Lizz Wright - Salt - Verve
di Guido Marenco


Capita raramente che io e Lucarelli si sia d'accordo su giudizi musicali.
Questa volta però mi trovo abbastanza in sintonia con le sue valutazioni, anche se il mio voto è 7½, cioè un punto più alto. E non solo perchè bisogna essere di manica larga con gli esordienti. Cinque tracce sono state composte dalla stessa Lizz Wright, e questo depone a favore di qualità d'autore. Tra l'altro la fanciulla ha recentemente cofirmato Till Then con Danilo Perez, la title track del nuovo cd dell'ormai acclamato pianista di Wayne Shorter.
Lizz dispone soprattutto di una bella voce contralto e di buon gusto evidenziato dalla scelta del repertorio, ed è questo il punto di forza. Dovessi votare solo la voce, sarei per un 9.
I brani sono quasi tutti un paio di gradini sopra la media di quello che attualmente passa per nu soul, quella musica fortemente emozionale interpretata da belle e formose ragazzotte dalla voce sexy che su MTV mostrano più che altro la loro procacità ed il loro danzante ombelico.
E siamo anche almeno un gradino più su anche delle cosiddette Soul Sistas, cioè tipi come Erikah Badu e Jill Scott.
Anche qui , per la verità, ci si imbatte in atmosfere nu soul. Però solo i lati migliori. Fortunatamente mancano quelli più dozzinali, ad esempio i sospirosi ed ansimanti gridolini isterici.
In sostanza questo è un bel cd da salotto e da automobile che premia gli ascolti distratti e disimpegnati senza scoraggiare chi alla musica chiede qualcosa di più, perchè quel di più c'è.
Non è il jazz tout-court, ma una musica leggera di gran classe che solo gli americani, finora, hanno mostrato di saper fare con continuità industriale, talento e professionalità. Roba che al jazz si avvicina e che di jazz si nutre, in modo peraltro molto ruffiano e speculativo.
Dopo una bella sfilata di brani, i primi sei, si presenta purtroppo un pezzo lezioso come Good Bye, e mi sembra che da qui in avanti il cd conosca una lieve e sopportabile caduta di tono.
Vocalise/End Of The Line, che nella scaletta segue Good Bye, è ispirato da un pezzo del compositore russo Sergheij Rachamaninov che non rientra purtroppo nel tormentato elenco dei miei autori preferiti. La melodia ricavata ha un bel sapore romantico da passeggiata autunnale sotto la pioggia, tuttavia non mi entusiasma anche se trovo caruccio l'arrangiamento orchestrale.
Le cose vanno un po' meglio con Fire, un potenziale hit da ballads charts che si presta ad intime prove di danza attorcigliati su una mattonella come s'usava una volta.
Tra gli accompagnatori sono alcuni tra i più accreditati jazzmen del momento, dal pianista Danilo Perez al drummer Brian Blade (altro abituale partner di Shorter), dal tastierista Jon Cowherd al sassofonista Chris Potter, al percussionista Jeff Haynes. Il che significa che qui si sente suonare come Dio comanda. Ma non basta.
Se la Verve cercava un proprio prodotto da contrapporre al fenomeno Norah Jones della Blue Note, direi che l'obiettivo è stato centrato solo a metà, nonostante il disco sia volato al secondo posto della classifica Top Contemporary Jazz di Billboard, ed al 23° della classifica generale. A questo cd manca infatti l'hit vincente ed il pizzico di ruffianeria giovanilistica che si trovava nel cd della Jones. Dubito che i più giovani possano essere attratti da queste sonorità e mi dispiace perchè si perdono qualcosa... in particolare la bella voce di Lizz.
D'altra parte la Verve dispone già di una buona carta, la brava e stagionata Dee Dee Bridgwater, la quale però non è mai riuscita a sfondare del tutto, proprio perchè profuma d'antico anche quando si getta in cose nuove.
Dicevo che la prima serie di brani mi sembra più riuscita della seconda. Open Your Eyes, You Can Fly, al di là del testo piuttosto banale (come si fa oggidì a cantare "apri i tuoi occhi, potrai volare" sic e risic) è comunque una succosa ed umorale canzone in tempo medio lento che certo non invoglia a lucidare i pavimenti, compresa la galeotta mattonella da palpeggiamento, ma potrebbe ben sostenerci mentre procediamo nella fastidiosa operazione.
Ancor meglio la seconda track, interpretata al meglio delle sue notevoli possibilità vocali dalla nostra amica: Salt è un eccellente saggio di bravura e di stile, per quanto Lucarelli possa aver ragione nel bofonchiare che ne abbiamo già sentite tante e si somigliano tutte...
Il problema è che ormai gli archivi sonori sono zeppi ed è veramente difficile non trovare un brano che non somigli ad almeno un altro se si è ascoltata tanta musica!
Afro Blue rammenta certe atmosfere inglesi degli anni '70 e le colonne sonore di James Bond (versione Sean Connery) ma non per questo è da buttare. A me piace.
Soon As I Get Home è un altro pezzo che somiglia al deja vu, ma perchè privarci di questa profonda e scura vocalità? Credetemi, non è merce da tutti i giorni.
Analoga considerazione per Walk With Me, Lord, un gospel impreziosito dall'accompagnamento dell'Hammond e da gustosi temi chitarristici.
Eternity è troppo pretenzioso per i miei gusti sobrii, ma non è un brutto pezzo.
Tra le tracce della seconda serie, Blue Rose non riesce a staccarsi da un'aurea mediocrità, mentre le sorti si risollevano in parte con Lead The Way, se non altro per la classe degli arrangiamenti.
Silence chiude al meglio la compilation con vaghi sapori country e colpisce, ancora una volta, per la profondità e la potenza vocale.
Una nota ottimistica ci vuole: abbiamo trovato una brava interprete, una voce che si eleva assai sopra la media e vale la pena di seguirla.

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chairman - 22 ottobre 2003