la guida di grandi musicisti e maestri.
Inoltre, non sono tra quelli che lamentano, ormai è diventato un luogo comune, che la perfezione tecnica abbia nuociuto alla spontaneità ed alla naturalezza delle interpretazioni.
Da quando il jazz si è aperto al folklore musicale dell'Europa, del mondo latino, del mondo arabo, la musica si è ulteriormente arrichita di motivi, ritmi e prospettive.
La stessa Africa è stata riscoperta senza caricaturali mediazioni jungle ed i ritmi tribali, il melos particolare del mondo ancestrale, hanno fatto ritorno in grande stile nella loro purezza.
Ma, come insegna Jarrett, il grande evento che ha rivoluzionato il jazz è stato il fecondo incontro con la grande tradizione classica europea. Io sono rimasto letteralmente folgorato dalle rivisitazioni che Uri Caine ha condotto ultimamente su Mahler e Beethoven; l'ultimo disco di Uri Caine sulle Diabelli Variationen è un capolavoro assoluto.

Tutto ciò merita di essere conosciuto.

Gualtiero Lucarelli - 30 luglio 2003

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